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martedì 9 luglio 2019

NON SI TRATTA SOLO DI MIGRANTI! SONO PERSONE! Papa Francesco Messa per i migranti (Testo e video)

NON SI TRATTA SOLO DI MIGRANTI! 
SONO PERSONE!  
I migranti sono il simbolo
di tutti gli scartati della società

I migranti «sono prima di tutto persone umane» e oggi rappresentano «il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata». Lo ha detto Papa Francesco all’omelia della messa presieduta nella basilica di San Pietro lunedì mattina, 8 luglio, in occasione del sesto anniversario della visita compiuta nel 2013 a Lampedusa.


Durante la celebrazione, alla quale hanno partecipato circa 250 persone tra migranti, rifugiati e quanti si sono prodigati per salvare le loro vite, il Pontefice ha rivolto il suo pensiero «agli “ultimi” che ogni giorno gridano al Signore, chiedendo di essere liberati dai mali che li affliggono» (espressione poi rilanciata in un tweet postato a fine mattinata sull’account @Pontifex). Sono, ha detto, «gli ultimi ingannati e abbandonati a morire nel deserto; sono gli ultimi torturati, abusati e violentati nei campi di detenzione; sono gli ultimi che sfidano le onde di un mare impietoso; sono gli ultimi lasciati in campi di un’accoglienza troppo lunga per essere chiamata temporanea».

Purtroppo, ha constatato Francesco, «le periferie esistenziali delle nostre città sono densamente popolate di persone scartate, emarginate, oppresse, discriminate, abusate, sfruttate, abbandonate, povere e sofferenti». Si tratta, ha ribadito, di «persone», non soltanto «di questioni sociali o migratorie». Per Francesco, «i più deboli e vulnerabili devono essere aiutati». È «una grande responsabilità — ha sottolineato — dalla quale nessuno si può esimere se vogliamo portare a compimento la missione di salvezza e liberazione alla quale il Signore stesso ci ha chiamato a collaborare».

Alla questione migratoria il Papa aveva fatto riferimento anche al termine dell’Angelus di domenica 7. Dopo una riflessione introduttiva dedicata al brano evangelico di Luca (10,1-12.17-20), il Pontefice ha esortato i fedeli «a pregare per le povere persone inermi uccise o ferite dall’attacco aereo che ha colpito un centro di detenzione di migranti in Libia». Per Francesco si tratta di fatti «gravi» che «la comunità internazionale non può tollerare». Da qui l’auspicio che «siano organizzati in modo esteso e concertato i corridoi umanitari per i migranti più bisognosi». Dal Papa anche l’invito a ricordare «tutte le vittime delle stragi che recentemente sono state compiute in Afghanistan, Mali, Burkina Faso e Niger». 
(fonte: L'OSSERVATORE ROMANO)

SANTA MESSA PER I MIGRANTI
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Altare della Cattedra, Basilica di San Pietro
Lunedì, 8 luglio 2019



Oggi la Parola di Dio ci parla di salvezza e di liberazione.

Salvezza. Durante il suo viaggio da Bersabea a Carran, Giacobbe decide di fermarsi a riposare in un luogo solitario. In sogno, vede una scala che in basso poggia sulla terra e in alto raggiunge il cielo (cfr Gen 28,10-22a). La scala, sulla quale salgono e scendono gli angeli di Dio, rappresenta il collegamento tra il divino e l’umano, che si realizza storicamente nell’incarnazione di Cristo (cfr Gv 1,51), offerta amorosa di rivelazione e di salvezza da parte del Padre. La scala è allegoria dell’iniziativa divina che precede ogni movimento umano. Essa è l’antitesi della torre di Babele, costruita dagli uomini che, con le proprie forze, volevano raggiungere il cielo per diventare dèi. In questo caso, invece, è Dio che “scende”, è il Signore che si rivela, è Dio che salva. E l’Emmanuele, il Dio-con-noi, realizza la promessa di mutua appartenenza tra il Signore e l’umanità, nel segno di un amore incarnato e misericordioso che dona la vita in abbondanza.

Di fronte a questa rivelazione, Giacobbe compie un atto di affidamento al Signore, che si traduce in un impegno di riconoscimento e adorazione che segna un momento essenziale nella storia della salvezza. Chiede al Signore di proteggerlo nel difficile viaggio che dovrà proseguire e dice: 
«Il Signore sarà il mio Dio» (Gen 28,21).

