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venerdì 22 marzo 2019

STRAGE IN NUOVA ZELANDA - Il ricordo delle vittime - La preghiera del Papa - Le importanti parole della premier - La danza maori in onore delle vittime

STRAGE IN NUOVA ZELANDA


Cinquanta famiglie piangono la scomparsa di un loro caro, morto per mano di Brenton Tarrant, il suprematista bianco di 28 anni che ha compiuto la strage nelle due moschee di Christchurch, in Nuova Zelanda. 
Le autorità lavorano senza sosta per stabilire l’identità di tutte le 50 vittime, provenienti da diversi Paesi del mondo (tra cui Giordania, India, Pakistan, Bangladesh, Afghanistan, Fiji, Somalia e Arabia Saudita). Come racconta la Bbc, alcuni di loro erano rifugiati, convinti di aver trovato finalmente la sicurezza in Nuova Zelanda. Ecco chi sono alcune delle persone morte ...


Dopo la recita dell'Angelus della seconda domenica di Quaresima, Papa Francesco ha invitato i fedeli presenti in Piazza San Pietro ad unirsi nella preghiera per le vittime della strage di Christchurch, in Nuova Zelanda.



LA PREMIER: "L'ATTENTATORE NON MERITA DI ESSERE CHIAMATO PER NOME"

Jacinda Ardern lo ha affermato durante il suo intervento al Parlamento. Un discorso forte ed equilibrato, nel quale ha sottolineato la tradizione di apertura e inclusione del Paese e la vicinanza alla comunità musulmana. 

(Foto Reuters: la premier Jacinda Ardern con una donna sopravvissuta al massacro)

«As-salamu alaykum», la pace sia con voi: con la tradizionale espressione di saluto del mondo arabo la premier neozelandese Jacinda Ardern, 38 anni, ha esordito nel suo discorso tenuto davanti al Parlamento, a pochi giorni dal massacro nelle due moschee di Christchurch, in cui hanno sono state uccise 50 persone, per la maggioranza immigrati, fra cui anche rifugiati. «Quel venerdì», ha dichiarato la prima ministra, «è diventato il nostro giorno più buio».



La Ardern si è rivolta alla comunità musulmana, alle persone colpite, con un messaggio di vicinanza e inclusione, sottolineando che “sono cittadini neozelandesi, loro sono noi”. E ha aggiunto: «Noi non possiamo conoscere il vostro dolore, ma possiamo accompagnarvi in ogni passo. Noi possiamo, e vogliamo, circondarvi con i nostri cuori».


Ci si domanda, afferma la premier, come sia stato possibile che un atto del genere sia accaduto qui, «in un Paese orgoglioso di essere aperto, pacifico, basato sulla diversità. Ci sono molte domande che necessitano una risposta». E ha ricordato che la legislazione sulle armi dovrà essere modificata.

Nel suo intervento la premier ha compiuto una scelta importante: ignorare il nome della persona responsabile dell’attacco, con una ragione ben precisa. «L’attentatore cercava notorietà», ha spiegato la prima ministra, «ed è questo il motivo per cui non mi sentirete mai pronunciare il suo nome. E’ un terrorista, un criminale, un estremista, ma nel mio discorso rimarrà senza nome. Cercava notorietà, ma qui, in Nuova Zelanda, non gli concederemo niente, nemmeno il suo nome».

La Ardern ha voluto ricordare, in particolare, la figura di Daoud Naby, il primo ad essere ucciso nella moschea Al Noor, il 71enne ingegnere in pensione immigrato dall'Afghanistan che aveva ricevuto all'ingresso della moschea l'attentatore, rivolgendosi a lui con un saluto di benvenuto: “Hello brother", salve fratello. «Siamo un Paese di 200 nazionalità, 160 idiomi differenti, noi apriamo la porta agli altri e diciamo “benvenuti”», ha dichiarato la premier. «E l’unica cosa che ora dobbiamo cambiare è che dobbiamo chiudere le porte a chi arriva per portare odio e terrore». E ha aggiunto: «Desideriamo che ogni membro della nostra comunità si senta sicuro. Sicurezza significa essere liberi dalla paura della violenza».

Infine, un appello all’intero Paese: «Il prossimo venerdì sarà passata una settimana dall’attentato. Membri della comunità musulmana si riuniranno per pregare in quel giorno. Sosteniamoli nella loro celebrazione. Noi siamo una cosa sola, loro sono noi». Concludendo con un saluto nella lingua indigena maori “Tatau tatau” e di nuovo con il saluto in lingua araba “A voi la pace, la misericordia di Dio e la sua benedizione”.

