La ribellione dei sindaci
contro il decreto sicurezza
di Giuseppe Savagnone
Mentre si allarga il fronte dei sindaci che protestano contro il “Decreto sicurezza” – ora si è aggiunto agli altri anche quello di Milano, Sala –, il nostro ministro degli Interni non recede di un passo dalla sua posizione, riassunta nelle dichiarazioni fatte fin dall’inizio di questa vicenda: «Ne risponderanno personalmente, legalmente, civilmente, perché è una legge dello Stato che mette ordine e mette regole. Ricordo a questi sindaci di sinistra che il Decreto Sicurezza, una legge di buon senso e civiltà, è stato approvato da governo e parlamento, e firmato dal presidente della Repubblica».
La costituzionalità delle leggi e il ruolo di Mattarella
Dove è da notare l’accento posto sul ruolo di Mattarella, garante della Costituzione e, nella logica di Salvini, anche della legittimità della legge in questione.
Per la verità, è la prima volta che il leader leghista si appella al rispetto per la più alta carica dello Stato, indicato, in un messaggio agli italiani del 31 dicembre 2016 (volutamente alternativo a quello di fine d’anno del Presidente), come «il signor Mattarella» e apostrofato con un romanesco «A’ Sergio…!», invitandolo a vergognarsi per quello che aveva appena detto nel suo discorso e completando il suo garbato richiamo – sempre dandogli del “tu” – con un secco: «Non mi rappresenti».
Precisato questo – tanto per non dimenticare…–, la questione essenziale è se la firma del presidente della Repubblica possa costituire un’obiezione a chi nega la legittimità costituzionale di una legge. Ed è ovvio di no.
Altrimenti perché esisterebbe la Corte costituzionale, incaricata appunto di valutare la conformità alla Costituzione delle norme emanate dal Parlamento, tutte firmate, per poter entrare in vigore, dal capo dello Stato?
La fedeltà alle leggi ingiuste, secondo Salvini
Resta vero, però, che questa valutazione tocca appunto alla Corte costituzionale, non ai sindaci. A meno che… A meno che il problema che una legge pone non riguardi questioni etiche così fondamentali da chiamare in causa la coscienza delle persone, siano amministratori o semplici cittadini.
Era questa, almeno, la convinzione del leader della Lega quando l’11 maggio del 2016, giorno dell’approvazione della legge sulle unioni civili alla Camera, dichiarava durante un’intervista radiofonica: «Scimmiottare matrimoni o addirittura figli o adozioni non fa parte del futuro del progresso. Senza dimenticare che queste unioni sono l’anticamera delle adozioni gay. Motivo per cui chiederò come Lega a tutti i sindaci e amministratori locali di disobbedire a quella che è una legge sbagliata». E aggiungeva: «La disobbedienza alle leggi sbagliate è una virtù».
Nessuno pensò, allora, a ventilare – nel caso l’invito fosse accolto – l’ipotesi dell’invio dell’esercito, né quella delle dimissioni dei sindaci che si fossero rifiutati di celebrare le unioni civili.
Ma non posso fare a meno di osservare che il punto di vista di Salvini, in quelle dichiarazioni, era molto vicino a quello espresso oggi da Orlando quando rifiuta l’obbedienza a una legge che viola le regole più fondamentali dell’umana convivenza.
Disobbedienza civile?
Per la verità, una differenza c’è, ed è che il sindaco di Palermo espressamente precisa la sua volontà di restare, con questo atto, fedele alla nostra Costituzione: «Il nostro non è un atto di disobbedienza civile né di obiezione di coscienza, ma la semplice applicazione dei diritti costituzionali che sono garantiti a tutti coloro che vivono nel nostro paese».
Insomma, non siamo nella logica della pura e semplice legalità – come si è detto, l’incostituzionalità delle leggi può essere dichiarata solo dalla Corte costituzionale –, ma neppure in quello di una presa di posizione etica soggettiva, che prescinde dal diritto “positivo” per appellarsi a quello “naturale”.
La pretesa di Orlando è che le due sfere – da sempre contrapposte nei dibattiti fra “giuspositivisti” (sostenitori dell’idea che la sola legge è quella emanata dagli organi dello Stato) e “giusnaturalisti” (secondo i quali ce n’è un’altra, più alta, inscritta nella natura umana) – si trovino a coincidere nella tutela dei diritti fondamentali dell’uomo da parte della nostra Carta costituzionale e che perciò la loro difesa contro il “Decreto sicurezza” è un dovere non solo morale, ma civico.
La forma e l’essenza della legalità
Perciò, a dispetto delle apparenze, secondo il sindaco di Palermo ad essere “fuorilegge” è non lui, ma Salvini, quando, in nome di una mera legalità formale, contraddice il significato più profondo del nostro ordinamento giuridico.
In questa luce, appare chiaro che, la battaglia di Orlando e degli altri sindaci “ribelli” non è volta – come sarebbe nel caso dell’obiezione di coscienza – a rivendicare per se stessi un’eccezione alla legge, ma a cambiarla radicalmente, eliminandone tutto ciò che contraddice la Costituzione e ripristinando così il “diritto”.
