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giovedì 14 marzo 2019

6 anni con Papa Francesco - Le riflessioni di Andrea Tornielli (L’anniversario del pontificato, guardando all’essenziale) e di Alessandro Gisotti (Francesco, costruttore di ponti in cammino tra la gente)



Il 13 marzo 2013 cominciava il pontificato di Bergoglio, che festeggia il sesto anniversario della sua elezione in ritiro con la curia per gli esercizi spirituali di Quaresima.

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L’anniversario del pontificato, guardando all’essenziale
di Andrea Tornielli 

Francesco ha vissuto e sta per vivere mesi intensi tra viaggi e Sinodi. Il suo sesto anno è stato caratterizzato dalla piaga degli abusi e dalla sofferenza per alcuni attacchi interni: la risposta è stata un invito a tornare al cuore della fede

L'inizio del Pontificato di Papa Francesco
Il sesto anniversario dell’elezione vede Papa Francesco impegnato in un anno denso di importanti viaggi internazionali, segnato all’inizio e alla fine, da due avvenimenti “sinodali”: l’incontro per la protezione dei minori avvenuto in Vaticano lo scorso febbraio con la partecipazione dei presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo, e il Sinodo speciale sull’Amazzonia, che sarà celebrato - sempre in Vaticano - il prossimo ottobre. Di notevole impatto il recente viaggio negli Emirati Arabi che ha visto il Vescovo di Roma firmare una Dichiarazione congiunta con il Grande Imam di Al-Azhar. Un documento che si spera possa avere conseguenze nel campo della libertà religiosa. Il tema ecumenico sarà prevalente nei prossimi viaggi in Bulgaria e quindi in Romania, mentre il desiderato ma non ancora ufficializzato viaggio in Giappone potrà aiutare a fare memoria della devastazione provocata dalle armi nucleari come monito per il presente e per il futuro dell’umanità che sperimenta la «terza guerra mondiale a pezzi» di cui parla spesso il Papa.

Ma uno sguardo all’anno appena trascorso non può prescindere dal riemergere dello scandalo degli abusi e dalle divisioni interne che hanno portato lo scorso agosto l’ex nunzio Carlo Maria Viganò, proprio mentre Francesco celebrava l’Eucaristia con migliaia di famiglie a Dublino riproponendo la bellezza e il valore del matrimonio cristiano, a chiedere pubblicamente le dimissioni del Papa per la gestione del caso McCarrick. Di fronte a queste situazioni, il Vescovo di Roma ha chiesto a tutti fedeli del mondo di pregare il Rosario ogni giorno, per tutto il successivo mese mariano di ottobre 2018, per unirsi «in comunione e in penitenza, come popolo di Dio, nel chiedere alla Santa Madre di Dio e a San Michele Arcangelo di proteggere la Chiesa da diavolo, che sempre mira a dividerci da Dio e tra di noi». Una richiesta così dettagliata non ha precedenti nella storia recente della Chiesa. Con le sue parole e l’appello al popolo di Dio affinché preghi per mantenere unita la Chiesa, Francesco ha fatto comprendere la gravità della situazione e al tempo stesso ha espresso la cristiana consapevolezza che non ci sono rimedi umani in grado di assicurare una via d’uscita.

Ancora una volta, il Papa ha richiamato all’essenziale: la Chiesa non è fatta da super-eroi (neanche da super-papi) e non va avanti in forza delle sue risorse umane o delle sue strategie. Sa che il maligno è presente nel mondo, che esiste il peccato originale, e che per salvarci abbiamo bisogno di un aiuto dall’Alto. Ripeterlo non significa diminuire le responsabilità personali dei singoli e anche quelle dell’istituzione, ma situarle nel loro reale contesto.

«Con questa richiesta d’intercessione» c’era scritto nel comunicato vaticano con la richiesta del Papa per il Rosario dello scorso ottobre, «il Santo Padre chiede ai fedeli di tutto il mondo di pregare perché la Santa Madre di Dio ponga la Chiesa sotto il suo manto protettivo: per preservarla dagli attacchi del maligno, il grande accusatore, e renderla allo stesso tempo sempre più consapevole degli abusi e errori commessi nel presente e nel passato».

Nel presente e nel passato, perché sarebbe un errore “scaricare” su chi è venuto prima di noi le colpe e presentarsi come “puri”. Anche oggi la Chiesa deve chiedere a qualcun Altro di essere liberata dal male. Un dato di realtà che il Papa, in continuità con i suoi predecessori, ha richiamato costantemente.

