domenica 31 gennaio 2021

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - IV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B



Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)






Preghiera dei Fedeli

  IV Domenica del Tempo Ordinario Anno B

31 gennaio 2021  



Colui che presiede

Fratelli e sorelle, dopo aver ricevuto il dono della Parola di Dio e del suo Vangelo, rispondiamo ad essa innalzando al Padre con l’aiuto dello Spirito le nostre intenzioni di preghiera, ed insieme diciamo:

R. Abbi pietà di noi, Signore 


Lettore 

- Il tuo amore e la tua fedeltà, o Padre, custodiscano sempre la tua Chiesa, perché in ogni tempo resti fedele al Vangelo del tuo Figlio. Guidala con il tuo Spirito, perché non abbia timore di perdere privilegi e potere per incamminarsi speditamente verso una vera fraternità, rispettosa di uomini e di donne. Preghiamo

Ti affidiamo, o Padre, la nuova presidenza degli Stati Uniti. La tua luce e la tua sapienza accompagnino la politica di questo governo, perché trovi il coraggio necessario per operare in favore della distensione, del disarmo atomico, della difesa del clima e dell’attenzione ai paesi più impoveriti. Preghiamo. 

Ti preghiamo, o Padre, per tutti quei Paesi che investiti dalla pandemia non possono contare sulla solidarietà dei paesi più ricchi, i quali, vittime del proprio egoismo, si rifiutano di sostenere una campagna di vaccinazione in favore dei Paesi poveri. Ti preghiamo, inoltre per quei Paesi che, oltre alla pandemia, sono alle prese con guerre e carestia. Ricordati, o Padre, della guerra dimenticata nello Yemen e della guerra fratricida in Etiopia. Preghiamo

- Non distogliere, o Padre, il tuo sguardo dal nostro Paese in preda alle sue ricorrenti convulsioni politiche. L’individualismo, il particolarismo, il poco senso del bene comune sono i limiti ed i peccati, che ci contraddistinguono. Ma Tu abbi pietà di noi e svegliaci alle nostre responsabilità. Preghiamo.

- Davanti a te, o Padre, nel silenzio della nostra preghiera ti affidiamo i nostri parenti e amici defunti e le vittime del coronavirus [pausa di silenzio]; ti affidiamo anche gli anziani morti nell’abbandono e nella solitudine, le vittime della violenza nelle famiglie, le vittime dei campi di concentramento nazisti e dei lager russi. A tutti dona la gloria della risurrezione del tuo Figlio Gesù. Preghiamo.
  

Colui che presiede 

Per chi presiede O Dio nostro Padre, grande nella misericordia e nella compassione, metti a tacere le potenze del male che dominano il nostro cuore, e fa’ che ascoltiamo la voce di Gesù, tuo Figlio e nostro Liberatore. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. AMEN.


"Un cuore che ascolta lev shomea" - n. 14/2020-2021 (B)

 "Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Vangelo:



Dopo la chiamata alla sequela, l'evangelista presenta Gesù come colui che insegna. Pur non informando esplicitamente circa il contenuto dell'insegnamento, Marco dice che questo suscita stupore, abbattimento (ekpléssomai), meraviglia, perché è un insegnamento nuovo ed efficace. E' il Vangelo del Regno! E' il Vangelo, che è Gesù stesso (1,1), che ci libera dagli artigli del male, dalla mentalità diabolica di un mondo che apparentemente guarda alla vita, ma che invece serve la morte. Gesù è venuto per affrancarci dall'arrogante certezza di coloro che conoscono già tutto, che tutto è scritto e non c'è bisogno della novità, che: si è sempre fatto così, perché cambiare? E' l'immondo progetto di un'esistenza vissuta solo per se stessi, un modo di vedere il mondo che ci imprigiona e ci rende schiavi e stranieri a noi stessi. E' lo spirito che ci strazia, che fa a brandelli la nostra vita prima di abbandonarci, «lento a morire come il nostro egoismo perché percepisce la minaccia che gli viene dalla Parola che lo smaschera» (cit.). E' lo Spirito di Gesù che fa di noi dei figli risorti e liberi, è la sua Parola di vita che illumina i nostri passi nel servizio ai fratelli ed edifica il Regno .


sabato 30 gennaio 2021

LE ALI GUARITE - Gesù è venuto a rovinare la fede del demone che sente Dio come un predatore della mia libertà, che lo immagina come colui che toglie, non come colui che dona. - Commento al Vangelo - IV Domenica Tempo Ordinario (B) a cura di P. Ermes Ronchi

LE ALI GUARITE 
 

Gesù è venuto a rovinare la fede del demone 
che sente Dio come un predatore della mia libertà, 
che lo immagina come colui che toglie, non come colui che dona.


I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire
In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!» (…)
Mc 1, 21-28

per i social

Gesù è venuto a rovinare la fede del demone che sente Dio come un predatore della mia libertà, che lo immagina come colui che toglie, non come colui che dona.

LE ALI GUARITE

C’è nella sinagoga un uomo prigioniero di qualcosa che è più forte di lui. Gesù interviene, e non pronuncia discorsi su Dio o sul male, ma si immerge nella vita ferita e, come Dio, combatte contro ciò che imprigiona ogni persona.
Cosa vuoi da me? So che Cristo vuole le mie mani, i miei occhi, i miei sentimenti, il mio andare e venire. Ma io tentenno, non voglio brecce aperte sulle mura del mio mondo. Una fede senza sapore di pane, di vino buono, di lavoro, di carezze, di scelte concrete.
Fede di sole parole.
Gesù parlava e si stupivano del suo insegnamento. Ecco lo stupore da difendere sempre, perché la nostra capacità di gioire è proporzionale alla capacità di incantarci ogni volta che incontriamo parole di sapienza, nate dal silenzio, dal dolore, dal profondo, dalla vicinanza al Roveto di fuoco.
L’autorità di Gesù stava nelle parole di chi è credibile, di chi dice ciò che è ed è ciò che dice. Se messaggio e messaggero coincidono, ciò non significa “dire” il Vangelo, ma diventare tutt’uno con l’annuncio.

Così per noi, se non vogliamo essere scribi inascoltati. Coltiviamo il coraggio del seme silente che nasce senza che tu sappia come! Spesso i testimoni silenziosi sono i più efficaci. “Sono sempre i pensieri che avanzano con passo di colomba quelli che cambiano il mondo” (Albert Camus).
L’autorevole Gesù è Dio che si oppone al laccio, e i demoni se ne accorgono: che c’è fra noi e te? Sei qui per rovinarci?
L’uomo di Cafarnao frequenta il luogo sacro, recita le benedizioni e lo Shemà Israel, eppure in lui vive un demone che vuole la fede del sabato, quella limitata al sacro e alle devozioni. Il Dio vero, no! Lui spazia come libera brezza nella vita, nella polvere di casa e della strada.
Sì, Gesù è venuto a rovinare la fede del demone che sente Dio come un predatore della mia libertà, che lo immagina come colui che toglie, non come colui che dona; un Moloch avido e rovente cui sono tenuto a immolare la parte migliore di me stesso. E’ venuto per demolire ogni prigione che divora le nostre ali; è qui con il fuoco per bruciare ciò che inganna, per rovinare il regno di chi si genuflette davanti a idoli bugiardi: potere, denaro, successo, paure, depressioni, egoismi.

È a questi desideri che Gesù dice due sole parole: taci, esci da lui!
Tace e se ne va questo mondo illuso, dal cuore sbagliato. Va in rovina, come aveva sognato Isaia. E le spade diventano falci, si spezzano conchiglie ed ecco le perle.
Nel conflitto eterno tra il mio cuore d’ombra e luce, Cristo entra come lievito che solleva l’inerzia, colpo d’ala, respiro che dilata, vento che sospinge, tarlo o bruco che rode la mia falsa pace, e fa volare la farfalla sul mondo.
Perla della creazione è l’uomo libero, uomo dalla vita grande. Lo sarò anch’io, se il Vangelo diventerà mio patimento e mio parto, mio incanto e mia dolcezza.


per Avvenire

La gente si stupiva del suo insegnamento (…)

Leggi su Avvenire



“Il cristianesimo non esiste ancora” di Dominique Collin - Recensione di Aldo Pintor

“Il cristianesimo non esiste ancora” 
di Dominique Collin
Recensione di Aldo Pintor

Davvero colpisce il titolo del libro “Il cristianesimo non esiste ancora” (Queriniana, pp. 208, € 22) di Dominique Collin un domenicano francesce che ha scritto quest'opera che consiste in una trattazione profonda su cosa è veramente il Vangelo e questa lettura ci invita a trasformare la nostra fede cristiana da religione a vita. E questa riflessione viene annunciata al lettore da un titolo davvero significativo.