Facendo eco alle parole del patriarca, al Salmo abbiamo ripetuto: “Mio Dio, in te confido”. È Lui il nostro rifugio e la nostra fortezza, scudo e corazza, àncora nei momenti di prova. Il Signore è riparo per i fedeli che lo invocano nella tribolazione. Del resto è proprio in questi frangenti che la nostra preghiera si fa più pura, quando ci accorgiamo che valgono poco le sicurezze che offre il mondo e non ci resta che Dio. Solo Dio spalanca il Cielo a chi vive in terra. Solo Dio salva.

E questo totale ed estremo affidamento è ciò che accomuna il capo della sinagoga e la donna malata nel Vangelo (cfr Mt 9,18-26). Sono episodi di liberazione. Entrambi si avvicinano a Gesù per ottenere da Lui ciò che nessun altro può dare loro: liberazione dalla malattia e dalla morte. Da una parte abbiamo la figlia di una delle autorità della città; dall’altra abbiamo una donna afflitta da una malattia che fa di lei una reietta, una emarginata, una persona impura. Ma Gesù non fa distinzioni: la liberazione è elargita generosamente in entrambi i casi. Il bisogno pone entrambe, la donna e la fanciulla, tra gli “ultimi” da amare e rialzare.

Gesù rivela ai suoi discepoli la necessità di un’opzione preferenziale per gli ultimi, i quali devono essere messi al primo posto nell’esercizio della carità. Sono tante le povertà di oggi; come ha scritto San Giovanni Paolo II, i «“poveri”, nelle molteplici dimensioni della povertà, sono gli oppressi, gli emarginati, gli anziani, gli ammalati, i piccoli, quanti vengono considerati e trattati come “ultimi” nella società» (Esort. ap. Vita consecrata, 82).

In questo sesto anniversario della visita a Lampedusa, il mio pensiero va agli “ultimi” che ogni giorno gridano al Signore, chiedendo di essere liberati dai mali che li affliggono. Sono gli ultimi ingannati e abbandonati a morire nel deserto; sono gli ultimi torturati, abusati e violentati nei campi di detenzione; sono gli ultimi che sfidano le onde di un mare impietoso; sono gli ultimi lasciati in campi di un’accoglienza troppo lunga per essere chiamata temporanea. Essi sono solo alcuni degli ultimi che Gesù ci chiede di amare e rialzare. Purtroppo le periferie esistenziali delle nostre città sono densamente popolate di persone scartate, emarginate, oppresse, discriminate, abusate, sfruttate, abbandonate, povere e sofferenti. Nello spirito delle Beatitudini siamo chiamati a consolare le loro afflizioni e offrire loro misericordia; a saziare la loro fame e sete di giustizia; a far sentire loro la paternità premurosa di Dio; a indicare loro il cammino per il Regno dei Cieli. Sono persone, non si tratta solo di questioni sociali o migratorie! “Non si tratta solo di migranti!”, nel duplice senso che i migranti sono prima di tutto persone umane, e che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata.

Viene spontaneo riprendere l’immagine della scala di Giacobbe. In Gesù Cristo il collegamento tra la terra e il Cielo è assicurato e accessibile a tutti. Ma salire i gradini di questa scala richiede impegno, fatica e grazia. I più deboli e vulnerabili devono essere aiutati. Mi piace allora pensare che potremmo essere noi quegli angeli che salgono e scendono, prendendo sottobraccio i piccoli, gli zoppi, gli ammalati, gli esclusi: gli ultimi, che altrimenti resterebbero indietro e vedrebbero solo le miserie della terra, senza scorgere già da ora qualche bagliore di Cielo.

Si tratta, fratelli e sorelle, di una grande responsabilità, dalla quale nessuno si può esimere se vogliamo portare a compimento la missione di salvezza e liberazione alla quale il Signore stesso ci ha chiamato a collaborare. So che molti di voi, che sono arrivati solo qualche mese fa, stanno già aiutando i fratelli e le sorelle che sono giunti in tempi più recenti. Voglio ringraziarvi per questo bellissimo segno di umanità, gratitudine e solidarietà.


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