lunedì 31 maggio 2021

Festa della Visitazione - Riflessione di don Luciano Locatelli


Festa della Visitazione
Riflessione di don Luciano Locatelli

"In quei giorni, Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta (…)". Lc 1,39-56

Ascoltando questa Parola e contemplando queste due donne straordinarie nella loro vita ordinaria (Luca è coraggioso, molto coraggioso e provocante nel mettere queste due donne all'inizio dell'avventura evangelica … e qualcosa vorrà pur dire, a noi virili patriarchi tutti dediti al "servizio divino" …) volgo lo sguardo alla nostra Chiesa, specialmente a quella italiana e mi dico: ma che paure abbiamo? Ma quali di blocchi mentali siamo prigionieri? Perché questo timore nel mettersi in cammino seriamente per ridare forza all'annuncio della gioia del Vangelo?

Io ho una sola risposta: perché il Vangelo l'abbiamo messo in soffitta e ci siamo installati nella comoda poltrona della religione. Siamo diventati dei pantofolai religiosi, installati sulle facili credenze che hanno anestetizzato la forza vitale e dirompente dell'annuncio evangelico.

E ciò che fa male al nostro sistema incartapecorito è che siano proprio due donne a dirci questo! Donne che, senza troppi patemi d'animo, abbiamo relegato con troppa facilità negli angoli bui delle nostre sacrestie a curare i fiori delle nostre "belle liturgie" e a tirare a lucido i banchi di chiese che oggi, grazie a Dio, restano sempre più vuoti perché raccogliamo ciò che abbiamo seminato e che ostinatamente continuiamo imperterriti a seminare.

Se non abbiamo il coraggio di alzarci (per dirla politically correct…) e di metterci in cammino seriamente, continueremo ad accontentarci di bere acqua creduta vino (questo è il potere della religione) e non sapremo mai gustare il vino forte e sempre nuovo del Vangelo.

Maria è donna coraggiosa, donna forte, donna non sottomessa ma docile allo Spirito divino che non è certo uno spirito anestetico. Mi immagino Maria seduta in mezzo all'Assemblea della Cei… a dire: "Ma siete ancora lì? Che fate ancora seduti?"
Inutile festeggiare la Visitazione restando seduti. O ci si mette in cammino o restiamo a fare teatro.

Un abbraccio a tutte e a tutti. Buona vita.
(fonte: Pagina fb dell'autore)


«È un mistero che ci ha rivelato Gesù Cristo: la Santa Trinità... Sono Persone reali, diverse, differenti... Il Padre è amore, il figlio è amore, lo Spirito Santo è amore. E in quanto è amore, Dio, pur essendo uno e unico, non è solitudine ma comunione... » Papa Francesco Regina Coeli 30/05/2021 (testo e video)

ANGELUS

Piazza San Pietro
Solennità della Santissima Trinità - Domenica, 30 maggio 2021



Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questa festa nella quale celebriamo Dio: il mistero di un unico Dio. E questo Dio è il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Tre persone, ma Dio è uno! Il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito è Dio. Ma non sono tre dei: è un solo Dio in tre Persone. È un mistero che ci ha rivelato Gesù Cristo: la Santa Trinità. Oggi ci fermiamo a celebrare questo mistero, perché le Persone non sono aggettivazione di Dio, no. Sono Persone reali, diverse, differenti; non sono – come diceva quel filosofo – “emanazioni di Dio”, no, no! Sono Persone. C’è il Padre, che io prego con il Padre Nostro; c’è il Figlio, che mi ha dato la redenzione, la giustificazione; c’è lo Spirito Santo, che abita in noi e abita la Chiesa. E questo parla al nostro cuore, perché lo troviamo racchiuso in quella espressione di San Giovanni che riassume tutta la Rivelazione: «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16). Il Padre è amore, il figlio è amore, lo Spirito Santo è amore. E in quanto è amore, Dio, pur essendo uno e unico, non è solitudine ma comunione, fra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Perché l’amore è essenzialmente dono di sé, e nella sua realtà originaria e infinita è Padre che si dona generando il Figlio, il quale si dona a sua volta al Padre e il loro reciproco amore è lo Spirito Santo, vincolo della loro unità. Non è facile da capire, ma si può vivere questo mistero, tutti noi, si può vivere tanto.

Questo mistero della Trinità ci è stato svelato da Gesù stesso. Egli ci ha fatto conoscere il volto di Dio come Padre misericordioso; ha presentato Se stesso, vero uomo, come Figlio di Dio e Verbo del Padre, Salvatore che dà la sua vita per noi; e ha parlato dello Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio, Spirito di Verità, Spirito Paraclito – ne abbiamo parlato, domenica scorsa, di questa parola “Paraclito” – cioè Consolatore e Avvocato. E quando Gesù è apparso agli Apostoli dopo la risurrezione, Gesù li ha inviati ad evangelizzare «tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19).

La festa odierna, dunque, ci fa contemplare questo meraviglioso mistero di amore e di luce da cui proveniamo e a cui è orientato il nostro cammino terreno.

Nell’annuncio del Vangelo e in ogni forma della missione cristiana, non si può prescindere da questa unità alla quale chiama Gesù, fra noi, seguendo l’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: non si può prescindere da questa unità. La bellezza del Vangelo richiede di essere vissuta – l’unità – e testimoniata nella concordia tra noi, che siamo così diversi! E questa unità oso dire che è essenziale al cristiano: non è un atteggiamento, un modo di dire, no, è essenziale, perché è l’unità che nasce dall’amore, dalla misericordia di Dio, dalla giustificazione di Gesù Cristo e dalla presenza dello Spirito Santo nei nostri cuori.

Maria Santissima, nella sua semplicità e umiltà, riflette la Bellezza di Dio Uno e Trino, perché ha accolto pienamente Gesù nella sua vita. Ella sostenga la nostra fede; ci renda adoratori di Dio e servitori dei fratelli.


Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Ieri ad Astorga, in Spagna, sono state beatificate María Pilar Gullón Yturriaga, Octavia Iglesias Blanco e Olga Pérez-Monteserín Núñez. Queste tre donne laiche coraggiose, a imitazione del buon Samaritano, si sono dedicate a curare i feriti di guerra senza abbandonarli nel momento del pericolo, hanno rischiato, e sono state uccise in odio alla loro fede. Lodiamo il Signore per la loro testimonianza evangelica. Un applauso alle nuove Beate!

Il prossimo 1° luglio mi incontrerò in Vaticano con i principali Responsabili delle Comunità cristiane presenti in Libano, per una giornata di riflessione sulla preoccupante situazione del Paese e per pregare insieme per il dono della pace e della stabilità. Affido questa intenzione all’intercessione della Madre Dio, tanto venerata al Santuario di Harissa, e fin da questo momento vi chiedo di accompagnare la preparazione di questo evento con la preghiera solidale, invocando per quell’amato Paese un futuro più sereno.