La Chiesa non si redime da sola dai mali che l’affliggono. Anche dall’abisso orribile degli abusi sessuali commessi da chierici e religiosi non si esce in forza di processi di auto-purificazione né tantomeno affidandosi a chi si è investito del ruolo del purificatore. Norme sempre più efficaci, responsabilità e trasparenza sono necessarie, anzi indispensabili, ma non saranno mai sufficienti. Perché la Chiesa, ci ricorda oggi Papa Francesco, non è auto-sufficiente e testimonia il Vangelo a tanti uomini e donne feriti del nostro tempo proprio perché anch’essa si riconosce mendicante di guarigione, bisognosa di misericordia e di perdono dal suo Signore. Forse mai come nel travagliato anno appena trascorso, il sesto del suo pontificato, il Papa che si presenta come «un peccatore perdonato», seguendo l’insegnamento dei Padri della Chiesa e del suo immediato predecessore Benedetto XVI, ha testimoniato questo dato essenziale e quanto mai attuale della fede cristiana.
(fonte: Vatican News)



Gisotti: Francesco, costruttore di ponti in cammino tra la gente

A sei anni dall’elezione di Papa Francesco, intervista al direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti. Un dialogo a tutto campo che ripercorre alcuni dei momenti cruciali di questo Pontificato


Sono la serenità, l’attenzione alle persone e agli altri, l’ascolto, la sinodalità alcune delle parole chiave di questo Pontificato nella riflessione del direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti, a sei anni dall’elezione di Papa Francesco. Quel 13 marzo 2013, salutando i fedeli di Piazza San Pietro e di tutto il mondo dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana, il Pontefice cominciò quello che egli stesso definì subito come un “cammino di fratellanza, di amore, di fiducia”. Lo testimoniò già qualche mese dopo, con la visita tra i migranti giunti a Lampedusa: un viaggio, quello dell’8 luglio 2013, che “non era programmato”, sentì semplicemente che doveva “andare”, com’egli stesso ebbe poi modo di spiegare. Una sollecitudine che prosegue immutata sei anni dopo, come spiega il portavoce vaticano (Ascolta l'intervista a Alessandro Gisotti).

R. - Il Papa mostra che i migranti sono persone e non cifre e lo fa perché ha un’attenzione costante verso di loro, mentre vediamo che purtroppo spesso i media si occupano di migranti quando c’è una grave crisi, il naufragio di un barcone o situazioni di emergenza per una guerra. Oltre al suo primo viaggio a Lampedusa, ci sono stati poi tantissimi gesti di vicinanza, di prossimità ai migranti, anche appunto nei viaggi, pensiamo al campo profughi di Lesbo, fino ad arrivare alla stretta attualità, al Marocco: il Papa fra poche settimane nel suo viaggio apostolico si recherà anche ad un centro Caritas per i migranti; poi pure nel viaggio successivo, quello in Bulgaria e nella Repubblica di Macedonia del Nord, avrà un momento di vicinanza ai migranti perché visiterà un campo profughi.

L’apertura della Porta Santa a Bangui, la riconciliazione in Colombia, i Rohingya in Asia: sono facce diverse dell'impegno del Papa per la pace?

R. - Assolutamente. Francesco fa davvero onore al nome che porta. Ovviamente quando sei anni fa ci fu l’elezione, tutti fummo stupiti da questo nome “Francesco”, Francesco d’Assisi, l’uomo della pace, il poverello che ha tentato con la speranza contro la speranza sempre la forma del dialogo; pensiamo anche all’incontro con il sultano Al-Kamil Al-Malek che è stato rievocato ultimamente nel viaggio negli Emirati Arabi. Quindi Francesco fa onore al suo nome, ma poi anche al suo ministero: Pontefice, costruttore di ponti. A volte noi dimentichiamo questa dimensione propria dei Papi. Francesco davvero, come tante volte abbiamo visto non solo con le parole ma forse ancora di più con i gesti, là dove ci sono muri, sfonda questi mattoni per costruire dei ponti che passano in mezzo. Credo che questa sia una costante del Pontificato, che continuiamo a vedere ogni giorno.

Le omelie delle Messe mattutine a Casa Santa Marta cosa rappresentano in questo Pontificato?

R. - Secondo me sono il cuore del Pontificato, perché lì il Papa incontra il Popolo di Dio nel momento fondamentale per un sacerdote, per un vescovo, il Papa è il vescovo della diocesi di Roma. Attraverso l’incontro con l’Eucaristia e con i fedeli nascono queste omelie che sono un giacimento straordinario, perché se si vanno a vedere poi i grandi documenti del Pontificato, si nota come spesso richiamino o siano direttamente ispirati dalle omelie di Santa Marta. Penso che davvero, anche dopo sei anni, si possa dire che questa è una delle cose più belle, più nuove. È appunto il cuore del Pontificato!

L’amicizia del Papa col Grande Imam di Al Azhar Ahmad Al-Tayyeb e quella col Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I dimostra come il dialogo stia caratterizzando l’impegno di Francesco?

