6 settembre 2018
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.
Papa Francesco:
“E Simone diventò Pietro”
«Il primo passo della conversione e il primo passo della penitenza» è l’atteggiamento «di accusare se stesso», mai «gli altri», sparlando di loro: «non basta riconoscersi peccatori», ricorrendo a un po’ di «cosmetica» spirituale o a confessioni «bla bla bla», da pappagallo, ma si deve provare in concreto «il sentimento della vergogna» e «lo stupore di sentirsi salvati». Lo ha sottolineato Papa Francesco nella messa celebrata giovedì mattina, 6 settembre, a Santa Marta, rifacendosi all’esperienza dell’apostolo Pietro.
Commentando il passo evangelico di Luca (5, 11) proposto dalla liturgia il Pontefice ha spiegato come «questo buttare le reti e fare una pesca miracolosa» narrato nel brano odierno «ci fa ricordare l’altra, a Tiberiade, alla fine, dopo la risurrezione». Senza dubbio «sono due momenti forti dove Pietro butta la rete e fa questa pesca miracolosa». Il Papa ha ricordato come «in questo caso» l’apostolo già seguisse «Gesù da tempo: ammirava il Maestro, stava finendo il lavoro, lavando le reti». Mentre «nell’altro caso, alla fine, stava pescando».
In questa prima circostanza — ha fatto presente Francesco — «Gesù gli dice: “Ma per favore, lasciami andare sulla tua barca un po’ allontanando dalla riva per potere predicare tranquillo alla folla. Nell’altro caso, alla fine, dalla riva, gli grida: “Ragazzi, avete qualcosa da mangiare?”. E loro arrabbiati perché non avevano pescato nulla: “No”, dicono e tagliano il dialogo». Comunque in entrambi i momenti — ha osservato il Papa — «all’inizio della vita apostolica di Pietro e alla fine, c’è un’unzione di Pietro. In questo caso, in questo momento gli dice: “Tu sarai pescatore”. Alla fine gli dice: “Va’ e pascola le mie pecore”. Lo fa pastore».
Dopo aver ribadito che «Pietro da tempo seguiva Gesù» il Pontefice ha anche fatto notare che «lo aveva portato da Gesù suo fratello Andrea. Gesù lo vide e subito gli cambiò il nome: “Tu ti chiamerai Pietro”, si chiamava Simone. Pietro non capì. Ma, sì, sapeva, da buon israelita che era, che un cambio di nome aveva un significato, un significato di missione». Così «in quel momento seguiva Gesù. Lavorava, seguiva Gesù, curava la famiglia, faceva un po’ di tutto». E ora «con questa pesca miracolosa si dà un passo in più nella vita di Pietro. E la vita di Pietro è sempre passo dopo passo, un passo in più».
L’apostolo, ha spiegato Francesco, «si vantava di seguire Gesù: “È il profeta, io vado dietro di Lui, sono uno dei seguaci del profeta”, e si sentiva orgoglioso perché davvero amava Gesù». Ma «dopo questo miracolo, Pietro sentì qualcosa; aveva ammirazione forte e quando il Signore gli dice di prendere il largo», lui risponde: «Signore, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti». Insomma «Aveva fiducia in Gesù». E «poi quando vide quel miracolo così grande che si rompevano le reti di tanti pesci, sentì qualcosa dentro».
Anche «nella pesca finale — ha affermato il Papa — nel miracolo finale, dice il Vangelo che si gettò in acqua per andare subito verso Gesù. Lui aspettò. Chiese aiuto per portare i pesci e quando si avvicinò a Gesù si gettò alle sue ginocchia dicendo: “Signore, allontanati da me perché sono un peccatore”».
