La “Conversione di Saulo” di Caravaggio
a cura di fr Egidio Palumbo,
carmelitano
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(VIDEO INTEGRALE)
MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2017
promossi dalla
Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto
01.02.2017
Le opere artistiche di Michelangelo Merisi detto Caravaggio (1571-1610) rimangono ancora oggi affascinanti per il loro coinvolgimento personale e gli spunti di riflessione che suscitano nello spettatore. Evidenziare nella pittura del nostro artista primariamente gli aspetti tecnici relegando in secondo piano la sua poetica, si rischierebbe di offrire una lettura riduttiva delle sue opere e del suo genio artistico. Invece è proprio la sua poetica, emergente dalla sua personalità ricca, poliedrica e complessa, che ha reso affascinanti le sue opere. Scrive Stefano Zuffi: «Per vedere le opere di Caravaggio si fa spesso la fila. Ma quando arriviamo davanti a queste tele, faccia a faccia, la folla scompare. Siamo soli, noi e lui, qui e adesso, davanti al mistero della vita e del destino, davanti alla bellezza dell’arte, davanti alla vertigine del divino, davanti alla miseria e all’eternità dell’uomo». E, a ragione, scriveva Renato Guttuso: «La verità di una grande passione creativa si misura dalla sua durata, dalla sua capacità di riproporsi come fonte d’acqua viva alle ideologie, alle nuove convinzioni, ai nuovi gusti: mostrare una faccia nuova, mai vista prima»....
Il cavallo, che sembra dominare la scena con la sua enorme stazza, non è più imbizzarrito, si è calmato, ed è attento, con quell’alzare la zampa destra, a non calpestare il suo cavaliere Saulo. Il cavallo – non menzionato né dagli Atti degli Apostoli né da Paolo nelle sue lettere, ma è frutto dell’immaginario della tradizione iconografica – sta con tutta la sua imponenza di fronte a Saulo, che è sdraiato a terra sulla schiena. Qui il cavallo sembra essere – in consonanza con la fede biblica (Sal 32,9; Zc 10,5; 12,4) – cifra simbolica di potenza, forza, altezzosità, orgoglio, arroganza e stoltezza. Nell’antichità, e anche ai tempi di Caravaggio, il cavallo era l’animale per i signori della guerra. A cavallo ci andavano i nobili, i ricchi e i borghesi, non la gente normale, né tantomeno i poveri. E da questa prospettiva, il cavallo, non più imbizzarrito e ormai calmo, sembra fare da “specchio” a Saulo caduto a terra: gli “riflette” il suo essere stato spogliato da ogni forma di sicurezza e di potere, la sua umiliazione e il suo abbassamento, il suo quietarsi fino all’abbandono fiducioso. E tutto questo avviene per quella Luce “di mezzogiorno” (At 22,6; 26,12), luce dorata e morbida. È la Luce del Signore Risorto, la Luce della Grazia che illumina Saulo, lo rende “piccolo” (“Paulus”) e debole, lo chiama, lo interpella e gli trasforma l’esistenza. Qui Caravaggio è geniale nel fermare il “fotogramma” del kairòs, ovvero l’istante propizio dell’azione sovrabbondante della Grazia che agisce nella persona di Saulo: la Grazia che gratuitamente scioglie i cuori induriti, che usa misericordia, che perdona, salva, rinnova l’esistenza e chiama ad una missione (Gal 1,15; 1Tm 1,13-14). E infatti, questo istante è qui raffigurato come una illuminazione battesimale, come una nuova nascita per Saulo/Paolo: egli ha il volto giovane di un trentenne, ha le braccia aperte, disarmate (la spada è da una parte e l’elmo dall’altra, ormai inutili ferri…), alzate e protese come un bambino verso il Signore, abbandonate a Lui, pronte a lasciarsi rialzare da Lui, a morire e risorgere in Lui. È veramente l’istante propizio della rinascita spirituale di Paolo. Forse non è un caso che la memoria liturgica della “Conversione di San Paolo”, già presente in Italia nel sec. VIII ed entrata nel calendario liturgico Romano sul finire del sec. X, si festeggia il 25 gennaio, esattamente – lo ricordava Jacopo da Varazze già nel XIII secolo – un mese dopo la Natività di Gesù.
Forse, non è del tutto strana l’idea di Caravaggio di collocare in una stalla la scena dell’evento di Damasco: evento generativo di sapiente rinascita, vissuto alla luce della Natività di Gesù.
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