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sabato 30 marzo 2019

La sfida della famiglia è il futuro, non il passato di Mauro Magatti

La sfida della famiglia è il futuro, non il passato
di Mauro Magatti

Potrà sopravvivere se saprà rilegittimarsi come nodo di relazioni dove la differenza tra i generi e le generazioni — non si trasforma in disuguaglianza e dominio ma riesce a essere elaborata a vantaggio della libertà di tutti



La portata e la velocità delle mutazioni che hanno investito la sfera della vita famigliare sono impressionanti: liberalizzazione sessuale, divorzio, aborto, coppie di fatto e omosessuali, transgender, riproduzione assistita. Nel giro di un paio di generazioni, una delle più antiche istituzioni su cui si è fondata la cultura occidentale (basta un viaggio in Africa per rendersene conto) è diventata un’altra cosa. Indebolendone e ibridandone i legami — considerati troppo onerosi rispetto alla libertà fluttuante dell’Io contemporaneo — la nostra società ha rimesso in discussione, per prima volta nella sua storia, la struttura classica della famiglia, costruita attorno al nesso intergenerazionale ed eterosessuale.

Toccando un punto molto delicato della vita individuale e collettiva, una tale mutazione produce posizioni polarizzate, che si confrontano per lo più a colpi di slogan quando non di insulti. Il che non aiuta a riflettere sulle implicazioni di quanto sta accadendo. Dal lato dei progressisti, l’argomento su cui si insiste é quello della libertà e della non discriminazione delle differenze. Perché la legge dovrebbe sindacare il modo in cui le persone si amano?

Come non concordare con una tale affermazione? Assumendo, implicitamente, che lo spazio pubblico sia la somma di decisioni individuali, tale posizione sottovaluta però sia le condizioni che le conseguenze aggregate della trasformazioni in corso. Da una parte, le posizioni progressiste sembrano incuranti del nesso tra individualizzazione-tecnicizzazione-commercializzazione di cui si nutrono i mutamenti in atto. Siamo sicuri che il modello di famiglia oggi proposto non sia semplicemente funzionale alla società tecnocentrica? E soprattutto, come non vedere che il processo in corso — nascendo dall’incontro tra diritti individuali e possibilità tecniche — va nella direzione di ridurre la generazione a fabbricazione, con rischi incalcolabili dal punto di vista della libertà (come Hannah Arendt ha insegnato)? Dall’altra parte, sul versante delle conseguenze, la dissoluzione della famiglia aumenta il numero delle persone sole: già oggi in Italia siamo a 9 milioni (di cui poco meno di 5 con meno di 65 anni). Per questa via, quale tipo di società si costruirà nel lungo periodo? Tanto più che, come dice l’evidenza empirica, la famiglia instabile o multipla può non essere un problema per i forti e i ricchi; ma diventa un fattore di impoverimento ulteriore per chi è più fragile o svantaggiato.

Chi difende la famiglia tradizionale ricorda che si tratta di un organismo sociale a cui è demandato il compito di occuparsi di due questioni — la riproduzione biologica e la vita sessuale — che vanno protette da ogni tipo di colonizzazione. Sulla scorta di una storia millenaria, si riconosce alla famiglia il ruolo di insostituibile palestra dell’alterità concreta. Ci sono però diversi problemi che rimangono aperti. In primo luogo, dato che le cose sono già cambiate, che fare con le tante situazioni che già esistono? Come combinare il sostegno alla famiglia «riproduttiva» con il rispetto e la regolazione giuridica di altri legami che la cultura contemporanea ha ormai diffusamente introdotto?

In secondo luogo, per quanto sia chiaro che la famiglia (di qualsiasi tipo sia) abbia sempre una connotazione istituzionale, si converrà che la famiglia non può essere imposta per legge. Essa deve conquistare il suo consenso sul campo. Nella vita concreta delle persone. E partendo da qui, come negare che la crisi della famiglia dipende dal non essere riuscita a rispondere adeguatamente alle sfide poste dalla modernità avanzata? Ricorrere alla politica non è una scorciatoia pericolosa? Tanto più che non si può essere tanto ingenui da non vedere che la «difesa della famiglia» é (non da oggi) oggetto di strumentalizzazione da parte di forze politiche che hanno a cuore solo le prossime elezioni.

E infine, perché «famiglia tradizionale»? La famiglia non è un modello statico, ma una realtà viva, capace di adattamento alle diverse situazioni storiche. Perché rendere la famiglia oggetto di difesa invece che di proposta? I temi su cui lavorare sarebbero diversi. Penso, in primo luogo, ai rapporti di genere, che ancora aspettano di diventare pienamente rispettosi e valorizzanti la diversità. Penso, poi, ai rapporti tra le generazioni, ormai già cambiati in relazione alla ridefinizione della autorità oltre che all’allungamento della vita. Penso, infine, alle forme di vita e dell’abitare: il nucleo isolato della società industriale è anacronistico. Per respirare e rinnovarsi, la famiglia deve tornare a vivere e ad associarsi con altre famiglie. Con vantaggio proprio e dell’intera società.

Sollecitata dal cambiamento in atto, la famiglia - al di là delle sterili polemiche urlate — sopravviverà se saprà rilegittimarsi come nodo di relazioni dove la differenza — tra i generi e le generazioni — non si trasforma in disuguaglianza e dominio ma riesce a essere elaborata a vantaggio della libertà di tutti. A dispetto tanto di coloro che la vogliono liquidare quanto di coloro che la vogliono ossificare, la famiglia sopravviverà se, trasformandosi, scommetterà sul suo futuro più che sul suo passato. La famiglia più bella dobbiamo ancora vederla.

(Fonte: Corriere della Sera - 24 marzo 2019)

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