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sabato 28 marzo 2020

Tu non mi lasci morire - Commento al Vangelo - V domenica di Quaresima (A) a cura di P. Ermes Ronchi

Tu non mi lasci morire 
 È questa la salvezza: il pianto di Dio. 
Sono io l’amico che Egli non accetta di veder finire 
nel nulla della morte.

I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire
In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». […] Gv 11,1–45


per i social


È questa la salvezza: il pianto di Dio. Sono io l’amico che Egli non accetta di veder finire nel nulla della morte.

Gesù piange. Le lacrime sono la sua ribellione, stupenda “arroganza” dell’amico che si rifiuta di accettare la morte dell’amico.
Amore arrogante fino al grido: vieni fuori!
Di Lazzaro non sappiamo nulla se non che era suo amico. Sappiamo anche di tutte le lacrime versate per la sua morte: di Marta e Maria, dei giudei, di Gesù stesso.
Io invidio Lazzaro non per la vita ridata, ma per essere circondato da amici, segno di una vita riuscita con la santità che è propria dell’amicizia, il sacramento che conforta la vita.
La morte mette in gioco la credibilità di Dio. Se è per sempre, allora Lui è Dio di morte!
Ma un forte filo rosso attraversa tutta la Bibbia: Lui è il Dio dei vivi, non dei morti. Come alla samaritana è ancora a una donna che Gesù regala parole di speranza: Io ci sono e sono colui che adesso, qui, fa rinascere e ripartire da tutte le cadute, gli inverni, gli abbandoni.
Eppure a me che cosa importa di Lazzaro, cosa me ne faccio della sua resurrezione? Lazzaro non è mio amico, non è mio padre o mia madre, non è uno dei miei morti.
A me non importa Lazzaro, mi importano le lacrime di Gesù per l’amico! È questa la salvezza: il pianto di Dio. Sono io l’amico che Egli non accetta di veder finire nel nulla della morte. E quante volte sono morto! Quante volte mi sono addormentato! Era finito l’olio della lampada e.. punto. Finito tutto. Buio immenso di silenzio.
Finita la voglia di amare, e con lei quella di vivere. E mi dicevo in qualche grotta oscura dell’anima: Dio non mi interessa più. Non mi importa se mi ama.

Nel giorno delle lacrime Dio sembra essere lontano. Il suo ritardo pesa.
Poi un seme ha cominciato a spingere, non so dove.. perché. Una pietra si è mossa e si è infilato un raggio di sole, un sussurro d’amico ha percosso il silenzio, delle lacrime hanno bagnato le bende.
Il risvegliarsi dell’umano.
Io sono la risurrezione, io il rialzarsi della vita che si è arresa!
Bella la sequenza delle parole: prima viene la risurrezione e poi la vita, non il contrario.
Siamo chiamati come vivi alla fatica del risorgere per una vita salda, amorevole, generosa, sorridente, creativa. Eterna.

Una vita che rotola armoniosa nelle mani di Dio.
E il perché sta in questo amore fino al pianto. Risorgiamo ora, e dopo la morte, perché il suo vero nemico non è la vita, è l’amore. Forte come la morte, dice il Cantico.
Se il nome di Dio è amore, allora lo è anche Risurrezione.
Lazzaro, vieni fuori! Liberatelo e lasciatelo andare!
Tre ordini per risorgere: esci, liberati e vai. Con passo leggero, su sentieri aperti al sole, in un mondo che sa, sicuro, che qualcuno va ben oltre la morte.
Il vero risorto non è Lazzaro, tornato alla sua vita mortale, ma le sorelle di Betania e tutti i giudei che quel giorno hanno creduto all’amore.
Come chiunque riempia la propria vita di Dio.



per Avvenire

Il racconto della risurrezione di Lazzaro è la pagina dove Gesù appare più umano. Lo vediamo fremere, piangere, commuoversi, gridare (…)

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