Sulle orme di Abramo
di Andrea Monda
Papa Francesco prende e parte. Dopo 15 mesi di pausa forzata si alza, esce dal Vaticano e si dirige in Iraq, il viaggio che forse in modo più potente rappresenta il suo pontificato giunto all’ottavo anniversario. Sono infatti quasi otto anni che il Papa invita il popolo dei cattolici a realizzare una Chiesa “in uscita”. E questo viaggio, “sulle orme di Abramo” è l’incarnazione di una Chiesa che esce. Abramo è l’uomo che riceve la chiamata e l’ascolta sul serio, prontamente, senza tentennamenti o discussioni, prende quello che ha e si mette in cammino da Ur del Caldei verso “il paese che ti indicherò”. Con questo gesto il testo biblico dona al mondo qualcosa che prima non aveva: il futuro. E quindi la speranza. Nel mondo antico, impregnato dalla saggezza greca, il futuro non era molto frequentato, perché coincideva con il ritorno del passato. Il fato in modo ineluttabile tornava ruotando ciclicamente su se stesso: l’eterno ritorno dell’identico. Già il mondo latino segna un distacco rispetto a questa visione così intrisa di nostalgia: da Ulisse, l’eroe greco, si passa ad Enea di cui Virgilio canta l’avventuroso viaggio non verso la vecchia casa ma alla ricerca di una nuova terra da scoprire per poter ripartire. Enea con il padre e il figlio “sulle spalle” e la compagnia dei Lari e i Penati, la religione. Da Abramo, passando per Enea, il tema della promessa entra nel mondo e con esso anche l’idea di avvenire, di progresso, se vogliamo anche di “millenarismo”.
Questo passaggio dal mondo greco al mondo biblico è ben illustrato dalla riflessione del filosofo ebreo Emanuel Levinas nel testo che pubblichiamo qui di seguito, dedicato alle figure di Abramo e Ulisse, una buona lettura per accompagnare il viaggio del Papa che sta per cominciare. (A.M)
Dal racconto "Con o senza biglietto di ritorno"
del filosofo ebreo Emmanuel Levinas
Ulisse parte. Abramo parte. Un viaggio e un esilio. L’uno con la speranza di ritorno, l’altro verso un’altra terra, una terra straniera che diventerà sua. Uno ritorna, l’altro non cessa di camminare. Uno a casa sua, l’altro altrove. Uno verso l’ambiente famigliare dell’isola natale, l’altro verso l’incognita di un paese di cui non è originario. L’uno e l’altro certamente trasformati dalla strada, la polvere, le prove e gli incontri. Tuttavia, il loro cammino può essere identico? Il primo fa l’esperienza del ritorno alle stesse cose, e il secondo l’esperienza di un’alterità infinita che, alla fine, non è tanto quella della meta quanto quella di Dio. Due partenze. Poi, un ritorno e una chiamata.
Non si valuta allo stesso modo quello che si è lasciato, né il cambiamento avuto lungo il cammino, rispetto a un ritorno o rispetto a Dio. Perché Abramo, più di Ulisse, richiama la figura del pellegrino? Il viaggio di Ulisse è circolare; egli ritorna a quello che conosce, ed è appagato da questo ritorno. Abramo è libero riguardo ai luoghi: qui o là, quello che importa è Colui che guida. Il cammino di Abramo è desiderio; non ha mai finito di lasciarsi sorprendere dall’inaudito di Dio, e non vuole un luogo dove fissare Dio. Il cammino di Abramo ci insegna che Dio stesso è nomade, giacché non si lascia delimitare da nessuna nostra parola o rappresentazione: non si può dire “eccolo qui” o “eccolo là”. Dio chiama altrove. Abramo è condotto al di là di quello che pensava, di quello che avrebbe potuto prevedere ascoltando la promessa che l’ha messo in cammino. Poiché Dio stesso è sempre ancora al di là di quanto scopriremo su di lui in tal luogo o in tale passaggio: Dio è sempre più grande.
Sui passi di Abramo, il cammino ci trasforma veramente se ci lasciamo condurre al di là delle nostre attese — buone o giuste che siano —. Se non cerchiamo di tornare al già conosciuto, né di ripetere quello che fu bello in altre occasioni. Partire è perdere, perdere senza aspettare un contraccambio, senza sapere quello che si troverà o che sarà dato. Osare di essere sconfitto, rischiare di perdersi, per lasciarsi plasmare da Colui che sorprende, piuttosto che preferire la comodità delle certezze, delle tracce segnate dalle boe.
Perdere ciò che si era previsto, lasciare quello che si conosce senza la volontà di tornare indietro: è forse la condizione necessaria per “guadagnare il mondo intero”: guadagnarlo non per sé, ma lasciarsi offrire da Colui che invia. Lasciarsi inviare, per esplorare la terra intera, per cercarvi, in ogni cosa, in ogni incontro, Colui che ha promesso la sua presenza su tutta la terra. Facendo eco alla promessa che mette in cammino Abramo, il pellegrino, oggi, ascolta l’appello di Gesù “ad andare per il mondo intero” amando questo mondo come lo ama Dio.
(fonte: L'Osservatore Romano 04/03/2021)