Oggi si celebra la Giornata mondiale della sclerosi multipla e, in Italia, la Giornata nazionale del sollievo. Esprimo riconoscenza per queste iniziative; ricordiamoci che la vicinanza «è un balsamo prezioso che dà sostegno e consolazione a chi soffre nella malattia» (Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato 2021).

Questa mattina ho ricevuto un piccolo gruppo di fedeli che mi ha portato la traduzione della Bibbia tutta intera nel loro dialetto. L’ha fatto un uomo: otto anni di lavoro! Scritta, sono otto volumi, tutta in dialetto. E lui, che era presente, mi diceva che leggeva, pregava e traduceva. Io vorrei ringraziare per questo gesto, e anche un’altra volta dirvi di leggere la Bibbia, di leggere la Parola di Dio, per trovare lì la forza della nostra vita. E anche – in questo mi ripeto – di portare sempre con voi il Nuovo Testamento, un Vangelo tascabile: nella borsa, nella tasca, per poter leggerlo in qualsiasi momento della giornata. Così troveremo Gesù nella Sacra Scrittura. Impariamo dall’esempio di quest’uomo che durante otto anni ha lavorato per capire questo. E mi diceva: “Lo facevo pregando”.

Saluto di cuore tutti voi, provenienti da Roma, dall’Italia e da altri Paesi. Vedo che c’è il Canada, la Colombia… Dobbiamo pregare per la Colombia! E lì c’è anche la Polonia, e qui altri Paesi… Saluto tutti voi! In particolare i cresimandi della parrocchia dei Santi Protomartiri Romani. Saluto i pellegrini polacchi e benedico i partecipanti al grande pellegrinaggio al Santuario mariano di Piekary Śląskie. E come di consueto saluto i ragazzi dell’Immacolata.

A tutti auguro una buona domenica. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

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domenica 30 maggio 2021

«LA MALATTIA L'AVEVA RESA ASSETATA DI DIO» Il commovente testo del biblista Alberto Maggi dedicato a Carla Fracci, letto al suo funerale: «Non sono lontana, ma ancora più vicina. Per questo non dite di me “non è più!”, ma “è di più”. E ora regalatemi il vostro sorriso, e ricordatemi con il mio».



IL FRATE CHE È STATO "ACCANTO" A CARLA FRACCI:
«LA MALATTIA L'AVEVA RESA ASSETATA DI DIO»

Il biblista Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha scritto il messaggio letto ai funerali da Giovanni Nuti in cui la Fracci si è “congedata” dai suoi familiari e amici. E racconta il suo rapporto speciale con l’ètoile: «Aveva letto i miei due libri che ho dedicato al tema della morte trovandone il messaggio positivo perché ho parlato della bellezza della morte che è un compimento non la fine di tutto»


Il biblista Alberto Maggi, frate
dell'Ordine dei Servi di Maria
«È stata una grande emozione sentire Giovanni Nuti leggere il testo di congedo che ho preparato per Carla Fracci».

Il biblista Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, racconta a Famiglia Cristiana il rapporto speciale che lo univa alla grande ètoile morta il 27 maggio scorso e della quale si sono celebrati i funerali nella Basilica di San Marco a Milano sabato pomeriggio.

«Con l’approssimarsi della malattia, che lei ha nascosto a tutti, Giovanni Nuti le ha fatto conoscere due miei libri che ho dedicato al tema del morire e della morte», racconta frate Maggi. Si tratta di Chi non muore si rivede, uscito nel 2012 per Garzanti, «e nel quale racconto la mia esperienza in ospedale sospeso tra la vita e la morte», e quello successivo, uscito nel 2017 sempre per Garzanti, L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita. «Sono due tappe di un cammino unico», riflette Maggi, «e il secondo ho potuto scriverlo perché ho fatto esperienza della malattia e del dolore in una corsia d’ospedale, ad Ancona, dove sono stato sorretto dalla mia straordinaria voglia di vivere e da una fede allegra e contagiosa che ha conquistato il cuore di tanti altri ammalati, miei compagni di sventura, e dei medici e infermieri».

Carla Fracci, animata da fede profonda ma vissuta sempre con pudore e discrezione, ha trovato grande consolazione in questi scritti di frate Maggi: «Qualche mese fa mi ha inviato un messaggio in segreteria per ringraziarmi», racconta Maggi che mi fa ascoltare il messaggio vocale dell’ètoile: «Mi volevo congratulare per questi due libri meravigliosi ai quali ho fatto una grande pubblicità», dice Carla Fracci con una voce serena, quasi squillante, «sono divertenti e ironici, malinconici e tristi. Insomma, me li sono proprio goduti. A presto, spero».

Un appuntamento con frate Maggi, che vive a Montefano, sempre rinviato a causa della pandemia e che si sarebbe dovuto svolgere il 30 agosto prossimo: «Dovevamo incontrarci a fine estate, sarebbe venuta qui a trovarmi, ora verrà, in un altro modo», dice Maggi. Il frate nutre per l’ètoile una profonda ammirazione: «Da ragazzino», racconta, «volevo fare il ballerino e ho avuto sempre una grande passione per la danza. Prima di decidere di entrare in convento, nel 1969, lavoravo al Comune di Ancona e quando andai via il Commissario prefettizio mi chiese che regalo d’addio volessi. Gli dissi: “Vorrei conoscere Carla Fracci dal vivo”. Fui esaudito. Ci incontrammo e fu davver emozionante. Poi l’ho vista tante volte a teatro, anche con Nureyev. Una volta», prosegue, «venne al teatro di Ancona per esibirsi con il Corpo di Ballo della Scala e durante l’intervallo andai a bussare al camerino per salutarla. Il marito, Beppe Menegatti, mi sgridò ma lei fu molto cortese e gentile e mi fece l’autografo sul programma di sala».

Negli ultimi tempi la riflessione sulla morte per Carla Fracci si era fatta più impellente: «Ci sentivamo spesso», racconta Maggi che così definisce la sua spiritualità: «Carla Fracci attraverso la bellezza è riuscita a intessere una relazione particolare con il Divino, la malattia l’aveva resa assetata di Dio. Trovò il mio messaggio positivo perché ho parlato della bellezza della morte che è un compimento non la fine di tutto. Lei ha lavorato fino all’ultimo nella consapevolezza che la morte non è la fine ma un nuovo inizio. Conoscendo questa sua grande fede e ricchezza spirituale ho scritto questo messaggio su richiesta di Giovanni Nuti ma non pensavo che lo leggesse ai funerali»

«NON SONO LONTANA, MA ANCORA PIÙ VICINA. PER QUESTO NON DITE DI ME “NON È PIÙ!”, MA “È DI PIÙ”»

Frate Maggi ha voluto scrivere il suo messaggio, pubblicato su ilLibraio.it, come se fosse Carla Fracci, in prima persona, a congedarsi dai suoi familiari e amici:

«“È bene per voi che io me ne vada…”, scrive citando il Vangelo di Giovanni (16,6), 

«Faccio mie le parole di Gesù. La separazione fisica non significa la mia assenza, ma una presenza ancora più intensa. Non sono lontana, ma ancora più vicina. 