L'autore parte da una frase del filosofo danese Soren Kierkegaard: “Il cristianesimo del Nuovo Testamento non esiste assolutamente. Un cristianesimo senza Vangelo è un simulacro inventato dai cristiani per non dover conformare la loro vita alla parola di Cristo. Il cristianesimo così concepito sembra condannato a occupare un'area marginale della società. Ma molti intuiscono che il Vangelo non ha ancora detto l'ultima parola e quindi potrebbe darsi che il cristianesimo a venire sarà molto più promettente di quanto non configurino tutte le nostre proiezioni di un futuro discretamente desolante. Il Vangelo infatti continuerà ad essere un Buon annuncio per tutto l'avvenire dell'umano. E forse il fatto che non abbiamo ancora ascoltato del tutto questa “buona notizia” spiega perché il Vangelo presenta ancora aspetti inauditi e inediti”.

Questa citazione per quanto lunga illustra molto bene i propositi che si è posto l'autore scrivendo questo libro. Infatti noi avendo alle spalle duemila e più anni di cristianesimo non siamo più abituati a pensare a che scenari ancora non svelati porterebbe una lettura dei Vangeli fatta alla luce dei tempi moderni. Sarebbe una lettura veramente libera e liberante. Infatti il fatto che siamo abituati ai dogmi e alle interpretazioni cristiane e a interpretazioni solite e ripetute delle Scritture spesso ci impedisce di vederne aspetti inediti che sarebbero vivificanti per la fede ai tempi odierni.

A causa di questa assuefazione il cristianesimo rischia di diventare una religione di appartenenza e spesso i gruppi più fondamentalisti la brandiscono per dividere gli occidentali da tutti gli altri nostri fratelli in umanità. E questo rischia di fossilizzarlo e impedire allo spirito di suggerirci letture ulteriori che ci porterebbero avanti in un cammino di umanità profonda. Questo libro può essere definito un invito a far parlare nuovamente il Vangelo. In quanto secondo Dominique Collin “Il Cristianesimo è ciò a cui avvicinarsi senza sosta come impassibile se vogliamo afferrarne qualcosa”. Secondo l'autore “il Cristianesimo di per sé è sempre in ritardo rispetto al Cristo a venire che ci precede sempre sulla via della vita vivente”. Sulla base di questa considerazione, dopo aver letto questo libro, il futuro del cristianesimo è nelle mani di coloro che essendo seguaci di Gesù sapranno trasmettere il Vangelo come “buona notizia” soprattutto con la loro vita e non tanto con una dottrina astratta. Solo vivendo il verbo di Cristo nella vita, si trasmetterà questo messaggio universale che anche nei momenti più bui cova sotto la cenere aspettando il momento più opportuno di diventare fiamma viva.



Lo psicoterapeuta Salonia: “Prima di creare le nuove abitudini, sentiamo nuove responsabiltà”

“Prima di creare le nuove abitudini, 
sentiamo nuove responsabiltà”
di p. Giovanni Salonia,
Direttore dell'Istituto 
di Gestalt Therapy hcc Kairòs gtk


                                                         Pubblicato su "La Sicilia" il  24.01.2021

La tinta delle nostre giornate dipende dai colori della pandemia. Non solo il giallo, il rosso, l’arancione. Dalla pandemia, dal suo assedio, dal suo rifiuto, dal suo dolore, dalla sua stanchezza dipende ogni giorno la tinta della nostra anima. Lo vogliamo o no, il Covid è oggi lo sfondo del nostro essere e del nostro agire, costretti a mosse, a pratiche, a pensieri inusuali. Stiamo sviluppando le abitudini da pandemia, stiamo assimilando un nuovo vocabolario. Il molecolare e l’antigenico, la chirurgica e l’FFP2, il distanziamento e l’amuchina… Tutto questo è entrato nella nostra vita, e se prima provocava sorpresa, ci richiedeva attenzione, ci impauriva o ci scuoteva, oggi sta diventando abitudine. Già sappiamo e ci organizziamo per il prossimo tampone: conosciamo tempi, luoghi, modalità. Abituati ormai come siamo a muoverci dietro orari precisi e regole incorporate che scandiscono le nostre vite. Abituati al conosciuto timore dell’assembramento che acuisce (dovrebbe) la paura nella nostra corsa bendata.

Ma forse, prima di creare il ritmo inconsapevole di nuove abitudini, sarebbe necessario riscoprire la nostra possibilità di essere protagonisti, di essere responsabili (abituati) e consapevoli. Non è facile trovare un equilibrio tra lo stare nelle abitudini, in ciò che è familiare, e l’aprirsi al nuovo. Il familiare dà sostegno e sicurezza. Il nuovo fa paura. Si cresce nel trovare una armonia tra sicurezza e rischio, ricerca di equilibrio tra ancoraggio affettivo e comportamento esplorativo. Le abitudini rappresentano certamente il familiare, lo scontato, il noto. Ed è proprio nell’assumere degli habitus che si richiede una grande responsabilità. Perché le abitudini rischiano di creare assuefazioni, desensibilizzazione. Quando un’abitudine si è consolidata, dà vita a nuove cecità emotive, che impediscono di accorgersi se l’abitudine è sbagliata, se sta creando disagi a noi e agli altri. Le abitudini diventano intoccabili e nascondono una intima ambivalenza. É vero, ci facilitano la vita, ma nello stesso tempo rischiano di deresponsabilizzarci. Il vuoto creato con la pandemia, che ci sta portando verso nuove abitudini, dovrebbe essere vissuto come momento di grande responsabilità, individuale, nell’interesse di tutti.

Tutto ciò che era scontato ora va ripensato. Si sa. Il pensiero separa, rompe la fusione, destruttura le abitudini. Ormai, è noto a tutti: non puoi più buttare i rifiuti dove capita. Devi differenziarli. Devi cioè attivare un pensiero per separare, fermandoti un attimo di più per sapere a quale colore corrisponde il tuo sacchetto. Il pensiero scompone le abitudini. E se prima la sosta ragionata durava un attimo di più, tanto da rendere nervoso anche un gesto così semplice e automatico, piano piano ci siamo serenamente abituati. Oggi non differenziare risulterebbe una forzatura. Così come non indossare una mascherina sarebbe inusuale stranezza. Ma è necessario non vivere le abitudini come ripiego e rassegnazione ma bensì come scelta. E ogni scelta interpella la nostra responsabilità. Perché rispondere al richiamo della responsabilità significa sempre e comunque assumersi il rischio del fallimento. Decidere, rischiare il fallimento, rischiare la solitudine. Spesso la folla e le abitudini ci proteggono dal decidere. Solo quando siamo chiamati a confrontarci con il nuovo, attiviamo la funzione responsabilità. La paura della responsabilità, del rispondere in prima persona, ci consegna alla follia della folla. Essere folla ci rende folli. Dopo tutto, nella folla nessuno si assume la responsabilità di una risposta in prima persona. Si vive una sorta di voluttà del lasciarsi andare, del non assumersi la responsabilità di essere sé stessi, protetti e legittimati dal rischioso “così fan tutti”. Riscopriamo che forse ogni enfasi odierna sulla soggettività, con le sue derive individualiste, nasconde il rifugiarsi in un altro tipo di folla: quella di individui isolati, che sanno reclamare diritti ma sono diventati analfabeti di doveri, del prezzo da pagare alla responsabilità. Soggetti con diritti, ma anche soggetti con doveri e cioè con legami.

