CREDERE E LAVORARE
PER LA SOLUZIONE DI DUE STATI
di Andrea Monda
Lo scorso anno, proprio in queste settimane, «L’Osservatore Romano» ha dedicato diverse pagine sul tema degli accordi di Oslo a 30 anni di distanza. Lo scopo era quello di ricordare il presupposto necessario per la pacificazione definitiva dell’area attraverso la formula dei “due popoli per due stati”. Furono tra gli altri intervistati anche gli stessi presidenti dei due stati: Isaac Herzog ed Abu Abbas.
Non avremmo però immaginato che nel giro di qualche mese — in particolare in seguito ai tragici eventi terroristici del 7 ottobre scorso — ci saremmo trovati in una posizione di dover guardare a quegli accordi con preoccupazione. Già nei mesi passati il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non aveva esitato a definire Oslo «il più grande errore della storia di Israele», ma nelle ultime ore la Knesset, il parlamento israeliano, con 68 voti a favore, ha voluto unilateralmente dichiarare che è «fortemente contraria alla formazione di uno Stato a ovest della Giordania» in quanto la creazione di una entità statuale «nel cuore di Israele» rappresenterebbe «una minaccia all’esistenza di Israele e ai suoi cittadini, perpetrando il conflitto tra israeliani e palestinesi e l’instabilità nella regione».
Contestualmente è stato dato il via per l’ennesimo massiccio piano di insediamenti israeliani proposto dal ministro delle finanze Smootrich, per la colonizzazione di 27 km quadrati all’interno di quella zona B della Cisgiordania che gli accordi di Oslo affidavano al parziale governo autonomo dell’Autorità Palestinese. Inoltre, nella stessa sessione la Knesset ha respinto la richiesta di una commissione d’inchiesta su cosa è veramente accaduto il 7 ottobre.
Il segretario generale delle Nazioni Unite (Onu) António Guterres, tramite il suo portavoce Stéphane Dujarric, si è detto «molto deluso» dalla decisione del Parlamento israeliano, ribadendo che la soluzione a due Stati è ancora l’unica via possibile per una pace duratura.
Il voto della Knesset va letto in un contesto mondiale in cui lo Stato di Palestina è oggi riconosciuto da 146 Paesi su 193, che rappresentano il 75% degli Stati membri dell’Onu e circa l’80% della popolazione mondiale. Per di più il 10 maggio 2024, l’Assemblea Onu ha votato una risoluzione affermando che la Palestina è «qualificata a diventare Stato membro» con 143 voti a favore su 193. Pertanto, il voto della Knesset, in nessun modo uccide o svanisce “il sogno” seminato ad Oslo trent’anni fa. Con il voto, però, quel cammino diventerà sì, più arduo e più complesso.
L’appello del Santo Padre rivolto nel mese di aprile scorso rimane più che mai valido e traccia la via da seguire: «Tutte le nazioni si schierino invece da parte della pace, e aiutino gli israeliani e i palestinesi a vivere in due Stati, fianco a fianco, in sicurezza. È un loro profondo e lecito desiderio, ed è un loro diritto! Due Stati vicini».
(Fonte: "L’Osservatore Romano" - 19 luglio 2024)