Per questo non dite di me “non è più!”, ma “è di più”, perché come il chicco di grano che liberando tutte le sue energie si trasforma in una spiga dorata (Gv 12,24), nel momento del trapasso mi sono incontrata con il Dio-Luce che non mi ha assorbito in lui, ma sono stata io ad accoglierlo, e questa luce divina ora dilaterà la mia esistenza in un crescendo senza fine. 

Gesù ha assicurato che a chi lo ama il Padre prende dimora in lui, per questo con la morte non sono andata in cielo, perché il cielo era già in me e rendeva la mia esistenza indistruttibile. 

E ora continuerò a crescere perché continuerò ad amarvi, e, come è scritto nell’Apocalisse siriaca di Baruc “Dimorerò nelle altezze di quel mondo là; sarò simili agli angeli e somigliante alle stelle, sarò trasformata in qualsiasi forma vorrò, di bellezza in grazia, di luce in splendore di gloria” (2 Bar LI,10)».

Fino al P.S. finale: 
«E quando volete ricordarmi, per favore, non dite mai “la povera Carla..”, ma “Beata Carla!” (Ap, 14,13), e ora regalatemi il vostro sorriso, e ricordatemi con il mio».

Giovanni Nuti, musicista e compositore, era molto amico di Carla Fracci e aveva composto le musiche per Il Poema della Croce, scritto da Alda Merini, e che nel 2019 l’ètoile aveva interpretato nella Basilica di San Marco dove sabato si sono celebrati i suoi funerali.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Antonio Sanfrancesco 29/05/2021)

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - Santissima Trinità / B



Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)



Preghiera dei Fedeli

  Santissima Trinità / B

30 maggio 2021  





Colui che presiede

Fratelli e sorelle, il Signore Gesù, Colui che è disceso ed è risalito al cielo, ci ha fatto dono del suo Spirito. Grazie alla presenza e alla guida dello Spirito Santo anche noi possiamo sentirci figli del Padre e pregare con fiducia Dio Trinità, dicendo:


R/  Santa Trinità, ascoltaci


Lettore 

- Tu, Signore Gesù, hai comandato alla tua Chiesa di rimanere in Te come i tralci alla vite. Tu, Santo Spirito, non manchi di guidarla e di illuminarla. E Tu, o Padre, non manchi di attirarla a Te. Voi che siete la Trinità Santa, fate che la Chiesa viva della vostra vita, della vostra comunione e del vostro dono reciproco, manifestando al mondo che solo la gratuità dell’amore è l’unica ragione per vivere. Preghiamo.

- O Santa Trinità, nostro unico Dio, dona a tutti i popoli la gioia di riscoprire che le diversità di fede e di cultura non sono un impedimento all’unità e alla comunione, ma una ricchezza reciproca. Fa’ che il mondo ritrovi la via della pace e rinneghi il principio dello scontro e della competizione economica e militare come unico modo di concepire le relazioni internazionali. Preghiamo.

- O Santa Trinità – Padre, Figlio e Santo Spirito – modello di ogni vera comunità: fa’ che le comunità parrocchiali, le comunità religiose e ogni comunità familiare trovino in voi e nella vostra fedele presenza il coraggio di superare antagonismi, conflitti e divisioni, e senza indugio riscoprano la grandezza di una vita, che si spende per un motivo di amore. Preghiamo.

- O Santa Trinità – Padre, Figlio e Santo Spirito –: siate vicini ad ogni uomo, ad ogni donna e ad ogni bambino, che si ritrovano a vivere in condizioni disumane, senza legami, senza terra, senza affetti e fatti oggetto di sfruttamento e di violenza. Il vostro sguardo si posi sui barboni, sui migranti, su quanti soffrono per la guerra o per le torture. Preghiamo.

- Davanti a Dio Trinità, principio e sorgente della vita immortale, ci ricordiamo dei nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ci ricordiamo ancora una volta di coloro che sono morti a causa della scarsa sicurezza sul lavoro e a causa della negligente manutenzione degli impianti; ci ricordiamo anche delle vittime della solitudine e dell’abbandono. Dio Trinità accolga tutti nella sua pace e nel suo amore. Preghiamo.


Colui che presiede 

O Santa Trinità, perfetta comunità d’amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, accogliete le nostre preghiere e donateci ciò che è veramente necessario per la nostra vita: la vostra Presenza di Amore e di Pace. A voi l’onore e la gloria nei secoli dei secoli. AMEN.


Sant’Antonio e San Francesco, quando i santi fanno cambiare le leggi inique - Dio mi donò un fratello, l'incontro tra Francesco e Antonio 800 anni fa.

Sant’Antonio e San Francesco, 
quando i santi fanno cambiare le leggi inique

Si celebrano ad Assisi gli 800 anni del loro incontro che risale al Capitolo generale delle Stuoie del 30 maggio 1221

 di Padre Enzo Fortunato
Direttore sala stampa Sacro Convento di Assisi


Dopo aver visto il programma di Alberto Angela da Assisi (per gli appassionati di share: il miglior risultato della stagione; per gli appassionati di qualità: è quello che l’Italia merita) devo dire che, alla fine, i santi vincono sempre. E i santi di cui vorrei parlarvi sono San Francesco e Sant’Antonio che, partendo da visioni diverse, si sono abbracciati nella logica dei valori e della compassione.

Oggi si celebrano ad Assisi gli 800 anni del loro incontro che risale al Capitolo generale delle Stuoie del 30 maggio 1221.

Come è noto i due santi hanno una profonda influenza l’uno sull’altro e, se dovessi trovare il nucleo essenziale della loro comunanza spirituale, direi che per entrambi è centrale la dimensione della povertà, pur nelle forme differenti che essa assume in loro.

Per Antonio povertà significa spogliarsi della propria sapienza e dottrina. In fondo, pur provenendo dal magistero di Sant’Agostino, il suo approdo a San Francesco può essere letto come una specie di kenosi, di abbassamento verso una povertà essenziale.

Le cronache che riguardano Sant’Antonio insistono tutte sul medesimo tratto: sebbene fosse in grado di straordinaria eloquenza e di mirabile sapienza teologica, “tuttavia nell’ufficio di prelato si mostrava cortese in modo mirabile e governava i suoi frati con clemenza e benignità”. Sant’Antonio non voleva essere considerato un superiore, ma un compagno dei frati. Questa era la radice della sua “intima purezza”, la capacità che in effetti è una vera e propria grazia, di abbassarsi senza mai far pesare questo abbassamento. La mitezza che riservava ai frati coincideva con l’assoluto rigore verso se stesso: nessuna ostentazione, nessun possesso che non fosse necessario, nessuna parola che non fosse eco dell’evangelico: sì sì, no no.