In fondo, la pandemia, in modo violento e tragico, ha destrutturato le abitudini e ci ha chiesto di assumerci la responsabilità. E tutto ciò dentro la novità del coronavirus, quella di non poter sentire la forza e il calore dell’unirci contro un pericolo, perché paradossalmente ognuno pensa alla propria sopravvivenza e l’unirsi diventa già rischio di sopravvivenza per il singolo. Così la pandemia ci interpella: prima di creare nuove abitudini ritroviamo la nostra volontà e la necessità di essere noi a decidere! E che sia un Noi responsabile! Responsabile del giardino che ci è stato dato, della vita che ci precede e che continuerà. Che la nostra generazione sia benedetta dai nostri figli e dai figli dei nostri figli! Che casa lasciamo loro? Deponiamo lo scettro che abbiamo rubato alla biosfera e ridiamo lo scettro alla vita non agli uomini. Nelle leggi dell’universo che lega tutti, la logica di vincere sull’altro (sul piu debole: gli animali, il creato) è una logica perdente. Il principio che ‘perde chi vince’ è vero nel microcosmo delle relazioni intime così nel macrocosmo. Rispetto e gentilezza derivano dalla responsabilità. Il destino dell’umanità appartiene a te, a me… Carlo Emilio Gadda lo sapeva: «Tra qualunque essere dello spazio metafisico e l’io individuo intercede un rapporto pensabile: e dunque un rapporto di fatto. Se una libellula vola a Tokyo, innesca una catena di reazioni che raggiungono me». Agiamo insieme allora, responsabilmente, perché sia vero quel che canta il poeta: i giorni migliori sono quelli che non abbiamo ancora vissuto.

(Fonte: sito ufficiale)


Vedi:
- il sito ufficiale dell'’Istituto di Gestalt Therapy hcc Kairòs gtk


Vedi anche i post da noi pubblicati:
- "Il coronavirus: la fine della società liquida?" di p. Giovanni Salonia

- "Il filo di Arianna per attraversare il cambiamento" di p. Giovanni Salonia

venerdì 29 gennaio 2021

Messaggeri di compassione e di speranza - «Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20) - MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2021

Messaggeri di compassione e di speranza

Come antidoto alla tentazione — in questo tempo di pandemia da covid-19 — di mascherare e giustificare l’indifferenza in nome del distanziamento sociale, Papa Francesco propone «la missione della compassione» per «fare della necessaria distanza un luogo di incontro, di cura e di promozione». L’auspicio è contenuto nel messaggio reso noto oggi, venerdì 29 gennaio, per la 95a Giornata missionaria mondiale — in programma domenica 24 ottobre, penultima del mese — che ha per tema «Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4, 20). Il Pontefice chiede di «andare alle periferie del mondo» per «diventare messaggeri e strumenti di compassione» e nel farlo ringrazia «quanti sono stati capaci di mettersi in cammino, lasciare terra e famiglia affinché il Vangelo possa raggiungere senza indugi e senza paure gli angoli di popoli e città dove tante vite si trovano assetate di benedizione».
(fonte: L'Osservatore Romano 29/01/2021)


Leggi il testo integrale del Messaggio

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2021


«Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20)

Cari fratelli e sorelle,

quando sperimentiamo la forza dell’amore di Dio, quando riconosciamo la sua presenza di Padre nella nostra vita personale e comunitaria, non possiamo fare a meno di annunciare e condividere ciò che abbiamo visto e ascoltato. La relazione di Gesù con i suoi discepoli, la sua umanità che ci si rivela nel mistero dell’Incarnazione, nel suo Vangelo e nella sua Pasqua ci mostrano fino a che punto Dio ama la nostra umanità e fa proprie le nostre gioie e le nostre sofferenze, i nostri desideri e le nostre angosce (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 22). Tutto in Cristo ci ricorda che il mondo in cui viviamo e il suo bisogno di redenzione non gli sono estranei e ci chiama anche a sentirci parte attiva di questa missione: «Andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli» (Mt 22,9). Nessuno è estraneo, nessuno può sentirsi estraneo o lontano rispetto a questo amore di compassione.

L’esperienza degli Apostoli

La storia dell’evangelizzazione comincia con una ricerca appassionata del Signore che chiama e vuole stabilire con ogni persona, lì dove si trova, un dialogo di amicizia (cfr Gv 15,12-17). Gli Apostoli sono i primi a riferirci questo, ricordando perfino il giorno e l’ora in cui lo incontrarono: «Erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,39). L’amicizia con il Signore, vederlo curare i malati, mangiare con i peccatori, nutrire gli affamati, avvicinarsi agli esclusi, toccare gli impuri, identificarsi con i bisognosi, invitare alle beatitudini, insegnare in maniera nuova e piena di autorità, lascia un’impronta indelebile, capace di suscitare stupore e una gioia espansiva e gratuita che non si può contenere. Come diceva il profeta Geremia, questa esperienza è il fuoco ardente della sua presenza attiva nel nostro cuore che ci spinge alla missione, benché a volte comporti sacrifici e incomprensioni (cfr 20,7-9). L’amore è sempre in movimento e ci pone in movimento per condividere l’annuncio più bello e fonte di speranza: «Abbiamo trovato il Messia» (Gv 1,41).

Con Gesù abbiamo visto, ascoltato e toccato che le cose possono essere diverse. Lui ha inaugurato, già oggi, i tempi futuri ricordandoci una caratteristica essenziale del nostro essere umani, tante volte dimenticata: «siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore» (Enc. Fratelli tutti, 68). Tempi nuovi che suscitano una fede in grado di dare impulso a iniziative e plasmare comunità, a partire da uomini e donne che imparano a farsi carico della fragilità propria e degli altri, promuovendo la fraternità e l’amicizia sociale (cfr ibid., 67). La comunità ecclesiale mostra la sua bellezza ogni volta che ricorda con gratitudine che il Signore ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,19). La «predilezione amorosa del Signore ci sorprende, e lo stupore, per sua natura, non può essere posseduto né imposto da noi. […] Solo così può fiorire il miracolo della gratuità, del dono gratuito di sé. Anche il fervore missionario non si può mai ottenere in conseguenza di un ragionamento o un calcolo. Il mettersi “in stato di missione” è un riflesso della gratitudine» (Messaggio alle Pontificie Opere Missionarie, 21 maggio 2020).

Tuttavia, i tempi non erano facili; i primi cristiani incominciarono la loro vita di fede in un ambiente ostile e arduo. Storie di emarginazione e di prigionia si intrecciavano con resistenze interne ed esterne, che sembravano contraddire e perfino negare ciò che avevano visto e ascoltato; ma questo, anziché essere una difficoltà o un ostacolo che li avrebbe potuti portare a ripiegarsi o chiudersi in sé stessi, li spinse a trasformare ogni inconveniente, contrarietà e difficoltà in opportunità per la missione. I limiti e gli impedimenti diventarono anch’essi luogo privilegiato per ungere tutto e tutti con lo Spirito del Signore. Niente e nessuno poteva rimanere estraneo all’annuncio liberatore.

Abbiamo la testimonianza viva di tutto questo negli Atti degli Apostoli, libro che i discepoli missionari tengono sempre a portata di mano. È il libro che narra come il profumo del Vangelo si diffuse al suo passaggio suscitando la gioia che solo lo Spirito ci può donare. Il libro degli Atti degli Apostoli ci insegna a vivere le prove stringendoci a Cristo, per maturare la «convinzione che Dio può agire in qualsiasi circostanza, anche in mezzo ad apparenti fallimenti» e la certezza che «chi si offre e si dona a Dio per amore, sicuramente sarà fecondo (cfr Gv 15,5)» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 279).

