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sabato 9 marzo 2019

“Padre mio…fa’ di me quanto è uscito dalla tua bocca” La figlia di Jefte(Gdc 11,29-40) - Carmelo Russo


“Padre mio…fa’ di me quanto è uscito dalla tua bocca”
 La figlia di Jefte(Gdc 11,29-40)
Carmelo Russo

I Mercoledì della Bibbia 2019
promossi dalla 
Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto (ME)

Incontro di mercoledì 13 febbraio


1. Premessa: Il giudice Iefte 
L’autore della lettera agli Ebrei, quasi al termine della sua esortazione, offre un rapido elenco di coloro che «trassero vigore dalla loro debolezza», citando, tra l’altro, alcuni personaggi assai controversi del Libro dei Giudici: «E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti; per fede, essi conquistarono regni, esercitarono la giustizia, ottennero ciò che era stato promesso, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco, sfuggirono alla lama della spada, trassero vigore dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri» (Eb 11,32-34). 

Limitandoci al libro dei Giudici, i quattro personaggi citati sono uno spaccato su una umanità eroica ma, allo stesso tempo, inconsistente: 

➢ Gedeone viene chiamato ad essere strumento di salvezza per il popolo pur essendo il più piccolo di famiglia; 

➢ Barak accetta la missione solo se avrà accanto la profetessa Deborah e, di fatto, non sarà lui a sconfiggere il nemico, Sisara, ma una donna, Giale; 

➢ Sansone è evidentemente una psicologia con marcate dipendenze affettive; 

➢ Potremmo aggiungere a questo elenco anche il mancino Ehud o lo straniero Shamgar. 

Ora, tra tutti questi personaggi che «trassero vigore dalla loro debolezza» spicca la menzione inquietante di un padre – non so dire se più carnefice o vittima –, la cui storia sarà oggetto della nostra conversazione: il giudice Iefte.

          Iefte, figlio di una prostituta, è presentato come uno dei più abili strateghi militari dell’intero libro: uomo valoroso nelle armi, ma soprattutto ammirato per l’astuzia con cui tesse negoziati con i nemici. Di lui, tuttavia, si ricorda il fallimento della sua paternità, nei confronti della figlia che viene offerta in sacrificio a causa di un voto. Una tradizione esegetica consolidata (rabbinica e patristica), sebbene non indiscussa, legge in questo episodio l’unico caso di sacrificio umano della bibbia giunto a consumazione. La figlia di Iefte diventerà, così, il simbolo di tutte le vittime innocenti, di ogni tempo e di ogni dove, sacrificate davanti a una superiore ragion di stato. Le parole della figlia ancora oggi suscitano sgomento e ammirazione: «Padre mio, se hai dato la tua parola a YHWH, fa' di me secondo ciò che è uscito dalla tua bocca» (Gdc 11, 36). L’innocenza e l’abbandono di questa ragazza non possono non richiamare l’innocenza e l’abbandono al Padre di Gesù orante al Getsemani. Anche nella vicenda di Gesù s’impone una superiore ragion di stato, come dirà Caifa: «Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo e non vada in rovina l’intera nazione?» (Gv 11,50).
... il voto, che Iefte formula, non era necessario o, meglio, era necessario solo per sfamare il suo insaziabile bisogno di sicurezze. Non era espressione di una fiducia totale in Dio, ma coazione psicologica a eliminare ogni rischio nella relazione con Dio. Il voto di Iefte è un atto d’infedeltà che desidera legare Dio, piuttosto che abbracciare il dono dello spirito.
... Ma l’anomalia più importante che si vuole segnalare non è tanto questa stupidità di Iefte, quanto il fatto che, oltre all’irreligiosità del voto per non aver confidato nell’azione dello spirito, si aggiunge anche l’idolatria. Come si dirà meglio tra breve, giurare un sacrificio umano non solo è incompatibile agli insegnamenti della Torah (Lv 20,2-5), ma è un atto conforme al culto degli dèi stranieri: il dio ammonita Molok, infatti, come attestato in Lv 18,21, ammette il sacrificio umano come medium per accaparrarsi l’assistenza speciale della divinità. 
Detto in breve, il voto di Iefte non soltanto è un atto irreligioso e infedele, non soltanto è un atto superficiale e abnorme, ma è soprattutto un atto opportunista e idolatrico. D’altra parte, questo frammento non è altro che la parte di una vicenda triste di Iefte: proprio lui, che era stato vittima dell’opportunismo del suo popolo, non può fare a meno di vivere le sue relazioni, compresa quela con Dio, in maniera opportunistica, ritenendo più conveniente rinunciare ai propri valori e accettare compromessi, pur di raggiungere il proprio tornaconto. 
Il paradosso, con una punta di ironia, di questa vicenda è il fatto che Iefte crede di fare un atto religioso per YHWH d’Israele, ma in realtà non si accorge di fare il gioco di Molok di Ammon. 
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