Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



venerdì 3 febbraio 2023

VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO nella REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO e in SUD SUDAN (Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan) 31 GENNAIO - 5 FEBBRAIO 2023 - Incontro con i giovani e i catechisti: "Non abbiate paura di far sentire la vostra voce, perché non solo il futuro, ma anche l’oggi è nelle vostre mani: siate al centro del presente!" 02/02/2023 (cronaca, foto, testi e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
nella REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO e in SUD SUDAN
(Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan)

31 GENNAIO - 5 FEBBRAIO 2023


Giovedì, 2 febbraio 2023

KINSHASA

9:30 Incontro con i giovani e con i catechisti presso lo “Stadio dei Martiri”
16:30 Incontro di preghiera con i Sacerdoti, i Diaconi, i Consacrati, le Consacrate e i Seminaristi presso la Cattedrale “Notre Dame du Congo”
18:30 Incontro privato con i Membri della Compagnia di Gesù presso la Nunziatura Apostolica




INCONTRO CON I GIOVANI E CON I CATECHISTI

“Stadio dei Martiri” (Kinshasa)

Dopo aver celebrato la Santa Messa in privato, il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto allo Stadio dei Martiri di Kinshasa per l’incontro con i Giovani e i Catechisti.

Al Suo arrivo, dopo aver effettuato il cambio di vettura e un giro in auto aperta tra i fedeli, alle ore 9.20 ha incontrato i Giovani e i Catechisti.

Dopo l’indirizzo di benvenuto del Presidente della Commissione Episcopale per i Laici a cui hanno fatto seguito le testimonianze di un giovane e di un catechista e l’esecuzione di un ballo tradizionale, il Papa ha pronunciato il discorso preparato per l’occasione e ha parlato a braccio con i partecipanti all’incontro invitando i presenti a prendersi per mano e a cantare insieme come comunità, una sola Chiesa. Sempre durante il discorso ha chiesto a tutti di osservare un minuto di silenzio per perdonare ognuno le offese ricevute.

Al termine, dopo la recita del Padre Nostro, la benedizione finale, la consegna di un dono al Santo Padre da parte dei giovani e il canto finale, Papa Francesco è rientrato in auto alla Nunziatura Apostolica di Kinshasa.









***************************

Cori, balli e striscioni: 65 mila giovani in festa nello stadio di Kinshasa per il Papa


Si balla, si canta, si suda allo Stadio dei Martiri di Kinshasa, dove Papa Francesco questa mattina ha incontrato i giovani e i catechisti della Repubblica Democratica del Congo. Oltre 65 mila persone hanno partecipato al secondo grande evento pubblico del viaggio del Papa, dopo la Messa di ieri a N’dolo. Cori da stadio e bandierine all’unisono, striscioni con il volto del Papa e bandiere scritte a mano in italiano con la scritta: "Vogliamo la pace a Est", erano lo spettacolo che dalle 5 del mattino si poteva ammirare dagli spalti dello Stadio che prende il nome da quattro politici impiccati nel 1966 nella zona dove sorge l’impianto, perché accusati di cospirazione. Soprattutto ad elettrizzare l’atmosfera è stato lo “Chant d’accueil”, la canzone composta appositamente per l’evento, dal ritmo travolgente che ha fatto alzare dalle sedie tutti i presenti. Tra loro, un bimbo di 6 anni vestito come un piccolo cardinale, divenuto l’obiettivo preferito di cameraman e fotografi.
(Testo a cura di Salvatore Cernuzio e video di Franco Piroli, inviati a Kinshasa)

***************************

La gioia incontenibile allo Stadio dei Martiri di Kinshasa per l'incontro con Papa Francesco con giovani e catechisti 
raccontata da Massimiliano Menichetti


***************************

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Grazie per il vostro affetto, per la vostra danza e per le vostre parole! Sono felice di avervi guardato negli occhi, di avervi salutato e benedetto mentre le vostre mani levate al cielo facevano festa.