Così anche noi: nemmeno l’attuale momento storico è facile. La situazione della pandemia ha evidenziato e amplificato il dolore, la solitudine, la povertà e le ingiustizie di cui già tanti soffrivano e ha smascherato le nostre false sicurezze e le frammentazioni e polarizzazioni che silenziosamente ci lacerano. I più fragili e vulnerabili hanno sperimentato ancora di più la propria vulnerabilità e fragilità. Abbiamo vissuto lo scoraggiamento, il disincanto, la fatica; e perfino l’amarezza conformista, che toglie la speranza, ha potuto impossessarsi dei nostri sguardi. Noi, però, «non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù» (2 Cor 4,5). Per questo sentiamo risuonare nelle nostre comunità e nelle nostre famiglie la Parola di vita che riecheggia nei nostri cuori e ci dice: «Non è qui, è risorto» (Lc 24,6); Parola di speranza che rompe ogni determinismo e, a coloro che si lasciano toccare, dona la libertà e l’audacia necessarie per alzarsi in piedi e cercare con creatività tutti i modi possibili di vivere la compassione, “sacramentale” della vicinanza di Dio a noi che non abbandona nessuno ai bordi della strada. In questo tempo di pandemia, davanti alla tentazione di mascherare e giustificare l’indifferenza e l’apatia in nome del sano distanziamento sociale, è urgente la missione della compassione capace di fare della necessaria distanza un luogo di incontro, di cura e di promozione. «Quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20), la misericordia che ci è stata usata, si trasforma nel punto di riferimento e di credibilità che ci permette di recuperare la passione condivisa per creare «una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni» (Enc. Fratelli tutti, 36). È la sua Parola che quotidianamente ci redime e ci salva dalle scuse che portano a chiuderci nel più vile degli scetticismi: “tanto è lo stesso, nulla cambierà”. E di fronte alla domanda: “a che scopo mi devo privare delle mie sicurezze, comodità e piaceri se non posso vedere nessun risultato importante?”, la risposta resta sempre la stessa: «Gesù Cristo ha trionfato sul peccato e sulla morte ed è ricolmo di potenza. Gesù Cristo vive veramente» (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 275) e vuole anche noi vivi, fraterni e capaci di ospitare e condividere questa speranza. Nel contesto attuale c’è bisogno urgente di missionari di speranza che, unti dal Signore, siano capaci di ricordare profeticamente che nessuno si salva da solo.

Come gli Apostoli e i primi cristiani, anche noi diciamo con tutte le nostre forze: «Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20). Tutto ciò che abbiamo ricevuto, tutto ciò che il Signore ci ha via via elargito, ce lo ha donato perché lo mettiamo in gioco e lo doniamo gratuitamente agli altri. Come gli Apostoli che hanno visto, ascoltato e toccato la salvezza di Gesù (cfr 1 Gv 1,1-4), così noi oggi possiamo toccare la carne sofferente e gloriosa di Cristo nella storia di ogni giorno e trovare il coraggio di condividere con tutti un destino di speranza, quella nota indubitabile che nasce dal saperci accompagnati dal Signore. Come cristiani non possiamo tenere il Signore per noi stessi: la missione evangelizzatrice della Chiesa esprime la sua valenza integrale e pubblica nella trasformazione del mondo e nella custodia del creato.

Un invito a ciascuno di noi

Il tema della Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno, «Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20), è un invito a ciascuno di noi a “farci carico” e a far conoscere ciò che portiamo nel cuore. Questa missione è ed è sempre stata l’identità della Chiesa: «essa esiste per evangelizzare» (S. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14). La nostra vita di fede si indebolisce, perde profezia e capacità di stupore e gratitudine nell’isolamento personale o chiudendosi in piccoli gruppi; per sua stessa dinamica esige una crescente apertura capace di raggiungere e abbracciare tutti. I primi cristiani, lungi dal cedere alla tentazione di chiudersi in un’élite, furono attratti dal Signore e dalla vita nuova che Egli offriva ad andare tra le genti e testimoniare quello che avevano visto e ascoltato: il Regno di Dio è vicino. Lo fecero con la generosità, la gratitudine e la nobiltà proprie di coloro che seminano sapendo che altri mangeranno il frutto del loro impegno e del loro sacrificio. Perciò mi piace pensare che «anche i più deboli, limitati e feriti possono essere [missionari] a modo loro, perché bisogna sempre permettere che il bene venga comunicato, anche se coesiste con molte fragilità» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 239).

Nella Giornata Missionaria Mondiale, che si celebra ogni anno nella penultima domenica di ottobre, ricordiamo con gratitudine tutte le persone che, con la loro testimonianza di vita, ci aiutano a rinnovare il nostro impegno battesimale di essere apostoli generosi e gioiosi del Vangelo. Ricordiamo specialmente quanti sono stati capaci di mettersi in cammino, lasciare terra e famiglia affinché il Vangelo possa raggiungere senza indugi e senza paure gli angoli di popoli e città dove tante vite si trovano assetate di benedizione.

Contemplare la loro testimonianza missionaria ci sprona ad essere coraggiosi e a pregare con insistenza «il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe» (Lc 10,2); infatti siamo consapevoli che la vocazione alla missione non è una cosa del passato o un ricordo romantico di altri tempi. Oggi, Gesù ha bisogno di cuori che siano capaci di vivere la vocazione come una vera storia d’amore, che li faccia andare alle periferie del mondo e diventare messaggeri e strumenti di compassione. Ed è una chiamata che Egli rivolge a tutti, seppure non nello stesso modo. Ricordiamo che ci sono periferie che si trovano vicino a noi, nel centro di una città, o nella propria famiglia. C’è anche un aspetto dell’apertura universale dell’amore che non è geografico bensì esistenziale. Sempre, ma specialmente in questi tempi di pandemia, è importante aumentare la capacità quotidiana di allargare la nostra cerchia, di arrivare a quelli che spontaneamente non li sentiremmo parte del “mio mondo di interessi”, benché siano vicino a noi (cfr Enc. Fratelli tutti, 97). Vivere la missione è avventurarsi a coltivare gli stessi sentimenti di Cristo Gesù e credere con Lui che chi mi sta accanto è pure mio fratello e mia sorella. Che il suo amore di compassione risvegli anche il nostro cuore e ci renda tutti discepoli missionari.

Maria, la prima discepola missionaria, faccia crescere in tutti i battezzati il desiderio di essere sale e luce nelle nostre terre (cfr Mt 5,13-14).

Roma, San Giovanni in Laterano, 6 gennaio 2021, Solennità dell’Epifania del Signore.

Francesco


Minori sui social: TIK TOK E L'UNIVERSO DELLA RETE CHE NESSUN GENITORE RIESCE A CONTROLLARE di Alberto Pellai - Il Garante vuole risposte anche da Facebook e Instagram - Una nuova tragedia ‘firmata TikTok’? Bimbo di 9 anni morto a Bari

TIK TOK E L'UNIVERSO DELLA RETE 
CHE NESSUN GENITORE RIESCE A CONTROLLARE 
di Alberto Pellai

Il dramma si è consumato in casa, nel luogo più sicuro per un bambino, a pochi metri dai propri genitori. Eppure qualcosa di inimmaginabile ha trasformato un gioco assurdo nato probabilmente su Tik Tok in una tragedia. Se ci fosse stata un’amica con lei avrebbe potuto aiutarla ma l’aspetto che più degli altri deve farci riflettere è che nei social i nostri figli sono in contatto virtuale con centinaia e migliaia di altri follower, ma nella realtà sono soli con se stessi


Quello che è successo alla bambina di Palermo, nel bagno di casa sua davanti allo specchio verrà chiarito solo in parte dalle registrazioni presenti sul suo cellulare. Purtroppo per la famiglia niente potrà riavvolgere il nastro di questo dramma consumato nella propria casa, nel luogo più sicuro per un bambino, a pochi metri dai propri genitori. Eppure qualcosa di inimmaginabile ha trasformato un gioco assurdo in una tragedia. Dalle notizie apparse sui giornali sappiamo che la piccola aveva accettato un sfida su TikTok, una blackout challenge, dove per vincere bisognava stringersi una corda attorno al collo resistendo fino a un istante prima del soffocamento. Vince chi supera la paura di sentirsi morire e si ferma per ultimo davanti ai segnali d’allarme del proprio corpo. Ma come si capisce quando si è al confine con la zona del non ritorno? I fatti ci dicono che la risposta può non arrivare in tempo.

