a cura di Antonio Savone
VI giorno
Restituire il Natale
Passi nella notte, i nostri. Affrettati o lenti che siano, sono senz’altro passi veri. Passi messi in moto da delle ragioni del cuore che niente e nessuno riesce a spegnere e che, foss’anche per un’ora soltanto, fanno venire il groppo alla gola. I più sono passi che coinvolgono: ciascuno ha coinvolto qualcun altro in questo cammino nella notte, quasi avessimo bisogno di qualcuno a cui poter dire: non era un vaneggiamento quello che abbiamo vissuto. Passi nella notte per non mancare ad un appuntamento, quasi riconoscessimo segretamente che qualcosa accade anche per noi stanotte. Quanto vorrei farmi interprete e dare un nome, un volto e una parola a questi passi nella notte! Da ascoltare con discrezione i nostri passi che Dio conta anche quando vaghiamo lontano da lui. Li conta mettendosi al nostro passo. Non ci narra forse di questo il Natale? Di un Dio sui passi del vagare dell’uomo?
Non credo siamo qui perché presi da una sorta di illusione collettiva. È come se presagissimo che forse è possibile leggere la vita anche da un’altra prospettiva. È come se sentissimo il bisogno di un riscatto, almeno per una volta, almeno per stanotte. E il riscatto è tutto nel non addolcire lo scandalo del racconto nella notte.
Nella notte – già il fatto che sia di notte la dice lunga – ci viene narrato di un Dio che fa grazia a tutti, nessuno escluso, a qualunque condizione sociale o morale appartenga. Nella notte ci viene narrato di un Dio-con-noi, un Dio-con-l’uomo quale che sia, l’uomo senza aggettivi. Un Dio il cui nome non rifiuta di stare accanto al mio, Dio-con-Antonio, Dio-con-Roberto, Dio-con-Paola, Dio-con-ognuno di noi. Il problema, semmai, è se io acconsento che il mio nome sia accanto al suo.
Ci rendiamo conto che se vogliamo gustare appieno ciò che accade in questa notte dobbiamo compiere un’opera di restituzione: noi abbiamo sottratto il Natale a Gesù Cristo. Ce ne siamo appropriati ma paradossalmente abbiamo disinnescato tutta la forza dirompente che un evento come la nascita di Dio nella nostra condizione umana – per giunta la più abbietta – avrebbe voluto portare. Glielo dobbiamo restituire se vogliamo riprendere a sperare. Ne va di noi. Ne va del presente e del futuro. Il fatto che siamo in tanti stanotte è come un attestare che questo è ciò che deve accadere: restituire il Natale a Dio. Lo deve fare la comunità cristiana tutta. E glielo restituiamo nella misura in cui ospiti d’onore a questo Natale sono tutti coloro di cui Gesù ha detto ci precederanno nel regno dei cieli. E ricorderete che parlava di pubblicani e prostitute, di uomini e donne ai margini.
Sentiamo che il vangelo che ci raggiunge questa notte non ha ancora smarrito la sua forza di ribellione. Percepiamo che il cristianesimo ha dato il meglio di sé quando ha saputo coniugare il suo porsi contro il trionfo dell’inevitabile e dell’invariabile. L’incarnazione di Gesù sta a indicare che Dio non ha mai detto: così è e così sia per i secoli in eterno. La nascita nella notte indica che davvero nulla è inevitabile. Si può ancora sperare: anche dentro la Chiesa. È la speranza la grande nemica del potere, un potere che si nutre di disperazione, paura, rassegnazione e sottomissione.
Avvertiamo che quello che accade stanotte non ha bisogno di decodifiche. Intuiamo che qui accade qualcosa di nuovo. Nulla è nell’ordine del prevedibile. Quello che celebriamo è il Natale di un disobbediente. Paradossale ma vero: proprio mentre si sottopone a un censimento (un’obbedienza obbligata e obbligatoria per essere riconosciuti) disobbedisce anzitutto all’immaginario “degno” di Dio, quell’immaginario che volentieri lo collocherebbe in dei luoghi e non in altri, in alcune esperienze e non in altre.
Avviene fuori il Natale del disobbediente, come avverrà fuori da ogni possibilità di omologazione a un gruppo o a un sistema la sua esistenza, come avverrà fuori la sua morte. La sua nascita, la sua vita e la sua morte fuori da ogni consenso e da ogni esercizio di potere. A tema, dunque, in questo Natale, il fuori.
Quel Dio di cui celebriamo la nascita era stato annunciato come colui che finalmente avrebbe messo ordine, fatto pulizia, stabilito separazioni. E, invece, proprio coloro che conducevano una vita vagabonda, fatta addirittura di promiscuità con gli animali, fuori da ogni canone di legge, proprio loro i primi destinatari di un annuncio nella notte.
Quel Dio fatto bambino propone un incontro non delle pratiche di separatezza o di privilegio o di maggior purezza. Non propone una dottrina ma la possibilità di irradiare mediante gesti di gratuità la stessa bontà del Signore.
Natale è questo: un Dio che cerca chi per troppo tempo ha patito esclusione e separatezza. Natale è uno sguardo di benevolenza verso chi è malvisto o costretto alla clandestinità o “buttato” in quelle categorie che noi abbiamo creato con l’illusione di poter vivere meglio. Natale è un Dio che arriva a noi per una via di esclusione, un Dio che nasce fuori e si fa annunciare non a chi può vantare percorsi devoti. Sembra quasi abbia bisogno di stare alla larga da chi vanta percorsi devoti.
Fino a quando vorremo essere noi a stabilire le vie a partire dalle quali è a Lui concesso stare in mezzo a noi? È questa la prospettiva da recuperare se non vogliamo rimanere ai margini di questo Natale.
(fonte: A casa di Cornelio)