Fu per queste ragioni che Francesco lo pregò di continuare a occuparsi di teologia e gli affidò il compito di predicare ai Catari e agli Albigesi: era certo che la carità e la mitezza avrebbero sempre prevalso sulla seduzione teologica, sulla seduzione cioè del pensiero puro e sulla violenza che può scaturirne.

È celebre l’invettiva di Sant’Antonio contro gli usurai, ovvero contro chi non solo non combatte la povertà, ma prospera sulla miseria altrui. Fu proprio grazie a Sant’Antonio se, il 15 marzo 1231, venne abrogata un’odiosa legge sui debiti che, nei fatti, conduceva i poveri o verso gli usurai o verso il carcere e l’esilio: “Su istanza del venerabile fratello il beato Antonio, confessore dell’ordine dei frati minori”, il podestà di Padova decise che l’insolvente, una volta ceduti tutti i propri beni, non finisse più in prigione o in esilio. Ecco come i santi fanno cambiare le leggi inique.

La povertà francescana, quella che riconosce valore assoluto alla creatura, diventa insomma il criterio per difendere gli ultimi.

Come scrisse Francesco nel Testamento, “io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare”: e tutti gli uomini devono avere la possibilità di un lavoro onesto, di non essere costretti ad una povertà che li umili o li metta alla mercé dell’avidità altrui.

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Dio mi donò un fratello,
l'incontro tra Francesco e Antonio.



Commemorazione in Sala Stampa dell'incontro di 800 anni fa
Guarda il video

Guarda il video della preghiera in Basilica Superiore e la rassegna fotografica direttamente dal sito San Francesco Patrono d'Italia


"Un cuore che ascolta lev shomea" - n. 31/2020-2021 anno B

 "Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino

Solennità della Santissima Trinità (ANNO B)

Vangelo: 

Mt 28,16-20

La parte finale del Vangelo di Matteo è una sintesi armonica di tutti i temi che l'evangelista ha sviluppato lungo tutta la sua opera. Gesù ha terminato la sua missione nel mondo e ora affida ai suoi discepoli il compito di proseguire il cammino da lui tracciato. Il dono di amore che è stato fatto ad Israele, ora coloro che credono in lui devono annunziarlo a tutti i popoli, a cominciare dalla ribelle, disprezzata ed emarginata Galilea. Lontano, sia fisicamente che spiritualmente, dalla santità di Gerusalemme, proprio in Galilea, e nelle tantissime Galilea del mondo Gesù ci attende e ci precede. Solo fra coloro che la religione ha marchiato come maledetti e insalvabili, siamo chiamati a fare l'esperienza del Risorto. Egli è lì che ci attende sulla Montagna, dove ha proclamato il progetto del Regno: le Beatitudini, la Magna Charta di ogni cristiano (cfr. Mt 5,1-8,1). Anche noi, come i primi discepoli, siamo chiamati e inviati oggi a continuare il sogno di Dio per gli uomini, la via dell'amore disinteressato, dell'amore a perdere anche per il nemico. Un amore che mai si impone, un amore che si offre, fragile e indifeso, nelle mani degli uomini e che invita anche noi a fare lo stesso. Come ha fatto Gesù.

sabato 29 maggio 2021

A SUA IMMAGINE - Padre, Figlio, Respiro santo: Dio non è solitudine. - Commento al Vangelo - Santissima Trinità - B a cura di P. Ermes Ronchi

A SUA IMMAGINE
 

Padre, Figlio, Respiro santo: 
Dio non è solitudine.
 

I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Matteo 28,16-20


per i social

A SUA IMMAGINE

Padre, Figlio, Respiro santo: Dio non è solitudine.

Ci sono andati tutti, sul monte di Galilea.

Tutti, anche quelli che dubitavano ancora, portando frammenti d'oro di fede dentro vasi d'argilla. Sono una comunità ferita che ha conosciuto il tradimento, l'abbandono, la sorte tragica di Giuda.

Sulla teologia della Trinità il Vangelo non offre formule, ma il racconto del monte anonimo di Galilea dove Gesù si affida ancora agli apostoli, che credono e dubitano. Ma neppure il dubbio è in grado di fermarlo. È il nostro Dio “in uscita”, pellegrino eterno in cerca del santuario che sono le sue creature.

“Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra”. Potere è parola che in bocca a Gesù cambia di segno: non il potere del mondo, evocante violenza e sopruso, ma la forza di un Dio che può soltanto ciò che l'amore sa fare.

Andate e annunciate! Dio si è appena fatto trovare e già t'invita ad andare oltre, per "battezzare", per immergere il mondo nel mare di Dio, a dissetare ogni filo d'erba, a portare acqua viva ad ogni vita che langue.

Andate, raggiungete tutti e gioite nelle creature di Dio! Accompagnatele all'incontro nel nome del Padre, cuore che pulsa nel cuore; e nel nome della fragilità del Figlio morto nella carne, e nel nome della forza dello Spirito che lo risuscita.

Trinità significa che Dio non può essere estraneo al dolore e alla felicità dell'uomo, e che il suo dogma è affidato a pescatori increduli che sanno di non sapere, che si sentono “piccoli ma abbracciati dal mistero” (A. Casati).

Padre, Figlio, Respiro santo: Dio non è solitudine. Alla sorgente di tutto, è posta la relazione, in principio a tutto, il legame. E qui scopro la sapienza del vivere, intuisco come Adamo sia creato «a sua immagine e somiglianza». Qui mi è rivelato che io non sono semplicemente immagine di Dio, ma della Trinità, immagine di un Padre che è fonte di vita, di un Figlio che mi innamora ancora, di uno Spirito che accende di comunione le solitudini. Io sono uomo quanto più sono simile a un legame d’amore.

Insegnate loro tutto ciò che vi ho comandato. Non è detto: insegnate i comandamenti, o spingete ad osservarli. È detto invece: insegnate a viverli, mostrate come si vive il vangelo. È facile trasmettere nozioni o dare ordini. Ma la vera missione è trasmettere valori, energia, strade spianate verso la gioia.

Insegnate l’amore come un'arte che si impara. Insegnate ad essere felici, ha detto Mosè nella prima lettura; ad essere vivi, dice Paolo nella seconda.

Io sarò con voi tutti i giorni. Con voi senza condizioni, senza vincoli né clausole, anche quando dubiterete e non riuscirete a insegnare a nessuno.

Tutti i giorni, fino alla fine.

Non dimentichiamo mai questa frase, non lasciamola dissolversi, impolverarsi. Con voi dentro le solitudini, dentro le gioie e le cadute, quando ti sfiora la morte, e quando ti pare di volare.


per Avvenire

Il Vangelo non offre, per parlare della Trinità, formule razionali o simboliche (...)