Gli inquirenti stanno indagando su come questa sfida possa essere arrivata a una bambina di dieci anni. Da quanto apprendiamo dai media, TikTok si è dichiarato disponibile a collaborare nelle indagini per evitare che un dramma del genere possa ripetersi, ma l’universo della rete è così infinito che nessuno può garantirne la sicurezza. E quindi che possibilità ha un genitore di proteggere i propri figli dall’essere ingaggiati in sfide pericolose che potrebbero anche portare a conseguenze estreme, come in questo caso? Credo che nessuno di noi possa dirsi al sicuro e tranquillo. Viviamo in un ambiente digitale che ogni giorno genera infiniti messaggi sui quali è impossibile avere il controllo assoluto e chi sta crescendo impara a decodificarli nel qui ed ora dell’esperienza, senza manuali di istruzioni. Ci sono i filtri e i parental control ma il sistema si rigenera di continuo ed è difficile mantenere una zona protetta. TikTok è un social utilizzato da una moltitudine di bambini, per molti adulti è valutato come un “terreno” innocuo eppure sembra che tutta questa storia abbia avuto origine proprio qui. Purtroppo nei fatti accaduti a Palermo, una sfida estrema si è trasformata in un incidente gravissimo, segno che qualcosa è andato storto. La bambina di certo non aveva alcuna intenzione di perdere fino a questo punto il controllo di quel “gioco”. Bastava mollare la stretta e finiva tutto e invece non è andata così, è successo qualcosa che non ha permesso di tornare indietro. Come quando si cammina su un cornicione, si fa un selfie estremo, si attraversa l’autostrada a piedi: si tratta di prove estreme di coraggio (così le interpreta il ragazzo che le agisce) e chi le fa è guidato solo dal desiderio di osare l’impossibile. Il suo cervello non sente altro che la voglia di provare la sensazione estrema di sentirsi quanto mai vivo e coraggioso. Il confine tra vita e morte di queste sfide però è molto sottile. La tristezza di questa sfida on line è che la protagonista era sola. Se ci fosse stata un’amica con lei avrebbe potuto aiutarla, liberarla in tempo da quella stretta. L’aspetto che più degli altri deve farci riflettere è che nei social i nostri figli sono soli. Sono in contatto virtuale con centinaia e migliaia di altri follower, ma nella realtà sono soli con se stessi. Come Cappuccetto Rosso, oggi stiamo parlando – con immenso dolore – di una bambina in una foresta piena di insidie e di tentazioni sfidanti. “Ma tu ce l’hai il coraggio di farlo?”. Se qualcuno fermasse un nostro figlio per strada e gli chiedesse di stringersi una cintura al collo è molto probabile che lui gli risponderebbe “Sono mica matto”. Direbbe di no e se ne andrebbe a gambe levate per l’assurdità della proposta. On line questa sfida assurda può diventare “interessante” per una bambina. Perché avviene all’interno di un social in cui tu ti senti “di famiglia”, perché tanti altri tuoi amici stanno facendo lo stesso, perché mostrando il tuo video riceverai tanti like e sentirai di aver provato a te stesso e agli altri che vali, che sei unico e speciale. Si tratti di ingredienti che ogni giorno entrano nella vita dei nostri figli e li allontanano dal principio di realtà, rendendoli incapaci di posizionare l’asticella del limite al punto giusto e in tempo utile per non fare danni. Ogni giorno, milioni di messaggi in rete rendono accettabile ciò che non lo è. Un caleidoscopio digitale di colori, suoni, grafiche fanno apparire belle, cose in realtà orribili e desensibilizzano al pericolo.

Chi è prossimo a questa famiglia nelle prossime settimane farà di tutto per non farla sentire sola, per consolare questo dolore lancinante che forse un giorno si placherà, ma che lascerà comunque sgomenti perché non può essere accettabile che nel luogo più sicuro (la nostra casa) entri sotto forma di gioco un invito a confrontarsi con la morte. Potremmo essere tutti nei panni di quei genitori che oggi sono dilaniati dal dolore. Sono eventi di questa natura che devono spingere noi genitori a scendere in campo, pretendendo che la rete sia un territorio dove non tutto può accadere e non tutto è lecito. Molti attribuiscono questo genere di tragedie alla mancata educazione da parte dei genitori che non prevengono i comportamenti a rischio dei minori nell’online con la giusta educazione digitale. Ma il tema resta molto più complesso: anche iscrivendo un dodicenne alla scuola guida, è molto probabile che non sarà capace di guidare in modo sicuro un’ automobile di grande cilindrata.
(fonte: Famiglia Cristiana 21/01/2021)

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Minori sui social. 
Il Garante vuole risposte anche da Facebook e Instagram

Dopo Tik Tok, il Garante della Privacy apre fascicoli su altri social network per chiarire in che modo vengono verificati i requisiti di età per l'iscrizione


Anche Facebook e Instagram, in aggiunta a TikTok, nel mirino del Garante. Si allarga quindi l’intervento dell’Autorità, che l’altro ieri ha aperto un fascicolo sui due social network, dopo la tragica vicenda della piccola Antonella di Palermo, morta asfissiata per una sfida estrema.
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Confusione, manipolazione e fraintendimento tra quello che è il mondo reale e quello che è il mondo virtuale: parte da qui l’isolamento giovanile che in tempi di pandemia può sfociare in conseguenze drammatiche, come sottolinea il presidente della Società italiana di psichiatria, Massimo Di Giannantonio. «Ci sono molti più rischi per i ragazzi che non vanno a scuola, debbono rinunciare alla socialità in presenza e vivono ore on line» spiega. «Le vicende accadute recentemente, come il caso della bambina che si è soffocata per una sfida su Tik Tok, si basano sull’idea che si possano replicare nella realtà elementi virtuali, senza conseguenze, proprio come nello schermo». A pesare, è soprattutto la mancanza della scuola, sottolinea lo psichiatra: in questo momento, dunque, la relazione con i social network è più pericolosa.

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Una nuova tragedia lascia sconcertati. A pochissimi giorni dalla morte della piccola bimba di Palermo, trovata con una cintura al collo per una folle challenge in voga su TikTok, arriva da Bari un nuovo caso shock. Un altro bambino, di soli 9 anni, è stato trovato dai genitori con una corda stretta al collo. Per il piccolo non c’è stato nulla da fare: è arrivato già morto all’ospedale pediatrico Giovanni XXXIII di Bari. ...

ha dichiarato all’ANSA il procuratore minorile di Bari Ferruccio De Salvatore. "Questi giochi, prima il Blue whale, poi Momo e adesso Tik Tok, possono essere molto rischiosi. Noi dobbiamo tener conto che con riferimento a determinate fasce di età lo spirito di emulazione è molto forte. Il problema c’è ed è stato esasperato dalla pandemia perché molti giovani, soprattutto adolescenti, si sono rinchiusi in se stessi e sono diventati aggressivi con se stessi e gli altri." ...


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Riparte la Campagna di pressione alle “banche armate”

Riparte la Campagna di pressione alle “banche armate”


“Non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare e trafficare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite”. Le parole del Messaggio di Pasqua di papa Francesco lo scorso 12 aprile, nel mezzo dell’emergenza da Covid-19, sembrano cadute nel vuoto dell’indifferenza della politica.