Ora vorrei chiedervi, per alcuni momenti, di non guardare me, ma proprio le vostre mani. Aprite i palmi delle mani, fissateli con gli occhi. Amici, Dio ha messo nelle vostre mani il dono della vita, l’avvenire della società e di questo grande Paese. Fratello, sorella, le tue mani ti sembrano piccole e deboli, vuote e inadatte per compiti così grandi? Vorrei farti notare una cosa: tutte le mani sono simili, ma nessuna è uguale all’altra; nessuno ha mani uguali alle tue, perciò tu sei una ricchezza unica, irripetibile e incomparabile. Nessuno nella storia può sostituirti. Chiediti allora: a che cosa servono queste mie mani? A costruire o a distruggere, a donare o ad accaparrare, ad amare o ad odiare? Vedi, puoi stringere la mano e chiuderla, diventa un pugno; oppure puoi aprirla e metterla a disposizione di Dio e degli altri. Sta qui la scelta fondamentale, fin dai tempi antichi, fin da Abele, che offrì con generosità i frutti del suo lavoro, mentre Caino «alzò la mano contro il fratello […] e lo uccise» (Gen 4,8). Giovane che sogni un futuro diverso, dalle tue mani nasce il domani, dalle tue mani può venire la pace che manca a questo Paese. Ma come fare concretamente? Vorrei suggerirvi alcuni “ingredienti per il futuro”: cinque, che potete associare proprio alle dita di una mano.

Al pollice, il dito più vicino al cuore, corrisponde la preghiera, che fa pulsare la vita. Può sembrare una realtà astratta, lontana dalla concretezza dei problemi. Invece la preghiera è il primo ingrediente, quello fondamentale, perché da soli non ce la facciamo. Non siamo onnipotenti e, quando qualcuno crede di esserlo, fallisce miseramente. È come un albero sradicato: anche se grande e robusto, non si regge in piedi da solo. Ecco perché bisogna radicarsi nella preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio, che ci permette di crescere ogni giorno in profondità, di portare frutto e di trasformare l’inquinamento che respiriamo in ossigeno vitale. Per farlo, ogni albero ha bisogno di un elemento semplice ed essenziale: l’acqua. Ecco, la preghiera è “l’acqua dell’anima”: è umile, non si vede, ma dà vita. Chi prega matura dentro e sa alzare lo sguardo verso l’alto, ricordandosi di essere fatto per il cielo.

Fratello, sorella, c’è bisogno di preghiera, di una preghiera viva. Non rivolgerti a Gesù come a un essere distante e lontano di cui avere paura, ma come al più grande amico, che ha dato la vita per te. Egli ti conosce, crede in te e ti ama, sempre. Guardandolo appeso in croce per salvarti, capisci quanto vali per Lui. E puoi affidargli, gettandole sulla sua croce, le tue croci, i tuoi timori, i tuoi affanni. Li abbraccerà. Lo ha già fatto 2.000 anni fa e quella croce, che oggi sopporti, era già parte della sua. Non temere allora di prendere tra le mani il Crocifisso e di stringerlo al petto, di piangere le tue lacrime su Gesù. E non dimenticarti di guardare il suo volto, il volto di un Dio giovane, vivo, risorto! Sì, Gesù ha vinto il male, ha fatto della croce il ponte verso la risurrezione. Allora, alza ogni giorno le mani a Lui per lodarlo e benedirlo; gridagli le speranze del tuo cuore, confidagli i segreti più intimi della vita: la persona che ami, le ferite che porti dentro, i sogni che hai nel cuore. Raccontagli del tuo quartiere, dei vicini, degli insegnanti, dei compagni, degli amici e dei colleghi; del tuo Paese. Dio ama questa preghiera viva, concreta, fatta col cuore. Gli permette di intervenire, di entrare nelle pieghe della vita in un modo speciale. Di venire con la sua “forza di pace”. Che ha un nome. Sapete chi è? È lo Spirito Santo, Colui che consola e dà vita. Lui è il motore della pace, è la vera forza di pace. Ecco perché la preghiera è l’arma più potente che ci sia. Ti trasmette il conforto e la speranza di Dio. Ti apre sempre nuove possibilità e ti aiuta a vincere le paure. Sì, chi prega supera la paura e prende in mano il proprio futuro. Credete questo? Volete scegliere la preghiera come vostro segreto, come acqua dell’anima, come unica arma da portare con voi, come compagna di viaggio ogni giorno?