"Bisogna amare, non parlare di amore ... L’amore non si arrende e non può mai accettare il dolore dell’amato." Card. Matteo Zuppi, omelia di Pentecoste

"Bisogna amare,
 non parlare di amore ... 
L’amore non si arrende
 e non può mai accettare
 il dolore dell’amato." 
don Matteo Zuppi,
Cardinale

Omelia di Pentecoste
Cattedrale di Bologna - 23 maggio 2021



"A Gerusalemme i discepoli si trovavano tra loro, ma erano distanti dal prossimo. Erano isolati, impauriti da un mondo minaccioso, forse pieni di giudizi e condanne. E la paura non passa da sola e Dio ci ha dato uno spirito da figli, non da schiavi! Lo Spirito Santo, cioè l’amore di Dio, entra nel cuore, diventa dolce ospite dell’anima e apre ognuno e la comunità tutta perché nessuno viva per sé stesso.

La Chiesa non è un gruppo preoccupato di risolvere le necessità di chi ne fa parte. È molto di più! La pandemia ci può rendere consapevoli che siamo davvero fratelli tutti ma vuole anche persuaderci che conviene chiudersi, preoccuparci per noi, mettere al centro il nostro io tenendo a distanza il prossimo o scegliendo solo chi ci serve. È il rischio di ogni persona e anche di ogni comunità: cercare il proprio benessere, finendo per difendersi dagli altri e guardare con diffidenza chi è estraneo.

Così finisce per diventare estraneo anche Gesù! Possiamo pensare che non c’è niente di male, anzi al mondo appare strano essere pieni di amore, regalarlo, quando siamo abituati a vendere e comprare tutto, a cercare l’interesse in ogni scelta, e cerchiamo misure di amore limitate e mediocri.

Anche le nostre comunità possono diventare prigioniere del protagonismo di ciascuno o un condominio senza l’amore di Dio e senza il prossimo, dove si finisce facilmente per discutere su chi è il più grande. Lo Spirito ci dona una forza che è nostra e non viene da noi, molto più grande della nostra volontà, ed è efficace proprio quando siamo pieni di Lui e non di noi. Dio non manda un ordine, non fa conoscere un programma, ma vuole che il nostro cuore sia pieno del suo amore, tanto che diventa dolce ospite dell’anima. Lo Spirito scende su tutti, peccatori come erano e come siamo. Quando sentiamo nel cuore quanto siamo amati vediamo le cose che prima non sapevamo scorgere. 
Bisogna amare, non parlare di amore.

Lo Spirito provoca due conseguenze sui discepoli: vanno incontro al prossimo e iniziano a parlare in modo nuovo con tutti. Chi sperimenta nel cuore l’amore non lo tiene per sé e si mette a servizio degli altri. L’amore non si possiede, perché c’è davvero più gioia nel dare che nel ricevere, e in un mondo ossessionato dal possedere ci spinge non al sacrificio ma al dono di quello che ognuno di noi è perché solo così non ci perdiamo. Gratuitamente, senza chiedere “grazie”, senza cercare ricompensa, perché l’amore è contento di amare e di rendere il prossimo amato.

L’altro frutto dello Spirito è parlare a tutti. Il primo modo per farlo è la gentilezza, che fa sentire il prossimo accolto, importante e rispettato. Il Signore ci apre alla relazione con tutti. Vediamo intorno a noi tanti cuori pieni di rabbia, disillusi, che finiscono per credere alla forza delle mani, dei soldi.

Quante volte sentiamo parole di condanna verso gli altri, specialmente i deboli, addirittura fastidio e indifferenza davanti al dolore di una persona, come se non ci riguardasse. Non ci abituiamo mai al dolore del prossimo, qualunque esso sia, dal vicino di casa isolato ai poveri neonati che affogano o agli anziani lasciati soli. L’amore non si arrende e non può mai accettare il dolore dell’amato.

Cerchiamo di conoscere tutti, di salutare, di tessere rapporti di amicizia perché nessuno è estraneo e anche lo straniero comprende. Tutti, anche le persone che ci sembrano lontane. E parlare con entusiasmo, pieni di amore, non guardinghi e sospettosi, pronti a interrompere al primo problema.
Ecco cosa è la Chiesa: persone amate dal Signore, piene del suo amore che diventa loro come quando ci si ama e che parlano ognuna la propria lingua ma che tutti comprendono perché piena di amore.

Siamo fratelli tutti e di tutti, ad iniziare da quei più piccoli fratelli di Gesù. Nel mondo c’è tanto isolamento da superare, e tanta sofferenza da consolare. Ci eravamo abituati a vivere a distanza, a pensare che il prossimo non ci riguarda, a passare oltre. La pandemia ha accentuato questo. Non lasciamo tanta gente sola, come se fosse normale. Ci sono tante ferite, evidenti e nascoste nell’anima e nella psiche, che richiedono la grande medicina dell’amore. 
Nella Chiesa tutti siamo chiamati a servire. Non ci sono in essa categorie diverse che si distinguono o si contrappongono ma solo dei fratelli e delle sorelle da amare per essere liberi dall’orgoglio, dall’amore per sé che isola e fa possedere invece di regalare.

Allora, non è questo il tempo – sia come stagione della nostra vita sia come presente tanto drammatico e pieno di ferite – di prendere sul serio l’amore di Dio e di parlare di più al cuore delle persone tutte con amore, liberi dal calcolo, dalla diffidenza, solo perché conoscano l’amore? Non è questo il tempo in cui parlare di Gesù, mostrando il suo amore mediante il nostro amore fedele e generoso? Non è questo il tempo, dopo tanto distanziamento e rarefazione dei rapporti e delle relazioni, di comunicare la bellezza di essere comunità, superando la distanza più grande che è quella dell’individualismo? Non si tratta di realizzare cose perfette e impossibili, ma di essere semplicemente cristiani che considerano fratelli tutti e che parlano a tutti di Gesù con le parole e soprattutto con la vita. La pandemia è il male universale, che ci ha diviso e vuole ognuno preoccupato per sé. Lo Spirito ci apre ad un amore che tutti capiscono, regalandolo a chi abbiamo vicino, a chi incontriamo.

Vieni Santo Spirito perché possiamo compiere oggi i prodigi della prima generazione. Vieni e accendi il nostro cuore di speranza, guariscilo con la tua consolazione, riempilo della gioia di essere pieni di te, come solo l’amore può dare. Tu sei la nostra forza. Grazie di quanto ci fai sentire, nell’intimo e nelle nostre relazioni, che siamo tuoi."


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"Vittime dell’avidità" di Andrea Monda e quattro belle storie che invece aprono vie nuove, strade inedite alla creatività generosa e generativa propria degli esseri umani.

