Gesù e la samaritana
come parabola del diritto all’acqua
di Marcelo Figueroa
Oggi, 22 marzo, si celebra la Giornata mondiale dell’acqua. Per comprenderla a fondo, una lettura imprescindibile è quella del documento Aqua fons vitae, elaborato dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Il presente articolo intende offrire un approccio di riflessione a questo tema alla luce della Parola di Dio.
Il racconto dell’incontro di Gesù con la donna samaritana (Gv 4, 1-26), è uno dei passi del Vangelo più importanti nel momento in cui si considerano alcuni aspetti fondamentali legati all’accesso all’acqua. I due protagonisti del testo giovanneo si presentato in tutta la loro ricchezza, sia nel simbolismo planetario della donna sia nell’epicentro inclusivo di fede personificato da Gesù.
Alla samaritana il lontano e sordo suono dell’acqua ricordava che, in quanto donna, apparteneva a una categoria sociale inferiore. Il luogo del pozzo era così lontano da casa sua come le sue flebili speranze di una vita vicina al suo popolo e alla sua cultura. La profondità del pozzo la obbligava a sporgersi per scrutare l’acqua, come un torbido specchio che le restituiva l’immagine del suo volto stigmatizzato. Il recipiente che doveva utilizzare per prendere l’acqua costituiva per lei uno strumento ostile che feriva la sua autostima personale. L’ora scomoda in cui poteva recarsi al pozzo segnava per lei il tempo infinito della sua angoscia quotidiana. L’insopportabile calore di mezzogiorno, unico momento in cui poteva accedere all’acqua, rendeva la sua anima febbricitante. La solitudine in cui doveva dirigersi alla ricerca dell’acqua isolava il suo essere, già disidratato da tanto abbandono.
La situazione di questa donna, in fondo, simboleggia quella di tante persone e popoli vulnerabili riguardo dell’accesso all’acqua in questo tempo di pandemia. Per molti di loro il consiglio di lavarsi costantemente le mani suona come una grottesca parodia “pilatesca”. La scarsità di acqua, come elemento vitale integrale, oggi rappresenta per troppe persone il ricordo della loro discriminazione sociale, la lontananza dalle loro radici popolari, lo specchio orrendo delle loro stimmate culturali, uno strumento ostile disumanizzante, il tempo infinito della loro angoscia, la febbre delle loro anime indifese, la disidratazione dei loro corpi scartati e la solitudine del loro pellegrinare nel deserto dell’invisibilità mediatica e politica.
Nell’attuale tempo di pandemia, sono questi i sintomi dolorosi dell’odio, della discriminazione, della dimenticanza e dell’iniquità, che molto spesso risultano asintomatici per un sistema mondiale egoista e utilitarista. Non conosciamo il nome di questa donna, per questo può comprenderli tutti. È ricordata per la sua appartenenza alla fede samaritana, il che consente al racconto di ricercare la luce della spiritualità e l’acqua vivificante della fede. L’incontro tra Gesù e la donna samaritana s’inserisce in questo cammino di speranza.
Presso il pozzo di Sicar è il Signore a iniziare il dialogo con la donna. Nella sua richiesta: “Dammi da bere”, Gesù sta offrendo, a lei e, come stiamo spiegando, a tutti oggi, di vivere un pilastro della soteriologia riguardo all’acqua: «Ho avuto sete e mi avete dato da bere» (Mt 25, 35). Le barriere dell’appartenenza religiosa sono le prime a erigersi nel racconto: “Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. Risulta imperativo in questo momento in cui, riguardo all’accesso all’acqua, dobbiamo mettere da parte le categorie religiose per considerarci tutti fratelli sotto il misericordioso approvvigionamento di Dio. La risposta di Gesù continua a riecheggiare nel cosmo dei grandi interrogativi a tutta l’umanità di fede: “Se tu conoscessi il dono di Dio”. Questa “acqua che dà la vita”, e che promette a chi ne ha accesso di non avere “più sete in eterno”, costituendosi in una “sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”, è una chiamata alla speranza di un’equità distributiva delle risorse acquifere attuali. Questa possibilità mobilita prontamente tutto l’essere della samaritana e risponde alla problematica narrata all’inizio: “Signore … dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. Non dobbiamo considerare normali quei concetti descritti all’inizio come discriminazione sociale, sradicamento popolare, stimmate culturali, disumanizzazione dell’essere, angoscia infinita, anime indifese, corpi scartati e solitudini ignorate. No! È urgente, nel nome di Dio misericordioso, resistere, con la speranza riposta nell’inclusione sociale, nell’equità popolare, nell’uguaglianza culturale, nell’umanizzazione di ogni essere, nella pace integrale, nella tutela planetaria, nella cultura dell’incontro e nella fraternità interconnessa. Dopo l’interessante dibattito teologico interreligioso tra Gesù e la samaritana, Gerusalemme appare come l’epicentro in cui confluisce la fede. Fu proprio lì, in occasione dell’ultima e più solenne giornata della festa delle Capanne, mentre si teneva la processione per portare l’acqua al tempio dalla piscina di Siloe che Gesù dichiarò: «Chi ha sete venga a me e beva» (Gv 7, 37). Oggi la Città Santa è fonte e confluenza delle acque delle tre religioni del ramo abramitico. Le religioni monoteistiche provenienti da tale ramo riconoscono Mosè come liberatore che con la fede dominò le acque del mare della divisione, trasformandole in strumento di liberazione popolare. Una simile eredità di unione religiosa legata all’acqua come confluente egualitario ci deve spingere a unirci in vista di un accesso equo, giusto e liberatore a questa risorsa. L’imperioso invito a essere una fraternità umana estesa a ogni espressione di fede è contenuto nelle parole proferite da Gesù nel racconto che abbiamo appena esaminato: “Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità”.
Voglia il Dio di ogni misericordia che noi, uomini e donne di fede, in questa Giornata mondiale dell’acqua, ci uniamo attorno a uno spirito e a una verità che ci rendano veri adoratori e genuina fraternità! Due concetti che, non a caso, c’incoraggiano oggi a rileggere e a vivere due documenti fondamentali: Laudato si’ e Fratelli tutti.
(fonte: L'Osservatore Romano 22/03/2021)