Al di là del linguaggio della violenza
Il proiettile a Salvini
di Giuseppe Savagnone
By Brian Glanz from Seattle (Message to and from Obama) [CC BY 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)], via Wikimedia Commons |
La busta, contenente il proiettile calibro 22, indirizzata a Matteo Salvini, potrebbe essere considerata una stupida bravata e come tale liquidata, se non si inserisse in un fenomeno ben più ampio e ben più preoccupante, di cui siamo testimoni ormai da tempo, che è l’imbarbarimento dei rapporti civili nel nostro Paese.
«Evidentemente le parole di odio di certa sinistra convincono certe menti malate, ma sicuramente non mi fanno paura» – ha commentato il ministro dell’Interno – «anzi, mi danno ancora più forza e voglia di combattere criminali di ogni genere».
E i giornali schierati al suo fianco non hanno mancato di ricordare gli attacchi dei centri sociali alle sedi leghiste e gli slogan violenti che vengono ripetuti durante le manifestazioni antigovernative.
Violenza per denunciare la violenza
Senonché, basta scorrere la valanga di indignati commenti dei lettori di questi giornali alla notizia, per rendersi conto che la violenza non è solo di una parte politica.
Gli epiteti e le accuse rivolte non all’ignoto autore della missiva, ma alla sinistra in blocco – «feccia», «criminali», «ipocriti e ignoranti», «bastardi rossi», «cancro d’Italia», «menti vili e bacate», «ad essere ricchi sono solo loro» (cito alcuni commenti che ho visto in coda ad articoli su pagine ufficiali di testate giornalistiche) – rispecchiano esattamente lo stesso atteggiamento che condannano, un misto di odio e di disprezzo verso gli avversari, che non lascia alcuno spazio al dialogo.
L’attacco non è rivolto solo alla classe politica, ma colpisce varie categorie coinvolte, ultimamente, nell’opposizione alle politiche governative sull’immigrazione: «Avanti così sinistri, buonisti, ipocriti, accattoni dell’accoglienza, associazioni pseudo religiose, coop, certi prelati, intellettuali, filosofi, magistrati immigrazionisti, i rackete boys, i restiamo umani, le magliette rosse, avvenire, famiglia cristiana, fffiuuu. Dimentico qualcuno…?».
L’attacco alle autorità morali
A dire il vero l’autore del commento dimentica papa Francesco, fatto oggetto di una salva di fischi in piazza Duomo durante un discorso di Salvini e anche lui sommerso ormai abitualmente di insulti ogni volta che parla dei migranti come di fratelli da rispettare: «fintopapa», «politicante da strapazzo», «pampero»… insieme all’invito sprezzante: «Rimandatelo da dove viene».
Con la differenza che, mentre gli eccessi verbali nei confronti degli avversari politici e di categorie ritenute vicine ad essi, ci sono sempre stati, anche se in misura immensamente minore di quanto ormai accade oggi da entrambe le parti, di veri e propri insulti a un pontefice personalmente non ne ricordo prima d’ora.
Da questo punto di vista l’attuale pontificato registra una novità che non può non inquietare chiunque, anche non credente, consideri importante il rispetto per le autorità morali.
È il motivo per cui trovo inaccettabile lo stile con cui proprio Salvini – che ad ogni occasione rivendica il rispetto che si deve alla sua carica di ministro e di vicepremier – ha sempre trattato le istituzioni.
Rimando, per chi ne volesse un saggio inconfutabile, al video del suo messaggio di capodanno 2016, dove, facendo il verso al discorso del Presidente della Repubblica, lo apostrofava, dandogli del “tu”, con espressioni di finto romanesco del tipo: «A’ Sergio…!»
Condannare la violenza in ogni sua espressione
Sono convinto fermamente che ogni espressione di violenza, fisica o simbolica, che colpisca il nostro vice-premier o altri sulle sue posizioni, come la Meloni, è un colpo inferto alla nostra democrazia.
Sospetto anche che ci possano essere ancora oggi ambienti dove il ricordo di una opposizione fondata sulla ragione delle armi, piuttosto che sulle armi della ragione – come fu drammaticamente quella del tempo delle Brigate Rosse – suscita delle nostalgie (il proiettile al leader leghista sarebbe su questa linea). Ritengo questi atteggiamenti un segno allarmante della crisi culturale ed etica in cui versa la nostra società.
