Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



mercoledì 25 ottobre 2023

“Non nel mio nome”. Gli ebrei europei condannano la guerra di Israele a Gaza

“Non nel mio nome”. 
Gli ebrei europei condannano la guerra di Israele a Gaza


“La verità può essere nascosta ma non cancellata e torna sempre a galla” recita un proverbio arabo. Da quanto è iniziato il dramma palestinese-israeliano con il barbaro attacco di Hamas e successiva rappresaglia israeliana su Gaza, ogni gesto di solidarietà verso il popolo palestinese, ogni critica o semplice perplessità sulla strage di civili palestinesi viene etichettata come “antisemitismo” e “pro-Hamas”.

In vari Paesi europei si tenta di impedire le manifestazioni per la Pace in Palestina violando i principi base della democrazia dell’Unione Europea. Politici e Media europei sono consapevoli dei crimini di guerra in atto nella Striscia di Gaza ma nessuno osa parlarne chiaramente, preferendo accodarsi al conveniente mantra “Israele Buono Palestina=Hamas”. Mantra che il Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha “migliorato” aggiungendo l’assioma “Hamas = Iran = Russia”.

Risulta però impossibile accusare di antisemitismo e di essere pro-Hamas le decine e decine di importanti figure ebraiche europee che si uniscono alle manifestazioni filo-palestinesi e condannano apertamente la compagine governativa di destra ed estrema destra guidata dal Likud. Da Glasgow a Londra, da Parigi a Barcellona, da Copenaghen all’Italia, molti ebrei si sono uniti alle manifestazioni filo-palestinesi per esprimere solidarietà al popolo dell’enclave sotto assedio. Sono ebrei che difendono il loro popolo ma che denunciano l’operato del governo israeliano, difendendo anche il popolo fratello che da generazione è costretto a vivere sotto l’occupazione israeliana: i palestinesi.

Jonathan Ofir, direttore d’orchestra e scrittore ebreo è stato tra i primi a schierarsi contro il governo israeliano. “L’attacco di Hamas del 7 ottobre nel sud di Israele, assieme a un’ondata di dichiarazioni occidentali a sostegno del diritto di Israele a difendersi, rappresentano il via libera a Israele per compiere un massacro molto più grande di quello che ha subito”.

Ofir ha avuto il coraggio di evidenziare una realtà violentemente censurata. Più di 1.400 persone sono state uccise in Israele nell’attacco di Hamas, spingendo il primo ministro Benjamin Netanyahu a dichiarare guerra al movimento estremista palestinese Hamas. Da allora, un’incessante e brutale campagna di bombardamenti da parte di Israele ha ucciso più di 5.100 persone nella Striscia di Gaza, riducendo gran parte del territorio in macerie in poco più di due settimane.

Ofir, nato in Israele ma che vive nella capitale danese, non è il solo ebreo residente in Europa che critica le politiche del governo di Tel-Aviv e che si è unito alle proteste esplose in tutto il continente contro i crimini di guerra in corso a Gaza.

“Israele interpreta gli ebrei come una sua risorsa politica. Ci utilizza come arma; sia nella battaglia demografica nei confronti dei non ebrei, arabi e palestinesi, sia nella propaganda ideologica in difesa dello Stato ebraico. Il governo cerca di fare lo stesso con gli ebrei di tutto il mondo. Cerca di renderci scudi umani, per ottenere la giustificazione internazionale di attaccare i palestinesi secondo la sua agenda colonialista-coloniale, utilizzando la pulizia etnica, l’assedio e periodici massacri”, ha affermato Ofir in una recente intervista al Network informativo arabo Al-Jazeera.