Ora guardiamo al secondo dito, l’indice. Con esso indichiamo qualcosa agli altri. Gli altri, la comunità, ecco il secondo ingrediente. Amici, non lasciate che la vostra gioventù sia rovinata dalla solitudine e dalla chiusura. Pensatevi sempre insieme e sarete felici, perché la comunità è la via per stare bene con se stessi, per essere fedeli alla propria chiamata. Invece, le scelte individualiste all’inizio sembrano allettanti, ma poi lasciano solo un grande vuoto dentro. Pensate alla droga: ti nascondi dagli altri, dalla vita vera, per sentirti onnipotente; e alla fine ti ritrovi privo di tutto. Ma pensate anche alla dipendenza dall’occultismo e dalla stregoneria, che rinchiudono nei morsi della paura, della vendetta e della rabbia. Non lasciatevi affascinare da falsi paradisi egoisti, costruiti sull’apparenza, su guadagni facili o su religiosità distorte.

E guardatevi dalla tentazione di puntare il dito contro qualcuno, di escludere qualcuno l’altro perché è di un’origine diversa dalla vostra, dal regionalismo, dal tribalismo, che sembrano rafforzarvi nel vostro gruppo e invece rappresentano la negazione della comunità. Sapete come succede: prima si crede ai pregiudizi sugli altri, poi si giustifica l’odio, quindi la violenza, alla fine ci si trova nel mezzo della guerra. Ma – mi domando – tu hai mai parlato con le persone degli altri gruppi o sei sempre stato chiuso nel tuo? Hai mai ascoltato le storie degli altri, ti sei avvicinato alle loro sofferenze? Certo, è più facile condannare qualcuno che capirlo; ma la via che Dio indica per costruire un mondo migliore passa dall’altro, dall’insieme, dalla comunità. È fare Chiesa, allargare gli orizzonti, vedere in ognuno il proprio prossimo, prendersi cura dell’altro. Vedi qualcuno solo, sofferente, trascurato? Avvicinalo. Non per fargli vedere quanto sei bravo, ma per donargli il tuo sorriso e offrirgli la tua amicizia.

David, hai detto che voi giovani volete giustamente essere connessi agli altri, ma che i social spesso vi confondono. È vero, la virtualità non basta, non possiamo accontentarci di interfacciarci con persone lontane o persino finte. La vita non si tocca con un dito sullo schermo. È triste vedere giovani che stanno ore davanti a un telefono: dopo che si sono specchiati, li guardi in faccia e vedi che non sorridono, lo sguardo è diventato stanco e annoiato. Niente e nessuno può sostituire la forza dell’insieme, la luce degli occhi, la gioia della condivisione! Parlare, ascoltarsi è essenziale: mentre sullo schermo ciascuno cerca quello che gli interessa, scoprite ogni giorno la bellezza di lasciarvi stupire dagli altri, dai loro racconti e dalle loro esperienze.

Proviamo ora a toccare con mano che cosa significa fare comunità: per qualche istante, per favore, prendete per mano chi vi sta vicino. Sentitevi un’unica Chiesa, un unico Popolo. Senti che il tuo bene dipende da quello dell’altro, che viene moltiplicato dall’insieme. Sentiti custodito dal fratello e dalla sorella, da qualcuno che ti accetta così come sei e vuole prendersi cura di te. E sentiti responsabile per gli altri, parte viva di una grande rete di fraternità dove ci si sostiene a vicenda e tu sei indispensabile. Sì, sei indispensabile e responsabile per la tua Chiesa e per il tuo Paese; appartieni a una storia più grande, che ti chiama a essere protagonista: creatore di comunione, campione di fraternità, indomito sognatore di un mondo più unito.