R. - Papa Francesco, fin dai primi passi del suo Pontificato, ci ha parlato della “cultura dell’incontro” che mette in pratica innanzitutto con il tema dell’amicizia. Ho visto per esempio, con grande emozione, l’amicizia con il Grande Imam Al-Tayyeb, essendo presente ad Abu Dhabi; ho visto proprio come i due si cercavano anche nella vicinanza e nella prossimità, consapevoli che la firma della “Dichiarazione comune sulla fratellanza umana” fosse un gesto profetico e coraggioso di cui sicuramente già raccogliamo i frutti, ma li raccoglieremo anche in futuro. Per cui sicuramente il tema del dialogo è qualcosa che sta proprio nel cuore del Papa e che lo vede sempre con questo binomio dialogo-amicizia. Non è mai un dialogo con una finalità specifica, ma è un dialogo che nasce dall’incontro e questo lo possiamo dire sicuramente per Al-Tayyeb, ma anche per tanti altri leader religiosi e non solo.

A contrassegnare questo Pontificato l’impegno per la protezione dei minori: sull’incontro appena svoltosi in Vaticano sono state mosse critiche riguardo alla mancanza di frutti concreti. Quali i risultati fattivi?

R. - Questo è stato un incontro necessario. Erano in molti ad avere qualche dubbio che fosse il caso opportuno di tenere questo incontro, mentre il Papa al riguardo ha dato dimostrazione di coraggio e anche, secondo me, di un coraggio profetico, perché per la prima volta - di fronte ad uno scandalo terribile che mette a rischio non solo la credibilità, ma per alcuni aspetti la missione stessa della Chiesa - ha voluto convocare tutti i presidenti degli episcopati. Quindi il Papa ha voluto innanzitutto dire che ad un problema globale bisogna dare una risposta globale. Poi ovviamente c’è il tema della concretezza, delle misure concrete. In questo senso, proprio alla fine dell’Incontro sulla protezione dei minori, è stato annunciato il cosiddetto follow-up, cioè i passi che devono seguire, quindi la pubblicazione prossima di un Motu proprio, la pubblicazione di un Vademecum della Congregazione per la Dottrina per la Fede e tutta una serie di regolamenti, e anche l’iniziativa delle task force, cioè esperti che possano aiutare le Conferenze episcopali ad attuare un’attività di tutela dei minori. Va anche detto che per Francesco la cosa fondamentale - lo abbiamo visto - è la conversione dei cuori, che nasce dall’ascolto delle vittime.

Il Papa ha indetto tre Sinodi e ne ha cambiato il funzionamento: con queste scelte in che direzione sta portando la Chiesa?

R. - Lui ha questa visione di una Chiesa “in uscita” e di una Chiesa “ospedale da campo”. La Chiesa in uscita presuppone che cammini, tutta. E “sinodale” vuol dire camminare insieme. Questo è lo spirito con cui Francesco sta vivendo questa sua dimensione anche di pastore, come ha detto proprio all’inizio del suo Pontificato sei anni fa, con il popolo, davanti al popolo ma anche in mezzo al popolo, dietro al popolo, come in fondo un buon pastore dovrebbe sempre fare con il suo gregge! E poi la Chiesa “ospedale da campo”. Lo abbiamo visto con l’Incontro sulla protezione dei minori, una Chiesa che ha il coraggio di chinarsi sulle ferite delle donne e degli uomini del nostro tempo. È bello pensare - e questa è un po’ la visione di Francesco - che la Chiesa non sia solo un faro che illumina da fermo, lontano, ma una fiaccola che illumina e lo fa camminando con il Popolo di Dio.

Un ricordo, un’immagine, una riflessione del Papa che ti ha colpito in questi sei anni, ma anche in questi due mesi e mezzo da direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede…

R. - È la sua serenità. Noi ovviamente viviamo e non lo possiamo nascondere - il Papa stesso non lo nasconde - un momento molto delicato, in particolare proprio per lo scandalo terribile degli abusi. Tuttavia, nonostante questa grande consapevolezza e anche questo coraggio nell’affrontare tale situazione, Francesco non perde la calma, la serenità. E davvero - guardandolo anche nei momenti privati, mi ha toccato per esempio vederlo pregare molto da vicino - si vede proprio un uomo in pace. È una pace che ovviamente non viene dal mondo, ma che proviene da Dio. Anche nei miei confronti, in un momento non facile, perché il mio incarico è nato in un modo totalmente inatteso, in un momento anche con delle difficoltà oggettive quotidiane, il Papa personalmente mi ha detto, anche in più di un’occasione: “Non farti prendere dall’amarezza, stai sereno”. Lo dice da padre, in modo molto paterno, e mi dà anche la forza e il coraggio per andare avanti, con uno spirito di speranza, sapendo appunto che il Santo Padre vive con così grande forza e serenità questo momento e le dona anche a noi.
(fonte: Vatican News, articolo di Giada Aquilino)

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Anniversario Pontificato di Francesco (Pagina in continuo aggiornamento)