La cittadina israeliana e scrittrice Naama Farjoun autrice del bestseller “Israele-Palestina, le donne contro la guerra” non usa mezzi termini su quello che sta avvenendo in Terra Santa. “Ho lasciato Israele perché non potevo sopportare il peso di essere una cittadina israeliana privilegiata in uno stato razzista che quotidianamente discrimina i nostri concittadini di origine palestinese. L’attacco di Hamas contro Israele mi ha portato grande dolore, causando sofferenze che nessuno dovrebbe sopportare. Eppure credo che gli attuali tragici eventi siano il risultato diretto di anni di abusi, repressione, violenza e privazioni attuate dallo Stato di Israele”.

Naama Farjoun (54 anni) è cresciuta in gran parte a Gerusalemme, prima di scegliere (nel gennaio 2001) la via dell’esilio come forma di protesta contro il governo israeliano, definendosi un’ebrea anti-sionista. Oggi vive alla periferia di Valencia, in Spagna.

Lo scrittore e giornalista Gad Lerner si è attirato le ire dei nostri media e politici per aver espresso le sue opinioni sul dramma israelo-palestinese. “Non è mai cessata l’occupazione militare israeliana di territori abitati da milioni di palestinesi. Quando tu hai una pentola a pressione sul fuoco e pensi: ‘tanto ho una superiorità militare, tecnologica, economica soverchiante quindi i palestinesi sono persone che siamo in grado di sottomettere’; quella pentola continua a bollire piano piano e tu fai finta di non accorgetene. Poi arriva il giorno del tutto inaspettato in cui tutto salta in aria. Fino a qualche tempo fa la parola d’ordine dei portavoce delle comunità ebraiche era: ‘Noi stiamo con Israele senza se e senza ma’ e chiunque avanzi una critica al governo israeliano è un traditore della nostra gente, è un ebreo che odia se stesso, fornisce strumenti al nemico’. Fa bene a Israele essere criticato. Chi ama Israele oggi gli fa presente che non si poteva lasciare per 56 anni la Palestina chiusa in quella pentola a pressione”.

Secondo molti ebrei residenti in Europa, raramente è facile sostenere pubblicamente la Palestina e condannare Israele se si è ebrei. “Quando ho iniziato a sostenere i diritti dei palestinesi anche sui social ho ricevuto molti insulti, incluso descrivermi come un antisemita e il dire che mentivo su fatto di essere ebreo” afferma Tom London militante del Partito Laburista della corrente di Jeremy Corbyn.

Molti ebrei europei che sono devoti alla Torah e al loro popolo soffrono nel vedere la censura dei governi UE sul dramma della Palestina. Una censura non dichiarata ma per questo non meno efficace. Su varie piattaforme social molti utenti ebrei sono stati sottoposti a shadowban (limitazione della visibilità dei contenuti pubblicati) o non sono in grado di condividere foto e video sulle piattaforme.

Particolarmente attivo è il gruppo Meta di Mark Zuckerberg che gestisce 4 piattaforme social: Facebook, Instagram, WhatApp, Messenger. Meta oltre a limitare post critici sulla Palestina, sul conflitto ucraino o su altri argomenti contrari al pensiero dominante degli Stati Uniti, applica una censura sui suoi social per conto dei governo UE e americano, subappaltando l’ingrato compito a media europei incaricati anche di fact-checking, cioè di decidere arbitrariamente se una notizia sia vera o meno.

Di solito Meta sceglie per questo “lavoro sporco” media in difficoltà economiche garantendo il supporto necessario per evitare il fallimento e la chiusura. Meta è ora molto attiva in Europa a censurare qualsiasi commento pro Palestina anche proveniente da utenti ebrei. “La censura è un metodo sbagliato. Impedisce di lavorare per un futuro condiviso da tutti dove non ci facciamo del male a vicenda. Dobbiamo creare una cultura di Pace” sottolinea Ofir.

Gli ebrei europei che esprimono la loro condanna della condotta del governo israeliano contro i palestinesi non è un fenomeno isolato né nuovo. Dal 1948 (quando David Ben Gourion ideò e mise in pratica la prima pulizia etnica (Nakba) tramite l’espulsione forzata dalle loro terre di 700mila palestinesi) molti ebrei israeliani si sono rifiutati di prestare il servizio militare.