In questa avventura non siete soli: la Chiesa intera, sparsa in tutto il mondo, tifa per voi. È una sfida difficile? Sì, ma è una sfida possibile. Avete anche degli amici che dagli spalti del cielo vi sospingono verso questi traguardi. Sapete chi sono? I santi. Penso ad esempio al Beato Isidoro Bakanja, alla Beata Marie-Clementine Anuarite, a San Kizito e ai suoi compagni: testimoni della fede, martiri che non hanno mai ceduto alla logica della violenza, ma hanno confessato con la vita la forza dell’amore e del perdono. I loro nomi, scritti nei cieli, rimarranno nella storia, mentre la chiusura e la violenza sempre tornano a svantaggio di chi le commette. So che avete più volte dimostrato di sapervi alzare in ​​piedi per difendere, anche a costo di grandi sacrifici, i diritti umani e la speranza di una vita migliore per tutti nel Paese. Vi ringrazio per questo e onoro la memoria di quanti – tanti – hanno perso la vita o la salute per queste nobili cause. E vi incoraggio, andate avanti insieme, senza paura, come comunità!

Preghiera, comunità; arriviamo al dito centrale, che si eleva al di sopra degli altri quasi a ricordarci qualcosa di imprescindibile. È l’ingrediente fondamentale per un futuro che sia all’altezza delle vostre aspettative. È l’onestà! Essere cristiani è testimoniare Cristo. Ora, il primo modo per farlo è vivere rettamente, come Lui vuole. Ciò significa non lasciarsi imbrigliare nei lacci della corruzione. Il cristiano non può che essere onesto, altrimenti tradisce la sua identità. Senza onestà non siamo discepoli e testimoni di Gesù; siamo pagani, idolatri che adorano il proprio io anziché Dio, che si servono degli altri anziché servire gli altri.

Ma – mi chiedo – come si sconfigge il cancro della corruzione, che sembra espandersi e non fermarsi mai? Ci aiuta San Paolo, con una frase semplice e geniale, che potete ripetere fino a ricordarla a memoria. Eccola: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,21). Non lasciarti vincere dal male: non lasciatevi manipolare da individui o gruppi che cercano di servirsi di voi per mantenere il vostro Paese nella spirale della violenza e dell’instabilità, così da continuare a controllarlo senza riguardi per nessuno. Ma vinci il male con il bene: siate voi i trasformatori della società, i convertitori del male in bene, dell’odio in amore, della guerra in pace. Volete essere questo? Se volete, è possibile: sapete perché? Perché ciascuno di voi ha un tesoro che nessuno può rubarvi. Sono le vostre scelte. Sì, tu sei le scelte che compi e puoi sempre scegliere la cosa giusta da fare. Siamo liberi di scegliere: non permettete che la vostra vita sia trascinata dalla corrente inquinata, non lasciatevi portare come un tronco secco in un fiume sporco. Indignatevi, senza mai cedere alle lusinghe, suadenti ma avvelenate, della corruzione.

Mi viene in mente la testimonianza di un giovane come voi, Floribert Bwana Chui: quindici anni fa, a soli ventisei anni, venne ucciso a Goma per aver bloccato il passaggio di generi alimentari deteriorati, che avrebbero danneggiato la salute della gente. Poteva lasciare andare, non lo avrebbero scoperto e ci avrebbe pure guadagnato. Ma, in quanto cristiano, pregò, pensò agli altri e scelse di essere onesto, dicendo no alla sporcizia della corruzione. Questo è mantenere le mani pulite, mentre le mani che trafficano soldi si sporcano di sangue. Se qualcuno ti allungherà una busta, ti prometterà favori e ricchezze, non cadere nella trappola, non farti ingannare, non lasciarti inghiottire dalla palude del male. Non lasciarti vincere dal male, non credere alle trame oscure del denaro, che fanno sprofondare nella notte. Essere onesti è brillare di giorno, è diffondere la luce di Dio, è vivere la beatitudine della giustizia: vinci il male con il bene!

