«Un'isola che è scandalo e profezia»
Pubblichiamo l’editoriale scritto dall’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, presidente della Commissione Cei per le migrazioni e della Fondazione Migrantes, che uscirà sul prossimo numero di "Migranti-press"
È stato scritto, riferito a Giovanni Paolo II: «Il Papa ha permesso a Dio di respirare attraverso di lui». Ciò è avvenuto l’8 luglio a Lampedusa. Papa Francesco ci ha fatto sentire il respiro di Dio. L’ha fatto in una splendida mattina, resa luminosa dal sole e dal volto gioioso e festoso degli abitanti e degli ospiti.
Lampedusa assieme a Linosa, due piccoli puntini spersi nel Mare Mediterraneo, sono diventate il centro del mondo. Lì si sono concretate le parole di Maria: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati … Ha soccorso Israele, suo servo …».
Lo stesso nome, Lampedusa, sembra che indichi e segni il destino dell’isola. Essa è contemporaneamente pietra d’inciampo (dal greco lèpas, scoglio), e faro (dal latino lampas, fiaccola), è insieme scandalo e anche profezia. È terra ambita dai turisti, ma lo è anche da chi fugge da una realtà di morte, di povertà e di guerra. C’è chi vergognosamente gioisce quando i barconi affondano (mi chiedo da che parte sta la civiltà?) e chi offre generosamente ospitalità a quanti, affamati di vita, fuggono da un presente senza soluzioni e rischiano per un futuro diverso. Lampedusa è davvero l’isola delle contraddizioni. In piccolo, insomma, è il mondo.
Chi abita questo estremo sud d’Europa, pur amandolo, è costretto a trasferirsi al Nord, mentre, per chi arriva dal continente africano, è già il Nord migliore. Molti (chi potrà mai sapere il numero?) sono annegati portando con sé in quell’immensa "tomba liquida" il legittimo sogno di una vita migliore, altri invece, moderni Lazzaro, sono riusciti a sbarcare nella terra promessa, mentre i faraoni di turno lautamente banchettano. Lampedusa è una splendida isola, rivestita però degli abiti poveri dei poveri: quelli degli abitanti condannati a essere gli ultimi d’Europa e quelli degli immigrati ancora più ultimi.
Il Papa, pellegrino in questo santuario della sofferenza degli uomini, stringendo il timone posto davanti all’ambone, diventato per l’occasione pulpito e balcone che guarda il mondo, ha lanciato il suo grido: «Adamo, dove sei? … Caino, dov’è tuo fratello? ... Tanti di noi, mi includo anch’io, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri.
E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito … Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così … La cultura del benessere ci rende insensibili alle grida degli altri …siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro … Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? … Signore, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle».
Papa Francesco ha parlato con parole pesanti come macigni che richiamano tutti, credenti e no, alla responsabilità e alla convinzione che è impossibile fermare la storia e i sogni. L’emigrazione è, infatti, una necessità di sopravvivenza. Egli ci ha fatto una consegna, ci ha affidato il sogno di Dio: «In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano in Assiria; gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri. In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore degli eserciti: "Benedetto sia l’Egiziano mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità"». (Is. 19,23-25).
+ Francesco Montenegro
(fonte: Avvenire)
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