Mentre, infatti, in tutto il mondo la pandemia mieteva centinaia di migliaia vittime e i governi cercavano mascherine, respiratori polmonari e apparecchi sanitari, gli stessi governi continuavano a spendere miliardi nella nuova corsa agli armamenti: nel 2019 sono stati spesi nel mondo più di 1.917 miliardi di dollari per gli apparati militari, una cifra mai così alta dalla fine della guerra fredda.
La contraddizione riguardava – e riguarda tuttora – anche l’Italia. In piena pandemia, il 2 aprile scorso, veniva annunciata la fornitura alla Marina Militare di due nuovi sottomarini di tipo U-212 per 1,3 miliardi di euro con l’opzione di altri due per un spesa totale di 2,3 miliardi di euro. E la legge di Bilancio, presentata al parlamento a fine dicembre, prevede una spesa militare di 24,5 miliardi di euro di cui ben 6 per l’acquisto di nuovi armamenti.
Di fronte a questo increscioso scenario, lo scorso 9 luglio, in occasione del trentesimo anniversario dell’entrata in vigore della legge n. 185 del 1990 che ha stabilito “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia hanno deciso insieme al movimento Pax Christi di rilanciare due iniziative: la Campagna di pressione alle “banche armate” e la Campagna “Tesorerie disarmate”.
Promossa nel 2000, in occasione del Grande Giubileo della Chiesa cattolica, la Campagna “banche armate” ha svolto in questi anni un’importante azione di informazione e di sensibilizzazione sulle attività delle banche in questo controverso settore. Data la necessità di finanziamenti e servizi da parte delle aziende armiere, gli istituti di credito ricoprono infatti un ruolo fondamentale: diverse banche sono azioniste delle principali aziende militari, concedono prestiti, anticipi e fidi per la produzione di armamenti e svolgono operazioni di pagamento e di incasso, molto spesso con ampi compensi di intermediazione, nella compravendita di sistemi militari. Proprio per questo, fin dall’inizio la Campagna “banche armate” ha chiesto a tutte le banche italiane ed estere di emanare, nell’ambito delle proprie politiche di responsabilità sociale d’impresa, delle direttive rigorose e trasparenti circa la loro attività nel settore degli armamenti.
Nel corso di questi anni, grazie all’azione di numerose associazioni e di tanti correntisti, la Campagna ha ottenuto importanti risultati: quasi tutti i maggiori gruppi bancari italiani si sono dati delle regole, spesso limitando ai soli Paesi alleati dell’Unione Europea e della Nato le operazioni bancarie per l’esportazione di sistemi militari, e alcune banche hanno deciso di non concedere servizi al settore degli armamenti.Negli ultimi anni, però, sono emersi tre problemi quanto mai preoccupanti. Innanzitutto la tendenza da parte dei governi a incentivare le esportazioni di sistemi militari anche a Paesi verso cui sarebbero vietate (Paesi in stato di conflitto armato, i cui governi sono responsabili di gravi violazioni di diritti umani e la cui politica contrasta con i principi dell’articolo 11 della Costituzione, ecc.) e, contemporaneamente, il graduale allentamento da parte di diversi istituti di credito delle rigorose direttive che avevano emesso alcuni anni prima allo scopo di poter finanziarie e offrire servizi bancari anche a aziende che producono ed esportano armamenti a Paesi ricchi di risorse energetiche, ma pesantemente coinvolti in conflitti e violazioni. Tutto questo è stato favorito dal progressivo indebolimento della trasparenza della Relazione governativa e dalla costante mancanza di controllo da parte del Parlamento.
Negli ultimi quattro anni i principali acquirenti di sistemi militari italiani sono stati, infatti, i Paesi dell’Africa settentrionale e Medio Oriente a cui i governi italiani hanno autorizzato l’esportazione di materiali militari per quasi 17 miliardi di euro, pari al 51,2% del totale delle licenze rilasciate (33 miliardi di euro). Tra questi Paesi spiccano le monarchie assolute islamiche della penisola araba (Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman), diversi Paesi del bacino sud del Mediterraneo (Egitto, Algeria, Israele, Marocco), ma anche vari regimi autoritari dell’Asia centrale (Turkmenistan e Kazakistan) e le nazioni dell’Africa sub-saharaiana (Kenya, Angola, Nigeria, Camerun, Chad, Congo). Si tratta di esportazioni finanziate e favorite da diversi gruppi bancari italiani ed esteri le cui specifiche operazioni sono oggi, a differenza di alcuni anni fa, impossibili da rintracciare nella Relazione governativa.
La Campagna ha fatto appello, innanzitutto, alle comunità cristiane (diocesi, parrocchie, istituti religiosi, ecc.) per chiedere di verificare le banche di cui sono clienti ed anche di rinunciare a donazioni provenienti da istituti di credito che sostengono l’industria e il commercio di armamenti. Un’azione che intende offrire uno specifico contributo all’attuazione delle rilevanti indicazioni che la Conferenza Episcopale Italiana ha emanato nel documento sulla gestione delle risorse finanziarie con criteri etici di responsabilità sociale. (cfr tabella allegata)
Le tre riviste inoltre invitano altre riviste e tutti gli organi di informazione a farsi co-promotori della Campagna e i singoli correntisti ad interpellare la propria banca. Una specifica lettera-modello per gli enti religiosi, per le associazioni e per i media, oltre che per i singoli cittadini, è disponibile sul sito della Campagna (www.banchearmate.org) nel quale si possono trovare indicazioni anche per promuovere a livello locale la Campagna “Tesorerie disarmate”.
La Campagna continuerà, insieme con la Rete italiana pace e disarmo, la propria azione anche nei confronti del Governo e del Parlamento per un maggior controllo delle esportazioni di sistemi militari e per una maggior trasparenza della Relazione governativa. In proposito va segnalato che lo scorso luglio la Commissione Affari Esteri della Camera ha deciso di esaminare la relazione sulle esportazioni di armamenti: alle audizioni sono stati invitati anche gli esperti della Rete italiana pace e disarmo e dell’Osservatorio OPAL che hanno messo in luce i gravi problemi che generano le esportazioni di sistemi bellici e di armi leggere nelle zone di tensione e a governi che violano i diritti umani. Nel frattempo in alcuni Consigli comunali sono state presentate ed approvate mozioni una tesoreria disarmata. Segnali incoraggianti per cominciare a realizzare, dal basso, l’appello pasquale di papa Francesco [Ne daremo notizia sul sito e in prossimi articoli].

LA CHIESA ITALIANA, L’ECONOMIA E LE ARMI
La Conferenza Episcopale Italiana ha emesso lo scorso 20 febbraio un importante documento dal titolo “La chiesa cattolica e la gestione delle risorse finanziarie con criteri etici di responsabilità sociale, ambientale e di governance”, per guidare le attività delle diocesi, parrocchie ed enti religiosi nel settore economico. “Oltre che doveroso, oggi è concretamente possibile indirizzare in modo etico le attività economiche e finanziarie. Ciò rappresenta per gli Enti di natura religiosa una sfida e un’opportunità” – scrivono i vescovi nell’introduzione. Significativi i paragrafi sugli armamenti: i vescovi invitano le comunità cristiane non solo ad escludere “l’investimento in imprese impegnate nella produzione di armi non convenzionali, come armi biologiche e chimiche, armi nucleari, armi di distruzione di massa, mine antiuomo” (4.3.1) ma, richiamando l’impegno a “limitare la produzione di armi allo stretto indispensabile”, invita ad “individuare processi di conversione delle capacità produttive di armi in altre produzioni ad usi non militari” (4.2.3).

I primi 15 Paesi extra UE-Nato destinatari delle Autorizzazioni all’esportazione di armamenti italiani negli anni 2016-2019


SCRITTO DA GIORGIO BERETTA*  PUBBLICATO IN MOSAICO DI PACE il 26 GENNAIO 2021
Fonte: Relazione della Presidenza del Consiglio (vari anni)

*Giorgio Beretta è Analista della Campagna di pressione alle “banche armate”

giovedì 28 gennaio 2021

Licata disabili derisi e picchiati: Lettera dei vescovi Montenegro e Damiano: “quanto accaduto non si ripeta mai più” - Cronaca dei fatti e video

Licata disabili derisi e picchiati: 
Lettera dei vescovi Montenegro e Damiano:
quanto accaduto non si ripeta mai più”

In merito ai tristi fatti di Licata di disabili picchiati e derisi sui social l’Arcivescovo di Agrigento, Card. Francesco Montenegro e l’Arcivescovo Coadiutore, mons. Alessandro Damiano, hanno indirizzato, in data 27 gennaio, una lettera alla Comunità di Licata che pubblichiamo di seguito. La lettera sarà letta domenica 31 gennaio 2021 al termine di tutte le Messe nelle parrocchie di Licata.

Gli arcivescovi mons. Alessandro Damiano - Card. Francesco Montenegro

“Un’ombra di tristezza copre il cielo luminoso di Licata e della nostra Diocesi. Interrogativi profondi interpellano le nostre coscienze.

I fatti sono ormai noti: un branco di tre giovani-adulti, tre padri di famiglia, ha sequestrato e torturato persone disabili, fragili, incapaci di difendersi. Il tutto è accaduto, sotto lo sguardo indifferente e il passo veloce di decine e decine di nostri concittadini.

Come definiremmo quanto accaduto? Vigliaccheria, malvagità, delinquenza, follia …

Probabilmente qualcuno la derubricherà a una «bravata di pessimo gusto»: d’altronde non è la prima volta che i forti schiacciano i deboli; né sarà l’ultima, purtroppo; così va la vita. È una scena che si ripete da secoli, anche in città ricche di cultura e di gente straordinaria.