La Nuova Zelanda, profondamente scossa dal terribile attentato terroristico, non cede davanti all’odio integralista, razzista e xenofobo e conferma la sua tradizione di apertura, dialogo e integrazione stringendosi intorno alla comunità islamica colpita. We are one, ha detto la Ardern. Siamo uniti, una cosa sola, senza differenze tra etnie, culture, religioni. È la frase che nei giorni successivi alla strage è comparsa nei messaggi deposti nei luoghi colpiti accanto a fiori e candele. Nei giorni scorsi, anche i rappresentanti dei nativi maori hanno partecipato alla commemorazione delle vittime. E alcuni gruppi di studenti hanno eseguito l’haka, la famosa danza rituale maori, come tributo nei confronti dei fedeli musulmani che hanno perso la vita nelle moschee. 

Leader del Partito laburista neozelandese, entrata in Parlamento nel 2008 (a 28 anni), quando è stata eletta premier nel 2017, a 37 anni, la Ardern ha conquistato il record della donna più giovane al mondo alla guida di un Governo. Per lei anche un altro primato: diventata mamma a giugno del 2018 di una bambina, Neve Te Aroha, è stata la seconda donna - dopo Benazir Bhutto in Pakistan nel 1990 - a dare alla luce un figlio durante il suo mandato da premier. Rientrata al lavoro dopo sei settimane di congedo maternità, ha suscitato scalpore, e segnato un altro momento storico, quando lo scorso è arrivata all’assemblea generale delle Nazioni unite perfettamente a suo agio e sorridente con tutta la famiglia: il compagno Clarke Gayford e la loro bambina di tre mesi.

(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Giulia Cerqueti 20/03/2019)

La danza Haka in onore delle 50 vittime dell’attentato del 15 marzo a Christchurch, in Nuova Zelanda. È l’iniziativa messa in campo da un gruppo di bikers che si sono esibiti davanti a una delle due moschee teatro dell’attacco di Brenton Tarrant, il 28enne che ha sparato sui fedeli riuniti per la preghiera del venerdì. Il video mostra i motociclisti impegnati nelle urla e nelle mosse tipiche della danza Maori neozelandese davanti a un gruppo di persone. Alla fine dell'esibizione, scattano gli applausi. Il gruppo si è esibito per alcuni minuti, circondato da fiori e cartelli lasciati in questi ultimi giorni per ricordare chi ha perso la vita nell’attacco


Non ha sbagliato una mossa che sia una. Chiamata a gestire le conseguenze della peggiore strage che Nuova Zelanda ricordi — 50 musulmani uccisi da un suprematista bianco — la 38enne Jacinda Ardern ne sta uscendo da gigante. I suoi detrattori (e la più giovane donna premier al mondo ne ha tanti, fuori e dentro il Labour Party) tacciono. Erano sicuri di vederla scivolare, perché va bene la "Jacindamania" che nel 2017 prese tutti e risollevò un partito in caduta libera, e passi pure la celebrazione che di lei fece la stampa mondiale per la figlia partorita durante l’incarico, ma ora bisogna fare i conti con la storia, e con l’Isis che, attraverso il suo portavoce Abu Hassan alMuhajir, ha appena minacciato rappresaglia. E, invece, questa donna di Stato che sa essere empatica e dura, compassionevole e ferma, non scivola affatto. 
Dunque, Jacinda Ardern. Poche ore dopo l’attentato di Christchurch, si è presentata in città con una delegazione del governo, indossando un velo nero in segno di rispetto. Li ha abbracciati tutti, i familiari delle vittime. Ha pianto con loro. Ha tracciato una linea, quella dell’accoglienza e della solidarietà, e ha fatto capire che da lì la Nuova Zelanda non arretra di un millimetro. «Noi rappresentiamo la diversità, la gentilezza, la compassione. Siamo e rimarremo un rifugio per chi condivide i nostri valori». 
Empatica, ma tosta come un chiodo quando si è scagliata contro Facebook, colpevole di non aver tolto con prontezza il video della mattanza girato dall’attentatore, l’australiano Brenton Tarrant. Ha anche preteso la riforma della blanda normativa sulla detenzione di armi, che includerà molto probabilmente la messa al bando dei fucili simil-militari come quelli usati dall’Innominato. Innominato, sì, perché Jacinda Ardern ha voluto togliere all’attentatore la dignità del nome. «Con il suo atto terroristico cercava molte cose, e tra queste la notorietà», ha spiegato davanti al Parlamento. «Non mi sentirete più pronunciare il suo nome. È un terrorista, un criminale, un estremista»
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