In attesa di Papa Francesco a Palermo Lorefice scrive alla città e rilascia un'intervista ad Avvenire.
La versione integrale della lettera aperta scritta dall'arcivescovo Corrado Lorefice in vista della visita del 15 settembre di Papa Francesco a Palermo.
Carissimi Fratelli e Sorelle, ci stiamo preparando ad accogliere con spirito di fede, di profonda gioia e di filiale e fraterna gratitudine, il Vescovo di Roma, Papa Francesco, successore dell’Apostolo Pietro, che presiede nella Carità di Cristo tutte le Chiese, segno visibile e garante di unità.
Egli viene in Sicilia in visita pastorale nella ricorrenza del 25° dell’uccisione del Beato Martire Giuseppe Puglisi, «sacerdote del Signore, missionario del Vangelo, formatore delle coscienze e promotore della giustizia sociale» (Card. Salvatore Pappalardo).
È una provvidenziale, felice e favorevole opportunità non solo per la Chiesa e i cristiani di Palermo ma anche per la nostra amata e martoriata Sicilia. Non serve per compiacerci! Non ci stiamo apprestando a vivere un grande spettacolo! Preparandoci a questa visita noi ci riconsegniamo alla bellezza dell’Evangelo che abbiamo ricevuto e ascoltato, impegnando la nostra esistenza ad una continua conversione e a una condivisione appassionata, entusiasta e creativa della Parola in cui tutti possono trovare ristoro ed energia di vita.
D’altra parte, non è stato questo il tratto umano e pastorale che ha caratterizzato l’intero ministero di don Pino Puglisi e che tanto ha inciso nella coscienza ecclesiale e civile della nostra amata Chiesa palermitana, in particolare nella vita di tanti giovani?
Siamo chiamati a capire meglio il cammino fatto e quello che ci attende, a tirare fuori dalla ricca e significativa testimonianza millenaria della nostra Chiesa cose nuove e cose antiche per continuare ad essere, con slancio missionario, fermento del dono Pasquale dello Shalom e del frutto dello Spirito (cfr. Gal 5, 5) in mezzo alla nostra gente, tra le nostre case, in vista del compimento del Regno.
Papa Francesco afferma che con il concilio Vaticano II «ha avuto inizio “una nuova tappa dell’evangelizzazione”» con cui la Chiesa «si è assunta la responsabilità di annunciare il Vangelo in un modo nuovo, più consono a un mondo e a una cultura profondamente mutati» (Discorso ai membri dell’Associazione teologica italiana, 29 dicembre 2017).
Il mondo è cambiato e continua a cambiare a ritmi vertiginosi. Ciò appare chiaro anche a Palermo e nei Comuni della nostra Arcidiocesi, come in tutta la nostra Sicilia. La città secolarizzata è sotto i nostri occhi. La gente della nostra terra si muove ancora all’interno di un orizzonte religioso, che affiora soprattutto durante le processioni patronali, ma si fa ormai fatica a riconoscere collettivamente quei segni della fede che durante la cosiddetta ‘cristianità’ tutti sapevamo discernere quasi insensibilmente.
Eppure, quanto attuali restano il Vangelo e il suo messaggio! Quanto intenso e profondo è l’anelito degli uomini e delle donne di oggi alla felicità, ad un mondo più giusto, riscattato dal male, dalla sofferenza, dall’ingiustizia, dalla lacerazione del peccato (mai privo di conseguenze ‘sociali’), dalle tante morti e dalla morte. Un mondo in cui le difficoltà e i bisogni ci trovino uniti nella ricerca comune di soluzioni e non pronti a separazioni dovute a interessi di gruppo.
Sembra che oggi si viva, inconsapevolmente, una sorta di attesa messianica. Essa può certo aprirci al Vangelo ma anche ai richiami mistificanti dei tanti ‘unti’ di turno, che come falsi messia approfittano del diffuso desiderio di salvezza per lanciare messaggi di divisione e di paura.