Dunque proprio «questo è il primo passo decisivo di Pietro sulla strada del discepolato, di discepolo di Gesù, accusare se stesso: “Sono un peccatore”. Il primo passo di Pietro è questo e anche — ha aggiunto il Papa attualizzando la riflessione — il primo passo di ognuno di noi, se vuole andare nella vita spirituale, nella vita di Gesù, servire Gesù, seguire Gesù, deve essere questo, accusare se stesso: senza accusare se stesso non si può camminare nella vita cristiana». Si potrebbe obiettare, ha suggerito ancora Francesco: «Ma, padre, sì, io sempre lo faccio, all’inizio della messa, prego, confesso — Ma tu senti quello che... senti Lui?». Eppure il Vangelo dice che «lo stupore aveva invaso» Pietro davanti a quella pesca miracolosa. Di conseguenza per il Papa è scaturita una domanda: «Tu, quando accusi, quando tu accusi te stesso lo fai in quest’aria di stupore? O, sì, sono peccatore, andiamo avanti...». Infatti, ha proseguito, «noi siamo tanto abituati a dire: “Sono un peccatore”. È vero, se io adesso dicessi: “Quale di voi non è peccatore?”, sicuro nessuno alzerà la mano. Perché tutti sappiamo di essere peccatori. Ma confessare, accusare se stesso di peccato, di essere peccatore concreto, nello stupore, questo non è facile». Tanto che «noi diciamo: “Sì, io sono peccatore”, come diciamo: “Io sono umano”, “Io sono cittadino italiano”, “Io sono questo”».
Invece, ha chiarito il Pontefice, «è un’altra cosa: accusare se stesso è il sentimento della mia miseria, di sentirsi miserabili, misero, davanti al Signore. Il sentimento della vergogna». E infatti «accusare se stesso» non si può fare a parole, bisogna sentirlo nel cuore: «è sempre un’esperienza concreta».
Del resto «quando Pietro dice: “Allontanati perché sono un peccatore” — ha detto il Papa — aveva nel cuore tutti i suoi peccati e lui li vedeva, si sentiva peccatore davvero. E poi si sentì salvato. La salvezza che ci porta a Gesù ha bisogno di questa confessione di peccatori». Ma «questa confessione che nasce dal cuore, che è sincera, perché la salvezza che ci porta Gesù è sincera», arriva dal cuore. Infatti «la salvezza di Gesù non è una cosa cosmetica, che ti cambia un po’, con due pennellate ti cambiano la faccia. È una cosa che entra dentro e trasforma». Tuttavia per «farla entrare» si deve lasciarle «posto con la confessione dei peccati, confessione sincera davanti a Lui: “Allontanati Signore perché sono un peccatore”». Perché altrimenti non si può sperimentare «lo stupore di Pietro».
«Noi siamo tanto abituati a dirci: “Siamo peccatori e, sì, siamo così”» ha rilanciato Francesco. «È vero, ma non basta. Quello che conta è che ognuno di noi davanti al Signore viva la vergogna e poi lo stupore di sentirsi salvato. Dobbiamo convertirci. Dobbiamo fare penitenza». E «il primo passo della conversione, della penitenza è questo atteggiamento di accusare se stesso».
A tale proposito, ha auspicato il Papa, «ci farà bene pensare: “Io accuso me stesso o accuso gli altri?”. C’è gente che vive sparlando degli altri, accusando gli altri e mai pensa a se stesso, e quando vado a confessarmi come mi confesso, come i pappagalli? “Bla, bla, bla, ho fatto questo, questo”». Ma «il cuore ti tocca quello che hai fatto? Tante volte, no. Tu vai lì a fare la cosmetica, a truccarti un po’ per uscire bello. Ma non è entrato nel tuo cuore completamente, perché tu non hai lasciato posto, perché non sei stato capace di accusare te stesso».
«Il primo passo è questo, è una grazia, nessuno con le proprie forze può farlo» ha avverito il Pontefice. E perciò occorre «chiedere questa grazia: “Signore, che impari ad accusare me stesso, che impari a fare questo primo passo”». E «un segnale che una persona, che un cristiano non sa accusare se stesso è quando è abituato ad accusare gli altri, a sparlare degli altri, a mettere il naso nella vita altrui. È ciò un brutto segnale. Io faccio questo? È una bella domanda per arrivare al cuore».
Da qui l’esortazione conclusiva di Francesco di domandare «oggi al Signore la grazia di trovarci davanti a Lui con questo stupore che dà la sua presenza e la grazia di sentirci peccatori, ma concreti e dire come Pietro: “Allontanati da me perché sono un peccatore”. E così la vita di Pietro è andata avanti, fino a quell’altra pesca alla fine, quando Gesù lo fa pastore del gregge». Sì, «chiediamo oggi gli uni per gli altri questa grazia: “Signore, che impariamo ad accusare noi stessi”, ma non gli altri, l’altro. Ognuno accusi se stesso».
(fonte: L'Osservatore Romano)
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