La scena riprodotta dai social – badate bene, ad opera degli stessi torturatori che, con spavalderia e arroganza hanno ritenuto di doversi gloriare della loro bestialità – è agghiacciante: riprende vittime, carnefici, passanti indifferenti. Quelle immagini ci sbattono in faccia una triste realtà, quella dell’anestesia delle nostre coscienze. Ormai nulla più ci scuote: né i morti in mare, né i derelitti che vivono per strada, né le tragedie che si consumano nelle case accanto alle nostre, né la violenza perpetrata sotto gli occhi di tutti. Siamo davvero diventati come Caino (Gn 4,9) e quel suo «Sono forse io custode di mio fratello» è diventato purtroppo anche il nostro. È vero, potremmo dire: «Non siamo stati noi ad alzare la mano contro le vittime, non ne sapevamo nulla, non passavamo di là (anche se parecchia gente – a quanto rivelano le immagini – è passata e ha visto)» … eppure ciò non ci libera purtroppo dal peso morale di quanto accaduto. Il silenzio e l’omertà sono peccati dinanzi a Dio. Ci sentiamo chiamati in causa e chiediamo a Dio perdono per una colpa condivisa.

Questa esperienza, oltre a colpirci emotivamente, deve però spingerci al cambiamento, perché quanto accaduto non si ripeta mai più; deve convincerci che – come uomini e come cristiani – siamo realmente chiamati ad essere «custodi» gli uni degli altri, soprattutto dei più fragili e indifesi. Come comunità cattolica dobbiamo sentirci fortemente interpellati dal quel grido di aiuto rimasto inascoltato: le nostre parrocchie devono sempre più mettere al centro della propria attenzione pastorale le persone vulnerabili e quanti in questa società vivono l’esperienza della marginalità sociale.

Nei giorni in cui facciamo memoria dell’Olocausto e dell’annientamento di milioni di vite umane sotto gli occhi indifferenti di una civilissima Europa, questa triste storia recente ci richiama alla vigilanza e al risveglio della coscienza. In questi giorni di tristezza, Licata è la Diocesi intera: quanto accaduto qui avrebbe potuto accadere in tanti altri centri dell’agrigentino.

Alla comunità ecclesiale licatese chiediamo di essere per tutti noi «faro di civiltà», esempio di vita buona secondo il Vangelo, vita di inclusione, voce profetica degli ultimi.

Con amarezza e tristezza ci rivolgiamo a tutti i Licatesi, credenti e no. Se si resta indifferenti dinanzi a fatti così gravi, quale futuro consegneremo ai nostri ragazzi? E noi credenti, che forse ci siamo limitati a leggere i fatti e a fare spallucce sentendoci a posto con la coscienza, in quanto “certe cose” non le facciamo, pensiamo che l’indifferenza è già violenza e il perbenismo non è fede, anzi? C’è un’ultima grave domanda: se apparteniamo alla categoria dei borghesi e degli indifferenti, che senso ha la nostra Eucaristia domenicale? Purtroppo, noi la consideriamo un dovere, ma la Bibbia ci dice che già ora è giudizio di condanna. Con Dio non si può giocare!

Invitiamo i presbiteri a leggere questa lettera alla fine di ogni S. Messa domenica prossima e tutti preghiamo per la conversione del nostro cuore”.
(fonte: Diocesi di Agrigento 28/01/2021)

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La cronaca dei fatti

Licata, tre disabili vittima di un violento pestaggio: tre fermi per tortura e sequestro

Tre persone sono state fermate dai carabinieri la notte scorsa a Licata, in provincia di Agrigento, con l'accusa di tortura, sequestro di persona e violazione di domicilio. I tre avrebbero picchiato altri tre giovani disabili, già umiliati in altre occasioni. Una delle vittime sarebbe stata pestata con un bastone, legata con del nastro adesivo e abbandonata per strada fino a quando una donna di passaggio non l'ha liberata. I fermi di indiziato di delitto sono stati firmati dal procuratore Luigi Patronaggio e dal pm Gianluca Caputo a carico di A. C., 26 anni, G. S., 23 anni, e A. M. S., 36 anni. Entro 48 ore i pm chiederanno la convalida del fermo per i tre indagati e sarà fissata l'udienza davanti al gip.

I precedenti

A quanto emerso in precedenza le tre vittime erano state prese di mira ripetutamente e derise sui social. Erano state legate a una sedia con un secchio in testa e prese a calci e pugni, minacciate di morte, bloccate con del nastro adesivo e fatte ruzzolare in mezzo alla strada, imbrattate con della vernice sul viso. Le violenze venivano poi sempre filmate con gli smartphone e diffuse sui social con titoli di derisione. 

Secondo i pm non si può escludere che la banda si sia resa protagonista di altri episodi oltre a quelli finiti al centro dell'inchiesta e gli accertamenti sono ancora in corso.

Il commento del comandante provinciale dei carabinieri

"Per strada passavano decine e decine di persone, ma nessuno s'è fermato a prestare aiuto alle vittime, portatori di handicap o incapaci di intendere e di volere - ha evidenziato il comandante provinciale dell'Arma, il colonnello Vittorio Stingo -. Non c'è stata nessuna collaborazione e questa indifferenza collettiva per la sofferenza altrui ci ha colpito. Il branco era costituito da giovani, sposati e padri di figli, che riprendevano le loro violenze con i cellulari per poi diffondere i video sui social - ha spiegato - per schernire questi soggetti deboli. Social che da mezzi di comunicazione diventano strumento di diffusione di violenza".

"Ci siamo ritrovati davanti alla 'banalità del male' perché gli indagati ridevano della sofferenza di queste persone che hanno una difesa molto più bassa trattandosi di invalidi civili e di gente che ha problemi fisici o psichici - ha detto il comandante della compagnia di Licata, il capitano Francesco Lucarelli -. E' emersa anche la cultura, come direbbe Papa Francesco, dello 'scarto'. Le vittime sono state considerate alla stregua di oggetto inutile con il quale potersi dilettare".

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Guarda il video
(servizio di Tele Studio 98)

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“Il Signore veglia sul cammino dei giusti…” (Sal 1). Introduzione al Libro dei Salmi a cura di Gregorio Battaglia, carmelitano (VIDEO INTEGRALE)

“Il Signore veglia sul cammino dei giusti…” (Sal 1).
Introduzione al Libro dei Salmi 
a cura di Gregorio Battaglia, 
carmelitano 
(VIDEO INTEGRALE)

27 gennaio 2021 - Primo dei 
MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2021
Il Signore veglia sul cammino dei giusti 
Con i Salmi: per un cammino di maturità umana e di fede

promossi dalla
Fraternità Carmelitana 
di Barcellona P.G. (ME)


Gregorio Battaglia 
(Foto di repertorio)

1. Un libro che mostra una sua unità 
Il Libro dei Salmi è parte integrante della Bibbia ed è collocato nel Canone cristiano all’interno dei libri sapienziali, mentre nella Bibbia ebraica è inserito in quella sezione, che va sotto il nome di “Scritti”

a) Il libro delle preghiere 
Il termine “Salmi” è una traslitterazione del greco “psalmoi”, che fa riferimento ai canti accompagnati con la cetra, per cui il titolo del libro lo potremmo intendere come il “libro dei canti”. Va, però, precisato che quel gruppo di sapienti, che hanno tradotto la Bibbia dall’ebraico in greco e che va sotto il nome di “Bibbia dei Settanta”, scegliendo questo termine hanno voluto meglio caratterizzare l’intestazione ebraica, dove si parla di “libro delle preghiere”. In conclusione si può dire che il “Libro dei Salmi” è un libro di preghiere, adatte per essere cantate all’interno di un servizio liturgico. 