Si tratta allora di dare ‘carne’ e ‘storia’ al Vangelo, di ridare ‘contenuto’ ai segni religiosi che le nostre comunità cristiane continuano, spesso stentatamente, a porre in essere; di imparare nuovi linguaggi che, sensibili ai «vari modi di parlare del nostro tempo» (Gaudium et spes, 44), conservino la ‘sostanza’ della dottrina, come ci ricorderebbe S. Giovanni XXIII. Stando tra la gente si coglie un profondo desiderio di essere raggiunti da una bella notizia, da un e-vangelo appunto, che arrivi attraverso il profumo di un umanesimo bello, di quella bellezza originaria che lo stesso Dio contemplò nell’Adam terrestre e che è esplosa in Cristo, il più bello tra i figli dell’uomo, il vero Giusto, Colui che ci ama e ci invita a sperare.
In una intervista Papa Francesco ha detto che «per comprendere un popolo bisogna entrare nello spirito, nel cuore, nel lavoro, nella storia e nel mito della sua tradizione» (Incontro con Dominique Wolton, in Dio è un poeta, Rizzoli 2018).
Nella nuda e concreta storia della nostra gente si riconoscono segni, forse anche inconsapevoli, di una fede audace, di una carità feriale, di una speranza incrollabile. Penso pure alla pietà popolare, all’espressione religiosa che – a volte non senza equivoci e discutibili strumentalizzazioni – mostra la fede del popolo: una spiritualità che non ha l’ambizione di spiegare e di definire nulla, ma esprime un desiderio di vita in cui vibra il grido stesso della fede.
Ecco, in questo contesto mi chiedo, con tutti voi, con i confratelli Vescovi, con i Presbiteri e i Diaconi: che cosa viene a fare il Papa il prossimo 15 settembre? Iniziamo sin d’ora a rispondere a questa domanda, appoggiandoci allo stesso insegnamento di Papa Francesco, che in questi anni del mio ministero episcopale tra voi abbiamo cercato di recepire insieme, sinodalmente, come Chiesa di Palermo.
Il Papa viene a dirci che la nostra venerata e antica Chiesa palermitana, non esente dalla scristianizzazione e dalla secolarizzazione, è chiamata a riconoscere questo momento come una provvidenziale e propizia chiamata ad un annuncio cristiano che si concentri «sull’essenziale, su ciò che è più bello, più attraente e, allo stesso tempo, più necessario» (Evangelii gaudium, 35).
Papa Francesco viene a ricordarci, da successore di Pietro e primo testimone e confessore dell’amore di Cristo, che «per predicare al popolo bisogna guardare e saper ascoltare, entrare nel processo che vive, immergersi» (Nei tuoi occhi è la mia parola. Omelie e discorsi di Buenos Aires, 1999-2013).
Il Papa viene per entrare nello spirito e nella ‘carne’ della nostra terra e del nostro popolo, per aiutarci ad essere Chiesa-casa tra le case, evangelizzatori prossimi e gioiosi, comunità cristiane capaci di riflettere la luce di Cristo che, come la luna, brilla di luce riflessa nella Chiesa (Lumen gentium, 1).
Il Santo Padre viene a chiederci di essere una Chiesa «in uscita» dalle proprie mura, una Chiesa che non annuncia una verità dall’alto delle proprie sicurezze, ma semplicemente il Vangelo di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio fattosi carne, nell’umile consapevolezza di poter essere credibile solo camminando sulla strada di tutti.
Una Chiesa ‘nunzia’, ‘prossima’, ‘povera’, che beva fino in fondo il calice della vita ordinaria e del tempo feriale, dentro le tante emergenze sociali del nostro territorio, lì dove il volto umano è rigato dal dolore e sfigurato dal peccato, lì dove abitano i vinti e gli scartati della Terra, dove stanno le vittime delle ingiustizie umane e dei poteri carsici e mafiosi.
Il Papa viene a sostenere la Chiesa di Palermo, viene nel cuore di questa meravigliosa Città per chiamarla a ripartire con lo sguardo sempre acuto del Vangelo, con la parola della grazia di Dio per ogni uomo, con l’amore a noi donato, che dobbiamo offrire ad ogni fratello, dal più vicino al più lontano. Quanta urgenza ha la nostra amata Diocesi di comunità discepole del Vangelo di Cristo Gesù!
