La scuola italiana è ancora un bene pubblico? A chi o a cosa deve "resistere"? L'abbiamo chiesto ad Alex Corlazzoli, autore del libro "La scuola che resiste", in uscita per Chiarelettere.
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Alex Corlazzoli, blogger, insegnante e scrittore, racconta i mali dell'educazione in Italia. Che chiamano in causa l'inettitudine della politica, l'inerzia degli educatori, la rassegnazione dei genitori
Giornalista, politico, intellettuale, ma – più d’ogni altra cosa – maestro di campagna.
Alex Corlazzoli, trentasette anni, origine cremasche, è un fiume in piena, piuttosto incurante degli argini. Ha strappato alle cronache il suo spazio di visibilità warholiano lo scorso 30 agosto, nel pieno d’uno sciopero della fame, davanti al provveditorato di Cremona, per denunciare le desolanti condizioni di precarietà in cui naviga, oggi, il docente medio d’una scuola elementare: 16 ore d’incarico per 700 euro di stipendio, nello specifico. I suoi sei anni di insegnamento “matto e disperatissimo” li ha illustrati in un libro “La scuola che resiste”, edito da Chiarelettere.
In esso l’esperienza, la riflessione e la sintesi, con tanto d’appendice di ricette per fronteggiare difficoltà quasi lunari che politica, cesoie sui finanziamenti e macchina burocratica oppongono a chi combatte da dietro le ridotte delle aule. Non solo docenti, sia chiaro. Ma con loro, genitori e società civile.