Vittime dell’avidità
di Andrea Monda



Dalle indagini sulla tragedia della funivia di Mottarone emerge una realtà sconvolgente: 14 persone sono morte perché il freno d’emergenza sarebbe stato deliberatamente disattivato per non fermare l’attività e perdere soldi. Una vicenda che suscita indignazione, rabbia, e la ribellione di raccontare storie di bene

La foto che vedete racconta la solita vecchia storia. L’avidità che diventa, inevitabilmente, “sfrenata”, in questo caso nel senso letterale del termine. Di queste vecchie storie, che sono storie vecchie, si riempiono le pagine dei giornali, perché è doveroso denunciare e indignarsi. Come per questa terribile tragedia della funivia Stresa-Mottarone, soprattutto dopo le rivelazioni emerse dalle indagini, ovvero che il freno di emergenza — quello che avrebbe potuto evitare l’incidente e la morte di 14 persone — sarebbe stato deliberatamente disattivato, nonostante si fosse a conoscenza di alcuni malfunzionamenti: manomesso per non fermare l’attività e perdere soldi.

Ecco, oggi ci limitiamo a riportare questa agghiacciante rivelazione perché è talmente abominevole da non aver bisogno di ulteriori commenti. Lo facciamo non per non stigmatizzare il male, ma per allargare lo sguardo. E se allarghiamo lo sguardo, un processo più del cuore che degli occhi, allora vediamo che ci sono anche altre storie, storie nuove. E non c’è altra novità, vera, significativa, al di fuori dell’amore. Le storie che raccontiamo oggi sono storie nuove. Che aprono vie nuove, strade inedite alla creatività generosa e generativa propria degli esseri umani.

Le vogliamo raccontare qui, in prima pagina, con la storia del dispensario di Santa Marta, da 99 anni “ospedale da campo” in Vaticano, e, all’interno, con la storia di quattro detenuti del carcere di Sollicciano che preparano il pranzo ai senzatetto — gli ultimi al servizio degli ultimissimi (chi è nella prova ha il cuore più pronto al soccorso) — e quelle della croce di Lampedusa, che sta girando per la Gran Bretagna a sensibilizzare i cuori dell’Europa, e della nave RescQ, la nave del salvataggio, nata da un gruppo di amici stanchi di vedere morire le persone nel Mediterraneo. L’avidità e l’indifferenza non sono il vero volto del mondo, ma solo le rughe della stanchezza di quel volto. Ma c’è molto più, vale la pena raccontarlo.
(fonte: L'Osservatore Romano 27 maggio 2021)

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Buon compleanno, Dispensario Santa Marta! Con la consapevolezza che i veri “festeggiati” sono i 500 bambini accolti e assistiti con le loro famiglie che vivono in situazioni di povertà e, in molti casi, senza tessera del servizio sanitario italiano. ...

Da buoni “vicini di casa” di Papa Francesco — la sede in Vaticano è “unita” a Casa Santa Marta dallo stretto vicolo del Perugino — l’obiettivo è sempre lo stesso, ogni giorno: accogliere le famiglie povere con bambini piccoli, rispondendo alle loro esigenze pratiche, senza naturalmente guardare a provenienze e religioni. “Fratelli tutti”, per davvero. Nessuno escluso.

È questo, del resto, lo “stile aperto” del Dispensario, «cuore pulsante di carità all’interno delle mura vaticane» conferma suor Antonietta. E «proprio come ci insegna Papa Francesco — spiega Valentina Giacometti, volontaria — continueremo sempre più, e speriamo anche sempre meglio, a offrire gratuitamente assistenza medica a quanti hanno bisogno e non se lo possono permettere. E andremo avanti anche a distribuire prodotti per l’infanzia e beni di prima necessità alle famiglie, e sono sempre di più, che non hanno i soldi per acquistarli». ...

Leggi tutto: Buon compleanno Dispensario Santa Marta!

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Chi ha il coraggio di affermare che una persona dal passato burrascoso con precedenti penali non abbia la possibilità di redimersi e possa contribuire ad aiutare chi è in difficoltà? Un bel progetto di solidarietà coinvolge alcuni detenuti del carcere di Sollicciano a Firenze. Ospiti di Casa Caciolle, una struttura dell’Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa dove stanno scontando la pena alternativa, Michele, siciliano, Giuseppe, toscano, Francesco, calabrese, e Leonardo, albanese, preparano ogni giorno un pasto per i senza fissa dimora della zona.

Gli “ultimi”, i detenuti, si occupano e si preoccupano degli “ultimissimi”, i senza tetto. Una solidarietà che non ti aspetti! ...

«Ogni volta che cuciniamo per i senzatetto — racconta uno dei detenuti — è come se fosse una terapia di redenzione che in qualche modo ci ricorda il nostro passato marginale e randagio, dove anche noi avremmo avuto bisogno di un pasto caldo».

Ogni sera, quindi, intorno alle 20, il cibo preparato dai detenuti viene prelevato dalla Protezione Civile, dalle Misericordie e dalla Croce Rossa, per essere distribuito sul territorio fiorentino. Una rete di solidarietà che coinvolge numerose persone. «Pensare che attraverso il nostro lavoro di volontariato possiamo aiutare i più bisognosi — sottolineano Michele, Giuseppe, Leonardo e Francesco — per noi è una rinascita. In questo momento di sofferenza collettiva essere partecipi di questo movimento di solidarietà è importante per noi».

E don Vincenzo non ha dubbi. «I detenuti che escono da un istituto di pena, spesso si trovano in condizioni peggiori di quando sono entrati perché durante la permanenza in cella non sono stati realizzati progetti di recupero socio professionali. A Casa Caciolle — conclude il sacerdote — ospitiamo i detenuti a fine pena e li seguiamo in un percorso di reinserimento. Li aiutiamo a dare un senso alla loro vita. Qui, con loro faccio comunità, una comunità cristiana, viviamo come se fossimo un’unica famiglia, dove ciascuno si sente coinvolto dalle esigenze degli altri e cerca di dare una mano in qualsiasi modo».


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Senso di comunità e di rifugio, simbolo di identità e di condivisione, sentimento di appartenenza e di accoglienza: sono molteplici e profondi i significati che trasmette quella conosciuta in tutto il mondo come la Croce di Lampedusa, che per la prima volta è la protagonista di una mostra itinerante. L’opera è stata realizzata otto anni fa dall’artista-falegname Francesco Tuccio, che nell’isola vive e lavora, in seguito al terribile naufragio del 3 ottobre 2013 in cui morirono oltre trecento migranti, soprattutto eritrei e somali, in una delle più grandi tragedie del mare. La croce è composta da due travi di legno provenienti proprio dall’imbarcazione affondata, che trasportava più di cinquecento persone, e da allora è la testimonianza del dramma di coloro che sono in fuga da guerre, carestie e persecuzioni. ...