Un paradosso? I fanatici della legalità – e ce ne sono sia “di destra” che “di sinistra” – lo pensano. «La legge è legge e non si può seguirla solo quando fa comodo!» abbaiano sui social, già nel “caso Lucano”, i meno lucidi seguaci del “capitano” (immemori, evidentemente, delle sue passate prese di posizione).
E anche nel Pd non mancano tanti che, pur nemici acerrimi di Salvini, pensano che la legalità formale coincida automaticamente col bene comune (anche loro dimentichi, a quanto pare, delle leggi ad personam) e sia dunque inviolabile.
Leggi, diritti, beni comuni
Ma riflettiamoci un momento. Se c’è una legge che esclude tutti coloro a cui verrà negato il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari – a cui avevano fino a oggi diritto per l’impossibilità di condurre una vita decente nei loro paesi – dalle cure sanitarie, dalla scuola, dalla possibilità di prendere in affitto un’abitazione – se c’è una legge che nega a degli esseri umani la possibilità di vivere da uomini, ricacciandoli nel nulla – , possiamo dire che il rifiutare di obbedirle, da parte non solo dei sindaci, ma di ogni cittadino, sia soltanto una personale obiezione di coscienza, o non è piuttosto fedeltà a quella Costituzione che fu scritta proprio per difendere le persone – non solo gli italiani! – da ogni offesa alla loro umanità?
Ognuno dia la sua risposta.
(Fonte: rubrica "I Chiaroscuri" - 04.01.2019)
DIBATTITO SALVINI-ANCI,
MA A PERDERE SONO LE DONNE
di Sonia Berti
Molti sindaci si rifiutano di mettere in atto la Legge Salvini,
il vicepremier risponde con minacce e chiusura.
A perderne, ancora una volta, chi ha davvero bisogno di aiuto:
i migranti, e in particolare le donne.
Il 3 dicembre 2018, il decreto 113/18, noto come Decreto immigrazione e sicurezza, è divenuto legge della Repubblica Italiana.
Considerato da molti incostituzionale, il decreto viola i diritti umani e alimenta sentimenti di insofferenza e odio verso i migranti e tutti i “diversi” che chiedono aiuto. Una legge insidiosa, che si esprime in due forme principali:
- nascere fuori dall’Italia è una colpa insanabile,
- diventare cittadini italiani è pressoché impossibile.
Da Palermo a Milano questa legge ha risvegliato l’opposizione dei sindaci che minacciano ribellione e dimissioni se il testo non verrà discusso e rivisto in tempi stretti. Leoluca Orlando, il primo a lanciare la sfida a Salvini, annuncia ricorso alla magistratura contro la norma e lancia un’ulteriore provocazione: «Tutti i regimi hanno iniziato con una legge razziale spacciata per sicurezza».
È indubbio che le implicazioni del decreto sicurezza siano rilevanti per chiunque, ma lo sono in modo particolare per le donne. La denuncia arriva con un comunicato stampa di Dire, la rete dei centri anti-violenza. Uno degli elementi più contestati è l’eliminazione della protezione umanitaria. A differenza dell’asilo politico, accordato quasi esclusivamente in base al paese di provenienza, la protezione considerava la condizione individuale del richiedente, e veniva concessa a chi scappava da catastrofi naturali, discriminazioni, estrema povertà o situazioni di violenza. Per molte donne vittime di tratta ottenere la protezione umanitaria era il primo passo per uscire dalla condizione di schiavitù.
Un’altra novità della Legge Salvini è l’aumento da 3 a 6 mesi del tempo massimo di permanenza nei Cpr (Centri per il rimpatrio) per chi perde o non ottiene il permesso di soggiorno. In queste strutture, spesso denunciate per le pessime condizioni igieniche e sanitarie, sono recluse molte donne.
Le donne migranti, infatti, sono più soggette a contratti di lavoro a tempo o al lavoro nero e quindi sono le più esposte al rischio di non vedersi rinnovare il permesso. Anziché far funzionare e migliorare le misure esistenti, costruite anche in collaborazione con le organizzazioni che da anni lavorano sulla violenza contro le donne, si rendono inutili queste strutture e si creano innumerevoli difficoltà per le donne convolte in quell’inferno che può essere la schiavitù, la tratta e il lavoro nero.
In questo modo si arriva davvero a disegnare un’Italia fatta di cittadine e cittadini di serie A e di serie B, la cui cittadinanza è un requisito vincolato e privo delle garanzie e tutele che uno stato deve a ogni essere umano residente sul proprio territorio.
Inoltre, le nuove norme sulla cittadinanza restringono quelle vigenti, in particolare allungano i tempi di acquisizione della cittadinanza attraverso il matrimonio. Anche questa misura colpisce soprattutto le donne straniere che, stando alle statistiche Istat, sono il quadruplo rispetto agli uomini nei matrimoni misti.
Che il governo non abbia a cuore i migranti è dimostrato anche dal rifiuto del governo di firmare il Patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare stilato in Marocco lo scorso dicembre da tutti i paesi che voglio creare una stretta cooperazione in materia di migrazione internazionale in tutte le sue dimensioni. Un Patto che vede le migrazioni come ricchezza e non come invasione, come opportunità e non come emergenza
(Fonte: Magazine Combonifem)
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