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mercoledì 6 marzo 2019

Se sono schiavi è colpa loro di Roberto Saviano

Se sono schiavi è colpa loro
di Roberto Saviano

La retorica razzista se la prende con gli immigrati che sono costretti a lavorare nelle campagne per paghe da fame e a vivere nelle baraccopoli


L’elenco degli atti di razzismo avvenuti in Italia nell’ultimo mese fa davvero impressione. C’è un arbitro di origini sudamericane che a Diano Marina, in Liguria, viene insultato con frasi come «vieni fuori che ti insegniamo a parlare l’italiano» e “tornatene al tuo Paese”. A Trepuzzi (in provincia di Lecce) un ragazzo della Sierra Leone viene colpito con una sedia sulla schiena, mentre lo inseguono urlando «Nero, tornatene a casa!». A Roma un dodicenne egiziano viene insultato e picchiato da un gruppo di ragazzi più grandi, tanto da finire in ospedale.

Da Nord a Sud si sta diffondendo un clima di aggressione razzista, che non è solo contro gli immigrati, ma contro chiunque non abbia la pelle bianca, persino contro i ragazzi adottati da famiglie italiane. È il caso di Bakary, il ventenne di origini senegalesi adottato da una famiglia di Melegnano, a Sud di Milano: su un muro del suo palazzo sono comparse due scritte, a distanza di pochi giorni: «Pagate per questi negri di merda» e poi «Ammazza al negar», con una svastica.

Per descrivere il razzismo, c’è un’immagine molto chiara usata dall’antropologa Paola Tabet: lei paragona il razzismo al motore di una automobile, è qualcosa che è sempre lì, dentro la società, a volte va a pochi giri ed è silenzioso, impercettibile, a volte invece va a velocità massima e gira a 5000 giri. Ecco, ora in Italia il razzismo sta girando a 5000 giri. E cos’è stato ad innescare il motore del razzismo? Bugie. Continue bugie.

Ci hanno fatto credere che gli immigrati stessero invadendo il nostro Paese, che fossero la causa dei nostri problemi economici. Sapete quanti sono gli immigrati in Italia? Secondo i dati Istat sono l’8,7 per cento della popolazione, inclusi quelli provenienti dall’Unione europea. E gli irregolari, quelli su cui si fonda la propaganda anti-immigrati, sono circa 533 mila, in un Paese di oltre 60 milioni di persone. Dove sarebbe l’invasione?

Ma ecco che subito si controbatte: «Però quelli che arrivano finiscono a fare gli schiavi nelle campagne», «dormono ammassati nelle stazioni». È naturale che tutto questo metta paura, crei insicurezza, ma attenzione, questo non dipende dagli immigrati che arrivano, dipende dalla nostra malagestione in Italia e in Europa.

Eppure, se ascoltate i discorsi di molti politici sugli immigrati che lavorano nelle campagne, sembra che il problema non sia lo sfruttamento dei braccianti che vengono pagati 50 centesimi a cassa di arance, o 3 euro e 50 per una cassa di pomodori da 300 chili, ma il lavoratore africano stesso che vive da schiavo diventa il problema, come se lui fosse causa del suo sfruttamento.

Pensate al ghetto di San Ferdinando, che si trova nella Piana di Gioia Tauro in Calabria. È un posto terribile che si è sviluppato nel corso degli anni nella zona industriale, fatto di lamiere e plastica, senza elettricità né servizi igienici, né acqua corrente, con i materassi sbattuti a terra per dormire. Vedendo questo, cosa immaginate?

Magari che lì si nascondano crudeli criminali, la feccia dell’umanità. E perché lo pensiamo? Perché la furbizia di certa politica è stata attribuire responsabilità a chi ci vive. In realtà, in questi ghetti vivono prima di tutto lavoratori che sono l’asse portante dell’economia agricola della regione. Nel ghetto di San Ferdinando abitano 2000 persone nella stagione di raccolta degli agrumi. Sappiate che, quando mangiate una clementina, c’è una possibilità su due che l’abbia raccolta un migrante di uno di questi ghetti della Piana di Gioia Tauro.

E nella baraccopoli non si vive solo in maniera disumana, non si lavora solo nei campi come schiavi, ma si muore anche, di freddo o di fuoco. Per ripararsi dal freddo si usano bracieri e stufe a gas in piccoli ambienti costruiti con materiali altamente infiammabili. E infatti a San Ferdinando il 27 gennaio 2018 muore carbonizzata in un incendio Becky Moses, aveva 26 anni. Poi Suruwa, gambiano, aveva solo 18 anni e un regolare permesso di soggiorno. E Moussa Ba, veniva dal Senegal e aveva 28 anni. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari gli era scaduto.

Salvini si occupa di San Ferdinando solo sui social, perché occuparsene anche nella vita reale significherebbe perdere voti nella Regione in cui è stato eletto senatore. Ma sugli schiavi delle campagne calabresi tacciono i ministri che dovrebbero porre fine a questo orrore. Possibile che il ministro del Lavoro Di Maio e quello dell’Agricoltura Centinaio non abbiano nulla da dire?

(fonte: L'Espresso 04/03/2019)