Siamo al quarto dito, l’anulare. Lì si mettono le fedi nuziali. Ma, se ci pensate, l’anulare è anche il dito più debole, quello che fa più fatica ad alzarsi. Ci ricorda che i grandi traguardi della vita, l’amore anzitutto, passano attraverso fragilità, fatiche e difficoltà. Vanno abitate, affrontate con pazienza e fiducia, senza caricarsi di problemi inutili, come ad esempio trasformare il valore simbolico della dote in un valore quasi di mercato. Ma, nelle nostre fragilità, nelle crisi qual è la forza che ci fa andare avanti? Il perdono. Perché perdonare vuol dire saper ricominciare. Perdonare non significa dimenticare il passato, ma non rassegnarsi al fatto che si ripeta. È cambiare il corso della storia. È rialzare chi è caduto. È accettare l’idea che nessuno è perfetto e che non solo io, ma tutti quanti, hanno il diritto di poter ripartire.

Amici, per creare un futuro nuovo abbiamo bisogno di dare e ricevere perdono. Questo fa il cristiano: non ama solo quelli che lo amano, ma sa arrestare con il perdono la spirale delle vendette personali e tribali. Penso al beato Isidoro Bakanja, un vostro fratello che fu torturato a lungo perché non aveva rinunciato a testimoniare la sua pietà e aveva proposto il cristianesimo ad altri giovani. Non cedette mai a sentimenti di odio e nel dare la vita perdonò il suo carnefice. Chi perdona porta Gesù anche dove non viene accolto, immette amore dove l’amore è rifiutato. Chi perdona costruisce il futuro. Ma come diventare capaci di perdono? Lasciandoci perdonare da Dio. Ogni volta che ci confessiamo riceviamo in noi per primi quella forza che cambia la storia. Da Dio veniamo sempre perdonati, sempre e gratuitamente! E anche a noi viene detto, come nel Vangelo: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,37). Vai avanti senza più rancore, senza veleno, senza odio. Vai avanti facendo tuo lo stile di Dio, l’unico che rinnova la storia. Vai avanti e credi che con Dio si può sempre ricominciare, si può sempre ripartire, si può sempre perdonare!

Preghiera, comunità, onestà, perdono. Siamo all’ultimo dito, il più piccolo. Tu potresti dire: sono poca cosa e il bene che posso fare è una goccia nel mare. Ma è proprio la piccolezza, il farsi piccoli che attira Dio. C’è una parola chiave in questo senso: servizio. Chi serve si fa piccolo. Come un minuscolo seme, sembra sparire nella terra e invece porta frutto. Secondo Gesù il servizio è il potere che trasforma il mondo. Allora la piccola domanda che puoi legarti al dito ogni giorno è: Io, cosa posso fare per gli altri? Come posso, cioè, servire la Chiesa, la mia comunità, il mio Paese? Olivier, ci hai detto che in alcune regioni isolate siete voi catechisti a servire quotidianamente le comunità di fede e che questo nella Chiesa dev’essere “affare di tutti”. È vero, ed è bello servire gli altri, prendersene cura, fare qualcosa di gratuito, come fa Dio con noi. Io vorrei ringraziarvi, cari catechisti: voi per tante comunità siete vitali come l’acqua; fatele sempre crescere con la limpidezza della vostra preghiera e del vostro servizio. Servire non è restare con le mani in mano, è mobilitarsi. Tanti si mobilitano perché calamitati dai propri interessi; voi non abbiate paura a mobilitarvi nel bene, a investire nel bene, nell’annuncio del Vangelo, preparandovi in modo appassionato e adeguato, dando vita a progetti organizzati, di lungo respiro. E non abbiate paura di far sentire la vostra voce, perché non solo il futuro, ma anche l’oggi è nelle vostre mani: siate al centro del presente!