Soltanto una Chiesa in ascolto del suo Maestro e Signore, nella sincera ricerca di una fraternità genuina e profonda, che condivide il suo Pane-Corpo donato e il pane essenziale di ogni giorno, potrà permettere al Vangelo di percorrere le vie di questo nostro mondo affinché si realizzi il testamento di Gesù: «Che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando» (Gv 15, 12-14).
Vangelo di gioia, di speranza e di accoglienza, incarnato dal Beato Pino Puglisi fino all’ultima goccia di sangue versato per noi tutti, per la nostra Chiesa e per la nostra Città. Vorrei che il titolo di Beato attribuito dalla Chiesa a don Pino avesse tutta la fragranza della sua libera, quotidiana e radicale adesione alle Beatitudini evangeliche e al Beato per eccellenza, che è Gesù di Nazareth, Figlio di Dio.
«Beato chi trova in te la sua forza e i tuoi sentieri nel suo cuore» (Salmo 84). Concedici, Signore, la grazia e il privilegio di prendere su di noi il tuo giogo e di percorrere la tua via di povertà e audacia nella testimonianza della logica del Regno, in questo nostro tempo tanto complesso quanto promettente, avendo l’eterno Amore come unica energia propulsiva, con un cuore semplice e umile, che attinga costantemente a te, il Mite e il Semplice di cuore (cfr. Mt 11, 29).
Attendiamo così Papa Francesco! In sincero atteggiamento di ascolto. Sarà questo il miglior benvenuto e il più grande ringraziamento da tributare a lui, vescovo di Roma e fratello nella fede, che viene a visitarci nella gioia del Vangelo!
Vi abbraccio tutti con affetto e vi benedico largamente.
L'arcivescovo di Palermo presenta la visita del Papa in città per i 25 anni dal martirio del prete beato. «La Chiesa sia audace e gridi: il Vangelo è incompatibile con la mentalità criminale»
... «La bellezza dell’impostazione pastorale di don Pino non sta nell’essere stato un prete antimafia – spiega Lorefice –. No, forte dell’eredità del Concilio, aveva compreso nel concreto, a Brancaccio, che il Vangelo doveva tradursi in promozione umana. E aveva fatto fino in fondo quanto è chiamato a compiere ogni sacerdote: conoscere la sua gente e il territorio; leggerli alla luce della Parola di Dio; spronare la comunità affinché il messaggio di salvezza di Cristo diventi una proposta totale di vita, che riguarda lo spirito e il corpo, quindi anche la convivenza umana. Se il cristiano spera in cieli nuovi e terra nuova, allora si indigna di fronte ai soprusi e all’emarginazione e percorre con tutto se stesso le vie della giustizia, della solidarietà, della pace. Questo è il lascito di padre Puglisi».
Eccellenza, papa Francesco sarà fra un mese a Palermo proprio nel giorno dell’assassinio del prete della “rivoluzione evangelica”.
La sua visita nel 25° anniversario del martirio rientra in un itinerario che il Papa sta disegnando nella Penisola intorno a figure e luoghi significativi della Chiesa italiana. Dal Nord al Sud: da Bozzolo a Barbiana, da Nomadelfia a Loppiano, da Molfetta a Palermo. Da don Primo Mazzolari a don Lorenzo Milani, passando per Tonino Bello o Zeno Saltini, fino a don Pino, emerge l’impronta di un Vangelo che sa raggiungere attraverso coraggiosi testimoni la carne degli uomini. E Francesco vuole darci un messaggio chiaro: la Chiesa è tenuta a immettere nella storia degli uomini un fermento capace di trasfigurarla. E le forze occulte del male che sono ben presenti anche nel Mezzogiorno e qui in Sicilia non la fermeranno.
Papa Bergoglio ha già condannato la mafia a Sibari in Calabria. Come avevano fatto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Dal “convertitevi” di papa Wojtyla alle parole di Francesco, è come se si avvertisse un unico grido. È il grido dell’audacia di una Chiesa in grado di ripetere con vigore che ogni atteggiamento mafioso è antievangelico. Così, come vescovi della maggiore isola del Mediterraneo, abbiamo ripreso quell’appello del Papa santo per sollecitare le comunità cristiane, animate dall’energia e dalla gioia dell’Evangelo, ad assumere la sfida formativa come reale possibilità per vincere la mentalità mafiosa. ...
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