Ma vorrei che le persone intellettualmente oneste – e ce ne sono – che danno il loro sostegno a questo governo e a Salvini, concordi con me nel prendere le distanze dalle espressioni di odio della “sinistra”, lo siano anche nel rifiutare quelle che – specie su internet, ma anche nei titoli di quotidiani – vengono dalla “destra”.
La violenza contro le donne
Qui non si tratta di scelte politiche, ma del linguaggio e dell’atteggiamento con cui queste scelte vengono espresse e discusse. Per intenderci: non si tratta di condividere o meno la linea di Laura Boldrini, ma di stabilire se in un Paese civile questa linea si possa contrastare, come ha fatto Grillo qualche anno fa (quando peraltro Boldrini ricopriva la terza carica dello Stato), lanciando sul web la domanda di cosa si farebbe in auto con lei, scatenando una persecuzione sessista che è durata per anni.
Oggi Salvini chiede alla leader di Leu la solidarietà in occasione del messaggio minatorio appena ricevuto, ma non ricordo che ne abbia mai data quando la vittima della violenza era lei. (Per completezza, a sua volta Boldrini lo ha accusato recentemente, con lo stesso garbo, di «infettare la società»…).
Come del resto, dopo il caso Sea-Watch, non ha mostrato di voler prendere le distanze – quali che fossero i motivi di dissenso – dal fiume di fango sessista scatenato dai suoi sostenitori contro Carola Rackete (e ricondotto a lui perfino da un membro del governo di cui è vice-premier).
Il valore decisivo del linguaggio
Il linguaggio non è un fattore estrinseco, un semplice modo di comunicare il pensiero e i fatti.
La filosofia contemporanea ha chiaramente messo in luce che esso dà forma all’uno e agli altri, li plasma e li costituisce. Un mondo plasmato da una comunicazione che non conosce il rispetto per l’altro è un mondo disumano. Un mondo dove non si può più discutere, perché si dà sempre per scontato che l’altro sia in malafede e che l’unico modo per rivendicare le proprie ragioni sia di annientarlo, diffamandolo o deridendolo.
Le fake news sono diventate, per questo, un’arma di terribile efficacia. L’immagine dei deputati del Pd su una barca, intorno a una tavola lautamente imbandita, nei giorni del caso Sea-Watch, è diventata virale, prima che il deputato leghista che l’aveva postata riconoscesse che era un fotomontaggio e che l’aveva postata solo «per scherzo». (Per la cronaca, ha avuto poi anche la faccia tosta di fare la vittima per le critiche sacrosante suscitate dal suo “scherzo”…).
Dal cieco scontro al conflitto dialogico
E allora, proviamo a riscoprire le condizioni per fare politica in modo decente, rinunziando a massacrarci a vicenda. Questo non significa essere d’accordo sui problemi. Ma consente di sostituire allo sterile scontro verbale il confronto. I conflitti sono fisiologici in democrazia.
Essa però nasce con l’intento di trasformarli in un dialogo costruttivo, dove le differenze di idee e di sensibilità possano diventare un contributo alla ricerca comune di soluzioni valide, nell’interesse di tutti.
Per questo oggi è necessaria una svolta. Ad attuarla, però, devono essere tutti coloro che sono disposti anche a criticare la propria parte politica quando non si adegua alle regole del rispetto e dell’educazione, nella consapevolezza che, nei rapporti umani, queste forme sono anche la sostanza di ciò che si dice e si fa. Salvo, naturalmente, a esigere il corrispettivo dagli “avversari” (ma non limitandosi a parlare di loro!).
Nella vita quotidiana
La peste che ha ampiamente contagiato la nostra società non inquina peraltro solo la politica. La volgarità, la scortesia, l’incapacità di pensare all’altro come a una risorsa, si riscontrano ampiamente anche nella vita di ogni giorno.
Forse è da lì che bisognerebbe partire. Non sarebbe ancora la svolta morale decisiva, ma potrebbe costituire un passo verso di essa: l’“etichetta” che cosa è se non una piccola etica? A questo ognuno può contribuire nella vita quotidiana. Forse non è molto, ma potrebbe essere un modo per cominciare.
(fonte: Tuttavia)