b) L’offerta di una proposta di vita 
La prima cosa che il libro dei Salmi ci chiede è quella di non considerarlo una semplice raccolta di canti per uso liturgico. Esso si presenta come un testo che mostra una sua unità e che richiede al lettore o all’orante la disponibilità a lasciarsi condurre dall’inizio alla fine per poter cogliere la strada che viene indicata. La tentazione più immediata è quella di fermarsi a cogliere le diverse forme letterarie, cioè, se si tratta di un inno, di una supplica, di un rendimento di grazie, di una memoria storica del passato. Così facendo si perde di vista l’intenzione del redattore finale, che ha dato a questa serie di canti un ordine ben preciso nell’intento di offrire al lettore/orante una proposta di vita.
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Più che soffermarci sui diversi generi letterari, che caratterizzano i vari testi presenti nel Salterio, forse è più opportuno cercare di cogliere il dinamismo che questa raccolta porta con sé. La voluta 2 corrispondenza con i libri della Torah ci dicono chiaramente che il Salterio andrebbe letto dall’inizio alla fine per poter avere la possibilità di cogliere l’itinerario spirituale ed allo stesso tempo umano che esso intende proporre. 
Alcuni, come A. Chouraqui, propongono come griglia di lettura l’immagine di una giornata intera, che, nella tradizione ebraica, inizia dalla sera, abbraccia tutto il giorno e si apre ad un nuovo mattino: si parte, cioè, da una situazione notturna contrassegnata dal predominare della supplica per giungere a quel nuovo mattino caratterizzato dalla pienezza della lode. 
Altri, invece, suggeriscono di cogliere nel Salterio un percorso umano, che partirebbe dalla nascita per giungere fino alla maturità. Noi seguiremo questa seconda proposta, cercando di cogliere in modo molto sommario qualcosa che rinvii a questo ideale cammino di maturazione
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GUARDA IL VIDEO
Relazione integrale

«La Bibbia non è scritta per un’umanità generica, ma per noi, per me, per te, per uomini e donne in carne e ossa, uomini e donne che hanno nome e cognome, come me, come te.» Papa Francesco Udienza Generale 27/01/2021 (testo e video)

UDIENZA GENERALE

Biblioteca del Palazzo Apostolico
Mercoledì, 27 gennaio 2021


Catechesi sulla preghiera - 22. La preghiera con le Sacre Scritture

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi vorrei soffermarmi sulla preghiera che possiamo fare a partire da un brano della Bibbia. Le parole della Sacra Scrittura non sono state scritte per restare imprigionate sul papiro, sulla pergamena o sulla carta, ma per essere accolte da una persona che prega, facendole germogliare nel proprio cuore. La parola di Dio va al cuore. Il Catechismo afferma: «La lettura della Sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera – la Bibbia non può essere letta come un romanzo –, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo» (n. 2653). Così ti porta la preghiera, perché è un dialogo con Dio. Quel versetto della Bibbia è stato scritto anche per me, secoli e secoli fa, per portarmi una parola di Dio. È stato scritto per ognuno di noi. A tutti i credenti capita questa esperienza: un passo della Scrittura, ascoltato già tante volte, un giorno improvvisamente mi parla e illumina una situazione che sto vivendo. Ma bisogna che io, quel giorno, sia lì, all’appuntamento con quella Parola, sia lì, ascoltando la Parola. Tutti i giorni Dio passa e getta un seme nel terreno della nostra vita. Non sappiamo se oggi troverà un suolo arido, dei rovi, oppure una terra buona, che farà crescere quel germoglio (cfr Mc 4,3-9). Dipende da noi, dalla nostra preghiera, dal cuore aperto con cui ci accostiamo alle Scritture perché diventino per noi Parola vivente di Dio. Dio passa, continuamente, tramite la Scrittura. E riprendo quello che ho detto la settimana scorsa, che diceva Sant’Agostino: “Ho timore del Signore quando passa”. Perché timore? Che io non lo ascolti, che non mi accorga che è il Signore.

Attraverso la preghiera avviene come una nuova incarnazione del Verbo. E siamo noi i “tabernacoli” dove le parole di Dio vogliono essere ospitate e custodite, per poter visitare il mondo. Per questo bisogna accostarsi alla Bibbia senza secondi fini, senza strumentalizzarla. Il credente non cerca nelle Sacre Scritture l’appoggio per la propria visione filosofica o morale, ma perché spera in un incontro; sa che esse, quelle parole, sono state scritte nello Spirito Santo, e che pertanto in quello stesso Spirito vanno accolte, vanno comprese, perché l’incontro si realizzi.

A me dà un po’ di fastidio quando sento cristiani che recitano versetti della Bibbia come i pappagalli. “Oh, sì, il Signore dice…, vuole così…”. Ma tu ti sei incontrato con il Signore, con quel versetto? Non è un problema solo di memoria: è un problema della memoria del cuore, quella che ti apre per l’incontro con il Signore. E quella parola, quel versetto, di porta all’incontro con il Signore.

Noi, dunque, leggiamo le Scritture perché esse “leggano noi”. Ed è una grazia potersi riconoscere in questo o quel personaggio, in questa o quella situazione. La Bibbia non è scritta per un’umanità generica, ma per noi, per me, per te, per uomini e donne in carne e ossa, uomini e donne che hanno nome e cognome, come me, come te. E la Parola di Dio, impregnata di Spirito Santo, quando è accolta con un cuore aperto, non lascia le cose come prima, mai, cambia qualcosa. E questa è la grazia e la forza della Parola di Dio.

La tradizione cristiana è ricca di esperienze e di riflessioni sulla preghiera con la Sacra Scrittura. In particolare, si è affermato il metodo della “lectio divina”, nato in ambiente monastico, ma ormai praticato anche dai cristiani che frequentano le parrocchie. Si tratta anzitutto di leggere il brano biblico con attenzione, di più, direi con “obbedienza” al testo, per comprendere ciò che significa in se stesso. Successivamente si entra in dialogo con la Scrittura, così che quelle parole diventino motivo di meditazione e di orazione: sempre rimanendo aderente al testo, comincio a interrogarmi su che cosa “dice a me”. È un passaggio delicato: non bisogna scivolare in interpretazioni soggettivistiche ma inserirsi nel solco vivente della Tradizione, che unisce ciascuno di noi alla Sacra Scrittura. E l’ultimo passo della lectio divina è la contemplazione. Qui le parole e i pensieri lasciano il posto all’amore, come tra innamorati ai quali a volte basta guardarsi in silenzio. Il testo biblico rimane, ma come uno specchio, come un’icona da contemplare. E così si ha il dialogo.

Attraverso la preghiera, la Parola di Dio viene ad abitare in noi e noi abitiamo in essa. La Parola ispira buoni propositi e sostiene l’azione; ci dà forza, ci dà serenità, e anche quando ci mette in crisi ci dà pace. Nelle giornate “storte” e confuse, assicura al cuore un nucleo di fiducia e di amore che lo protegge dagli attacchi del maligno.

Così la Parola di Dio si fa carne – mi permetto di usare questa espressione: si fa carne – in coloro che la accolgono nella preghiera. In qualche testo antico affiora l’intuizione che i cristiani si identificano talmente con la Parola che, se anche bruciassero tutte le Bibbie del mondo, se ne potrebbe ancora salvare il “calco” attraverso l’impronta che ha lasciato nella vita dei santi. È una bella espressione, questa.

La vita cristiana è opera, nello stesso tempo, di obbedienza e di creatività. Un buon cristiano deve essere obbediente, ma deve essere creativo. Obbediente, perché ascolta la Parola di Dio; creativo, perché ha lo Spirito Santo dentro che lo spinge a praticarla, a portarla avanti. Gesù lo dice alla fine di un suo discorso pronunciato in parabole, con questo paragone: «Ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro – il cuore – cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52). Le Sacre Scritture sono un tesoro inesauribile. Il Signore ci conceda, a tutti noi, di attingervi sempre più, mediante la preghiera. Grazie.

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Saluti:

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APPELLO

Oggi, anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, si celebra la Giornata della memoria. Commemoriamo le vittime della Shoah e tutte le persone perseguitate e deportate dal regime nazista. Ricordare è espressione di umanità. Ricordare è segno di civiltà. Ricordare è condizione per un futuro migliore di pace e di fraternità. Ricordare anche è stare attenti perché queste cose possono succedere un’altra volta, incominciando da proposte ideologiche che vogliono salvare un popolo e finiscono per distruggere un popolo e l’umanità. State attenti a come è incominciata questa strada di morte, di sterminio, di brutalità.

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Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. Domani ricorre la memoria liturgica di San Tommaso d’Aquino, patrono delle scuole cattoliche. Il suo esempio spinga tutti, specialmente gli studenti, a vedere in Gesù l’unico maestro di vita; mentre la sua dottrina vi incoraggi ad affidarvi alla sapienza del cuore per adempiere la vostra missione.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Auspico che ciascuno, nella propria condizione, contribuisca con generosità a diffondere la gioia di amare e servire Gesù.


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