Francesco Tuccio ha messo a disposizione il proprio talento in quella che è diventata la sua missione di vita. Dodici anni fa, era il 9 aprile 2009, non aprì la bottega per andare a salvare, assieme con i suoi compaesani, le vittime dell’ennesimo naufragio. Da allora realizza croci con il legno delle imbarcazioni che trasportano i migranti in fuga a bordo di quelle che ormai vengono chiamate carrette del mare e che molto spesso si trasformano in tombe. Come lui stesso ha più volte dichiarato ogni croce è una persona che perde la vita nella speranza di una migliore. Toccante l’incontro con Papa Francesco: il Santo Padre stringeva una delle sue croci durante la santa messa a Lampedusa l’8 luglio 2013, nel suo primo viaggio fuori dalla città di Roma dalla sua salita al soglio pontificio. In tour con la croce di Lampedusa è possibile ammirare l’opera dell’artista siriano Issam Kourbaj. Nato ad As-Suwayda, città montana a maggioranza drusa, dagli anni Novanta vive nel Regno Unito. Sua è l’installazione Dark Water, Burning World (“Acqua scura, mondo in fiamme”): composta da dodici piccole barchette realizzate con materiale di riciclo, come parafanghi di biciclette e fiammiferi, a testimoniare la fragilità delle imbarcazioni utilizzate dai migranti in fuga, la paura e la spossatezza della traversata e l’incertezza, una volta sopravvissuti, verso la nuova vita tanto sognata. Anche la decisione di utilizzare materiale di riciclo ha un significato ben preciso: il migrante porta con sé, senza sprecarlo, quel poco che riesce a salvare dal proprio Paese di origine. Nella maggior parte dei casi non si tratta di beni materiali, bensì di sogni e conoscenze che i migranti portano con loro a bordo delle carrette del mare, senza occupare spazio ma dando forza e speranza durante la traversata.


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Una nave battente bandiera italiana per sostenere donne, uomini e bambini costretti a fuggire da situazioni drammatiche. È il progetto dell’associazione ResQ – People saving People nato da un piccolo gruppo di amici che, stanchi di vedere morire migliaia di migranti nel tentativo disperato di attraversare il Mediterraneo, hanno deciso di rompere il muro dell’indifferenza e di mettersi in gioco. «Gli Sos di chi naufraga si perdono tra le onde e la gente muore», dice Lu-ciano Scalettari, inviato speciale di «Famiglia cristiana» e presidente di ResQ. «Il Mediterraneo, per secoli culla di civiltà e patrimonio di culture e visioni, oggi è diventato un cimitero di persone alla ricerca di un futuro migliore. Noi vogliamo bloccare questo sterminio. Vogliamo salvare la vita di coloro che migrano verso il nostro continente, a prescindere dalla nazionalità, dalla religione e dai motivi che li spingono a farlo. Vogliamo che la bandiera italiana diventi emblema di accoglienza, riparo, salvezza. Una nave efficiente che risponda unicamente alle leggi del mare e al diritto internazionale, secondo i principi imprescindibili e non negoziabili di umanità, imparzialità, indipendenza e neutralità». ...



venerdì 28 maggio 2021

Una nave per salvare vite umane

Il progetto di ResQ – People saving People

Una nave per salvare vite umane



Una nave battente bandiera italiana per sostenere donne, uomini e bambini costretti a fuggire da situazioni drammatiche. È il progetto dell’associazione ResQ – People saving People nato da un piccolo gruppo di amici che, stanchi di vedere morire migliaia di migranti nel tentativo disperato di attraversare il Mediterraneo, hanno deciso di rompere il muro dell’indifferenza e di mettersi in gioco. «Gli Sos di chi naufraga si perdono tra le onde e la gente muore», dice Lu-ciano Scalettari, inviato speciale di «Famiglia cristiana» e presidente di ResQ. «Il Mediterraneo, per secoli culla di civiltà e patrimonio di culture e visioni, oggi è diventato un cimitero di persone alla ricerca di un futuro migliore. Noi vogliamo bloccare questo sterminio. Vogliamo salvare la vita di coloro che migrano verso il nostro continente, a prescindere dalla nazionalità, dalla religione e dai motivi che li spingono a farlo. Vogliamo che la bandiera italiana diventi emblema di accoglienza, riparo, salvezza. Una nave efficiente che risponda unicamente alle leggi del mare e al diritto internazionale, secondo i principi imprescindibili e non negoziabili di umanità, imparzialità, indipendenza e neutralità».

Le cronache ci consegnano con cadenza quasi giornaliera i bollettini dei naufragi. Non sono «disgrazie o tragiche fatalità — denuncia Cecilia Strada, responsabile della comunicazione di ResQ —. Sono persone uccise dai ritardi nei soccorsi, dall’indifferenza, dalla politica dei muri e dei respingimenti. Parlarne è essenziale, così come è necessario ascoltare il mare, ascoltare chi dal mare chiede aiuto. Questa cosa ci riguarda tutti».

Partiti in 17 nel 2019, i soci sono ora oltre 1.200. Tra questi, Lella Costa, Alessandro Bergonzoni, Ascanio Celestini, Gad Lerner, Giovanni Soldini, don Virginio Colmegna, Massimo Cirri, Sara Zambotti. E Gherardo Colombo, presidente onorario dell’associazione. «Il nostro obiettivo è quello di aggiungere una nave alla flotta umanitaria, oggi del tutto insufficiente. Attraverso il nostro esserci, non soltanto contribuiremo a salvare le persone ma anche a diffondere i principi della Costituzione, quelli che garantiscono la dignità e la sopravvivenza di ogni individuo», afferma l’ex magistrato.

«Difficile resistere a una visione così pura, chiara e concreta come quella di sottrarre alla morte vite umane», dice Zambotti, conduttrice di Caterpillar. «È un’iniziativa che permette a tutti noi di superare il senso di vergogna e di impotenza per quello che succede in mare. In questo anno cupo è stata una luce, l’idea giusta per restituirci entusiasmo e voglia di partecipare». Insieme al suo compagno radiofonico, Massimo Cirri, Zambotti, il 13 dicembre ha condotto una maratona di raccolta fondi, una diretta di 9 ore: più di 80 ospiti, 150 mila persone raggiunte e donazioni per oltre 174 mila euro, di cui 100 mila dall’Unione buddhista italiana.

