Il Papa vuole limitare il potere dei prelati italiani che per anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo. Per questo si è mosso subito con decisione. Creando non poche tensioni.
Venerdì 13 settembre 2013: il presidente della Cei Angelo Bagnasco è a Torino per la Settimana sociale dei cattolici italiani. Seduto in prima fila al Teatro Regio ascolta l’intervento del premier,Enrico Letta. A prima vista è una giornata memorabile: una rinnovata alleanza fra trono e altare, tra i vertici della Chiesa italiana e il capo del governo, il postdemocristiano Letta. Le lancette dell’orologio sembrano tornate indietro di vent’anni. Ma è solo un’illusione ottica. E Bagnasco lo sa bene. Sei mesi prima è salito sul soglio di Pietro Jorge Mario Bergoglio. Sconfitto l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, candidato della Cei, di Camillo Ruini e di una parte dei curiali italiani.
Per Papa Francesco la Cei è accomunata in quel giudizio negativo sull’italianità che, a detta dell’intero conclave, ha guastato la Curia con scandali e veleni. A 150 anni dalla fine dello Stato pontificio, il Papa argentino vuole seppellire definitivamente il potere temporale della Chiesa. Lontani dalla politica e vicini alla gente, soprattutto ai poveri, questo chiede Bergoglio ai vescovi italiani. Bagnasco si sente mancare la terra sotto i piedi. In pochi mesi ha visto sgretolarsi tutta la filiera genovese che durante il pontificato di Benedetto XVI ha tenuto in pugno i vertici della Chiesa: l’arcivescovo di Genova alla presidenza della Cei, il suo predecessore, Tarcisio Bertone, segretario di Stato, il conterraneoMauro Piacenza alla Congregazione per il clero, l’ex vescovo di Savona, Domenico Calcagno, presidente dell’Amministrazione del patrimonio. Perciò mentre Letta parla dal palco, Bagnasco in platea medita un colpo di scena. Poco dopo, a sorpresa, riunisce la presidenza della Cei: ci sono il segretario generale, Mariano Crociata, e i tre vicepresidenti Gualtiero Bassetti, Cesare Nosigliae Agostino Superbo. Bagnasco propone di inviare al Papa una lettera di dimissioni dell’intera presidenza. Un modo per ricompattare i vertici della Chiesa, sperando di vedersi riconfermati in blocco. I vicepresidenti sono perplessi: mentre Bagnasco e Crociata sono stati scelti da Benedetto XVI, gli altri sono stati eletti dall’assemblea e non vorrebbero fare un passo indietro. Alla fine il cardinale convince anche i suoi vice. Però sottovaluta il filo diretto che uno di loro, Bassetti, ha con il Papa. Quando Bagnasco arriva al palazzo apostolico, il Papa già sa tutto e respinge le dimissioni, ma pone due condizioni: immediata riforma dello Statuto della Cei e proroga a tempo del segretario Crociata.
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Anche la fila degli onorevoli nello studio del cardinale Camillo Ruini (83 anni a febbraio) si è molto ridotta. Al potere temporale, il Papa vuole sostituire un potere morale, libero dalla politica e dal denaro. Anche sull’uso dell’otto per mille ha in serbo qualcosa: meno soldi all’istituzione, più ai poveri. Di fronte agli oltre 20 milioni di buco della diocesi di Terni, sulla quale indaga la magistratura, Papa Francesco vuole dare una lezione: 10 milioni saranno coperti dallo Ior ma gli altri 10 dovrà versarli la Cei. Un avvertimento per il futuro a tener d’occhio come sono amministrate le diocesi. Dopo il ventennio ruiniano, la Chiesa italiana ha faticato a trovare una leadership. Il Papa punta a far emergere nuove figure, possibilmente fuori dai giochi, come i curiali del nostro Paese che ha nominato cardinali: Pietro Parolin, Beniamino Stella, Lorenzo Baldisseri. Segno che la penisola avrà ancora un ruolo nella Chiesa di domani purché trovi il coraggio di cambiare passo.
Leggi tutto: Spazzati via i vecchi potenti della Curia di Ignazio Ingrao