Amici, vi ho lasciato cinque consigli per individuare delle priorità tra le tante voci suadenti che circolano. Nella vita, come nella circolazione stradale, è spesso il disordine a creare ingorghi e blocchi inutili, che fanno sprecare tempo ed energie, e alimentano la rabbia. Ci fa bene, invece, anche nella confusione, dare al cuore e alla vita punti fermi, direzioni stabili, per avviare un futuro diverso, senza inseguire i venti dell’opportunismo. Cari amici, giovani e catechisti, vi ringrazio per quello che fate e per quello che siete: per il vostro entusiasmo, la vostra luce e la vostra speranza. Vorrei dirvi un’ultima cosa: non scoraggiatevi mai! Gesù crede in voi e non vi lascia mai soli. La gioia che avete oggi custoditela e non lasciate che si spenga. Come diceva Floribert ai suoi amici quando erano giù di morale: «Prendi il Vangelo e leggilo. Ti consolerà, ti darà gioia». Uscite insieme dal pessimismo che paralizza. La Repubblica Democratica del Congo attende dalle vostre mani un futuro diverso, perché il futuro è nelle vostre mani. Il vostro Paese torni a essere, grazie a voi, un giardino fraterno, il cuore di pace e di libertà dell’Africa! Grazie!

Guarda il video

***************************

L'incontro del Papa con i giovani a Kinshasa raccontato da Massimiliano Menichetti

***************************

Guarda il video integrale

***************************


Il Papa agli studenti degli atenei congolesi: giocate la vita per amore

Dopo l’incontro con i giovani allo Stadio dei Martiri di Kinshasa, Francesco si è intrattenuto in nunziatura con 38 giovani di università cattoliche del Paese, che lo scorso novembre avevano partecipato a un webinar promosso in collaborazione con la Pontificia Commissione per l’America Latina


(fonte: Vatican News, articolo di Alessandro De Carolis 02/02/2023)

Un incontro previsto ma non per questo meno emozionante per ragazze e ragazzi che, al crocevia dell’esistenza in cui sono, possono dire a se stessi: voglio “giocarmi la vita per amore”, perché “quando l’amore è al centro, tutte le decisioni sono feconde”. Francesco lo ha detto come invito e come sfida da intraprendere ai 38 universitari di atenei cattolici congolesi con cui si è fermato in nunziatura a Kinshasa, non appena rientrato verso le 11 dal grande incontro con i giovani allo Stadio dei Martiri.

Giovani costruttori di ponti

Dopo essersi intrattenuto con il premier della Repubblica Democratica del Congo Jean-Michel Sama Lukonde e i suoi familiari, il Papa - ha informato la Sala Stampa vaticana - ha accolto la quarantina di universitari di varie parti del Paese accompagnati dal padre gesuita Toussaint Kafarhire Murhula. I giovani, ricorda la nota vaticana, “erano una rappresentanza di coloro che avevano potuto conversare con il Papa il primo novembre scorso in occasione dell’incontro sinodale “Building Bridges Across Africa”, svoltosi online e promosso assieme alla Pontificia Commissione per l’America Latina, con il contributo tra gli altri del segretario della Commssione, la professoressa e teologa argentina Emilce Cuda. A impreziosire e rendere più intenso lo scambio, il canto eseguito dai giovani, composto dal provinciale dei gesuiti, anche lui presente all’incontro, utilizzando le parole pronunciate da Francesco il 23 novembre 2017 in San Pietro durante la preghiera per la pace nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan.

Per un futuro d’amore

Oltre all’invito a giocarsi “la vita per l’amore”, altro tema di conversazione è stato quello messo dal Papa alla base delle sue affermazioni in questa prima tappa del viaggio apostolico, in particolare ieri pomeriggio, ovvero la violenza nell’est del Paese che proprio ieri, sempre in nunziatura a Kinshasa, ha visto i sopravvissuti condividere col Papa, in una narrazione terribile e commovente, orrori e brutalità seriali assieme a un desiderio ardente di rivedere la propria terra rinascere riconciliata.