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lunedì 24 aprile 2023

Spezzò il pane e ne diede loro…

Spezzò il pane e ne diede loro…

Il gesto fondamentale del Risorto, affinché i discepoli di Emmaus lo riconoscano, riletto alla luce di Fabrizio De André


«Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa» (Mc 4,34). Spesso si ha l’impressione che questo parlare «in privato», che cerca di spiegare ogni cosa, sia l’unico rimasto nello sforzo pastorale della chiesa. Eppure Gesù il proprio insegnamento l’ha sempre pensato innanzitutto in parabole, lasciando per così dire la parte più “didattica” agli specialisti, a coloro che un domani avrebbero (ri)preso la (sua) parola.

È bene, allora, provare a recuperare questo linguaggio in parabole, che insieme racconta e interpella, che vuole portare l’ascoltatore a decidersi in favore di quella verità che così, come storia, sempre si rivela.

Si può parlare di Gesù in parabole? Sarà questa la nostra domanda, con la speranza di poterlo fare. Ci rivolgiamo, per questo, a un esperto di “riscrittura” evangelica, di ripresa della buona novella. Il brano musicale Il pescatore, di Fabrizio De André, è un ottimo esempio di come un racconto (in questo caso, una canzone) possa descrivere il cuore dell’evento e quindi della fede cristologica.


Sulle prime il titolo è volutamente fuorviante. Di tutto si parla, tranne che di “pesca”. Di fronte a noi, piuttosto, «un vecchio», all’apparenza assopito ma per certi versi sempre all’erta, lasciando trapelare solo «una specie di sorriso». A fargli compagnia, sulla spiaggia, arriva «un assassino». Egli non ha nome, non viene identificato se non per i suoi «occhi», specchio di un’anima impaurita, travagliata: l’anima di «un bambino». A questo punto, vedendo la scena che si svolge tra i due, non si può non restare sorpresi. Alla richiesta perentoria del primo, il secondo reagisce con immediatezza, offrendo pane e vino «per chi diceva ho fame e ho sete».

Due cose sono interessanti. Per prima cosa, notiamo come il linguaggio assuma qui una sfumatura generale, quasi universale, facendoci dimenticare di trovarci in un racconto. L’azione del vecchio viene così ad assumere una valenza più ampia, una sorta di comandamento implicito. In secondo luogo, non è il dono materiale quello che più interessa. In realtà De André parla di «calore», di «memoria», di «rimpianto» che rimangono nel cuore dell’assassino. È la sua vita stessa a restare segnata da questo incontro, una vita che adesso, saziata e dissetata, può tornare a volgersi al proprio sole.

Inizia quindi l’ultima scena di questa parabola. Compaiono «due gendarmi» che invano cercano di parlare con il vecchio. È evidente come l’oggetto del loro domandare non coincida con quello del vecchio. Da un lato si parla di assassini, dall’altro di occhi, sete e fame. Al vecchio non resta che tornare ad assopirsi, alla luce di quello che, curiosamente, ci si presenta ancora come un «ultimo sole» (che, a rigor di logica, a questo punto poteva essere del tutto tramontato).

Un racconto singolare a suo modo. Una narrazione che lascia molti spazi bianchi tra le righe del suo testo, ma che proprio lì ci rivela il suo senso più autentico e splendidamente cristologico. Il dono di sé, totale e assoluto, nei simboli cristianamente elementari di pane e vino, non possono che rimandare al rito eucaristico, testamento spirituale, evento storico che ancora oggi ci racconta il cuore pulsante della rivelazione di Gesù. Un simbolo che trova la propria radice nel dono del Figlio sulla croce. È proprio l’atmosfera della passione, in effetti, quella che si può respirare nel nostro racconto. Colui che (si) dona si apre a un altro individuo segnato dal proprio peccato (un assassino), non diversamente dai più noti ladroni evangelici o, più in generale, la stessa umanità, sempre peccatrice. La comparsa dei gendarmi si allinea facilmente alle guardie interessate a «Gesù il Nazareno» nell’orto degli ulivi. Il titolo stesso del brano, a questo punto, ci rimanda non solo al compito di ogni cristiano ma, in origine, a colui che per primo si è fatto pescatore, colui che proprio sulla croce ha voluto attirare tutti a sé, nel momento supremo della sua morte, poco prima che si facesse «buio su tutta la terra»: in altre parole, «all’ombra dell’ultimo sole». Quel sole, dunque, che mai tramonta, ma rimane per sempre il segno astronomico del dono definitivo, la luce senza fine che nasce dal sacrificio di Gesù.

La spiaggia, dove troviamo questo pescatore, è il luogo del Risorto, dove i discepoli vengono sfamati e richiamati alla propria missione. È qui, nell’incontro con il pescatore, che ciascuno di noi, similmente, è rimandato al proprio diventare pescatore, nutrito da quell’unico pane e da quell’unico vino che soli possono dare la vita eterna (Gv 6,35.54-56).

Ebbene, la risposta alla nostra domanda, forse, ha avuto una soluzione positiva. Quella che abbiamo cercato è stata una veloce lettura di una parabola dei giorni nostri, cantata da uno dei grandi cantautori del secolo scorso, che così, in un linguaggio oggi forse trascurato, ci offre tutti gli elementi per una cristologia degna di questo nome. Una visione concreta di Cristo, vicina all’umano ma segnata e caratterizzata dai tratti specifici qualificanti la sua divinità e regalità: la donazione totale e incondizionata di sé, l’amore universale per tutti, senza distinzioni, cibo di vita eterna per chiunque ha fame e sete.
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Stefano Fenaroli 23 aprile 2023)