I cosiddetti “Refugeniks” israeliani hanno pagato la loro scelta di Pace e di coerenza con i principi della Torah, con umiliazioni, persecuzioni, discriminazioni e persino il carcere. Joseph Abileah, un musicista ebreo di origine austriaca, è ampiamente considerato il primo ebreo in Israele a essere stato processato per essersi rifiutato di prestare servizio nell’esercito israeliano, pochi mesi dopo la fondazione dello stato ebraico nel 1948. Il violinista riuscì a sfuggire a un pena detentiva e la sua posizione ha aperto la strada a generazioni di obiettori di coscienza israeliani.

Anche negli Stati Uniti vi è un forte movimento ebraico contro il governo di Tel-Aviv che denuncia i crimini di guerra commessi dal Likud. In Israele molti ebrei sono contrari alla logica della violenza cieca usata per gestire la “problematica” palestinese. Opposizione che si manifesta nell’appoggio dei partiti di sinistra e trova voce su vari media nazionali come il quotidiano Haaretz.

Come è avvenuto durante il conflitto ucraino (ora totalmente dimenticato) in Italia stiamo assistendo ad un violento tentativo di censura, colpevolizzando le voci critiche che mettono in discussione la narrativa del Ministero della Verità Assoluta. Sono gli stessi attori politici e della Disformazione mediatica della campagna SalvaUkraine che ormami sono inseriti in un processo degenerativo e derive autoritarie che stanno mettendo in serio pericolo i nostri valori democratici. Applicano la stessa metodologia applicata per la guerra NATO in Ucraina. Ora accusano chiunque non sostenga acriticamente il governo del Likud di essere antisemita. Addirittura qualche deputato (purtroppo di sinistra) si è spinto sui social a chiedere ai prefetti di identificare al più presto i manifestanti pro Palestina accusati di incitamento all’odio antisemita.

Secondo il parere degli ebrei europei critici verso il governo israeliano, la definizione di antisemitismo è usata strumentalmente per proteggere l’attuale compagine governativa di Tel-Aviv dalle critiche e dall’assunzione delle proprie responsabilità dinnanzi a crimini di guerra. Una tattica che riduce intenzionalmente la libertà di espressione. Molti ebrei contrari alla politica israeliana, rimangono in silenzio in quanto temono che le loro critiche a Israele e al movimento dei coloni vengano classificate come antisemite.

“E’ assurdo paragonare Israele alla Germania nazista per quello che sta avvenendo in Palestina. Tuttavia è necessario denunciare la politica del governo israeliano e descrivere le violazioni dei diritti umani effettivamente commesse sia dall’esercito che dai coloni israeliani. Un vero ebreo, un vero amico di Israele, dovrebbe alzare la voce quando Israele o singoli gruppi e individui israeliani violano il diritto internazionale. Allo stesso modo, un vero amico della Palestina dovrebbe opporsi a coloro che fanno del terrorismo l’unica risposta alla violenza israeliana e come mezzo per ottenere l’indipendenza”, spiega l’attivista Carl Bradshaw, uno dei principali sostenitori del Programma Ecumenico di Accompagnamento a Gerusalemme e nel villaggio di Yanoun in Cisgiordania.

Quali sono i motivi che spingono gli ebrei di ogni parte del mondo a criticare Israele? La risposta ci viene offerta dal direttore d’orchestra e scrittore Jonathan Ofir. “Come ebreo, e in particolare come ebreo israeliano, sento il dovere di dire che quello che sta facendo lo Stato di Israele in Palestina lo sta facendo NON NEL MIO NOME. Combatterò questi crimini perché la libertà, la giustizia e l’uguaglianza per i palestinesi sono una necessità e se tale necessità non viene soddisfatta, non solo danneggia, ma arriverà a perseguitare noi ebrei”.

(fonte: Pressenza, articolo di Aurelio Tarquini 24/10/2023)