«Questa causa è legata a tanti stereotipi e pregiudizi, non è certamente tra le più popolari, ma vedere che in questo anno difficile così tante persone hanno deciso di salire a bordo ci dimostra che non siamo soli e che è giusto andare avanti» dice Lia Manzella, progettista, vicepresidente dell’associazione che si è innamorata subito del progetto. «Mi ha convinto la natura complessa e nello stesso tempo semplice dell’iniziativa, l’idea di poter fare qualcosa di concreto. Ci sono persone che muoiono in mare, perché dare per scontato che non si possa fare nulla?». A sostenere il progetto anche più di 60 associazioni e 3.500 donatori. Grazie a loro e a decine di volontari il sogno di una nave della società civile si sta realizzando. «Siamo all’ultimo miglio — dice Scalettari — In preparazione abbiamo una fitta rete di iniziative, fra cui un’asta benefica e un tour estivo per raccogliere fondi. Il varo della nave è previsto all’inizio dell’estate. Saremo in tanti. Sarà un momento commovente».

A bordo anche Alì Sohna, un ragazzo gambiano scampato a un naufragio all’età di 15 anni, nel 2015. «Sono partito con mia madre e mio fratello e sono arrivato solo. Mamma si è fermata dopo la traversata nel deserto del Sahara. Non c’erano abbastanza soldi per proseguire in tre». La donna ha trovato rifugio in Niger e, malata da tempo, dopo un paio di anni è morta. Alì non l’ha più incontrata, «ma la vedo ogni sera prima di dormire. Le sue parole di incoraggiamento le porto sempre con me». Alì e il fratello salgono su una barca per attraversare il Mediterraneo. «Eravamo in 650. Dopo due giorni la barca si è capovolta e sono morte 500 persone. Tra queste mio fratello. L’ho visto annegare». Per lo shock Alì perde la voce. «Per me la vita era finita». A Matera, dove approda, fa il suo incontro con il teatro e ritrova la parola e il sorriso. «Il sorriso è qualcosa che fa vivere il cuore». Da qualche mese Alì vive a Napoli dove, per conto di una ong, lavora come mediatore culturale e tiene laboratori teatrali nelle case di accoglienza per migranti. Sale di nuovo su una barca, Alì, ma questa volta dalla parte di chi salva, per fare agli altri quello che è stato fatto a lui. «Se non mi avessero salvato oggi non sarei qui, non farei teatro e non potrei aiutare chi ha vissuto la mia stessa esperienza». E non potrebbe mantenere l’impegno che ha preso con se stesso. «Devo vivere anche la vita di mia madre, di mio fratello di sangue e di tanti altri fratelli. Sono felice di far parte dell’equipaggio. Io ci sono e ci sarò sempre».


giovedì 27 maggio 2021

Tonio Dell'Olio: Il respiro di Eitan



Il quadro con le impronte colorate delle manine dei compagni di classe di Eitan consegnato in ospedale a Torino in segno di augurio dall’artista Stefano Bressani, papà di una compagna della scuola materna di Pavia frequentata dal piccolo.

Il respiro di Eitan

Tonio Dell'Olio 
Mosaico dei Giorni: 27 MAGGIO 2021

Quanta giusta apprensione nel voler conoscere le condizioni del piccolo Eitan, il bambino sopravvissuto alla tragedia del Mottarone!

Hanno interrotto la sedazione indotta, ha aperto gli occhi, ha ripreso a respirare autonomamente, ha visto il volto conosciuto della zia. A quel respiro sembra essere annodato, come il filo sottile di un aquilone, l'umanità intera. Il battito del cuore di quel bambino ci appare come il ritmo che scandisce la vita del mondo. È scritto nel Talmud di Babilonia: "Chi salva una vita salva il mondo intero". Una vita non è una parte, un frammento, una scheggia di vita, ma il tutto. Ogni vita. Perché non c'è una vita che vale di meno di un'altra e quella di Eitan non vale di più di quella del bambino riverso nella sabbia di una sponda libica. Anche lì siamo stati sconfitti e dobbiamo chiedere perdono a lui, ai suoi genitori, al suo popolo, all'umanità intera. Il respiro di Eitan e dei suoi fratelli interroga la nostra esistenza, le nostre scelte, i nostri stili di vita, la classifica delle cose che contano per noi. "Non abbiamo ereditato questo mondo dai nostri genitori, l'abbiamo preso in prestito dai nostri figli". Che queste parole le abbia coniate Baden Powell o gli indiani d'America, importa poco. Noi oggi le ascoltiamo sussurrate nel respiro di Eitan.

Da Avvenire - Foto ricevuta da Oscar Camps


GLI ULTIMI MORTI IN LIBIA: «SONO BIMBI, NON SPAZZATURA», L'URLO DEL VESCOVO

GLI ULTIMI MORTI IN LIBIA:
«SONO BIMBI, NON SPAZZATURA»,
L'URLO DEL VESCOVO

La riflessione di monsignor Antonio Staglianò, pastore di Noto e delegato per i migranti della Conferenza episcopale siciliana: «Gesù continua a mettere al centro i piccoli per risvegliare quelle viscere di compassione che salvano l'infanzia e tutti noi»


Nuovamente corpi di bambini sulla spiaggia, quasi fossero spazzatura. Una vergogna indicibile per l’umanità, una sconfitta per l’Europa le immagini arrivate dalle coste della Libia, mentre nei nostri orecchi e nel nostro cuore c’ è ancora l’eco del grido della mamma del piccolo Joseph scomparso, come tanti altri bambini, nel Mar Mediterraneo.

Quando il 30 settembre del 2013, in una delle tante (troppe) tragedie che hanno reso il Mare nostrum un cimitero, furono trovati i corpi di 13 giovani sulle spiagge di Sampieri, ricordo il contrasto stridente tra una turista che continuava il suo jogging come se niente fosse accaduto e il grido di un’anziana donna in dialetto siciliano: «Fimmativi! Sunu figghi di mamma» (Fermatevi! Sono figli di mamma). E poi tante donne avvolsero i corpi in coperte scelte tra le più belle.

Il sensus fidei del popolo di Dio è anche questo: la vita vale, va onorata, senza se e senza ma. E quindi ogni vita va salvata! Legge degli uomini di mare e della coscienza che spinge ONG, ma anche tanti pescatori, ad “esserci” per salvare vite… Legge della coscienza e legge di Dio; anzi, prima che legge, il modo con cui Dio interviene nella storia: salvando! Salvando «a caro prezzo», restando «in agonia fino alla fine dei tempi» – come ricordava Pascal – e quindi indicando il luogo dove ancora oggi incontrarlo, soccorrerlo, riconoscerlo.

Chiedendo alla Chiesa di essere “Chiesa in uscita” per sintonizzarsi sul primerear di Dio, sul prendere l’iniziativa per salvare – ci ha detto papa Francesco nell’Evangelii gaudium, chiarendo come l’annuncio del Vangelo diventa profezia nella storia. Se ora sono dei bambini a diventare “scarti” o, come nel caso del piccolo Juan Francisco, ad essere salvati, questo rinnova il gesto di Gesù: mettendo al centro i bambini, ci chiarisce come accoglierli, difenderli, «mettersi ai piedi della loro crescita» diventa vera conversione a Dio e vero futuro dell’umanità. Per questo sui numeri (usati spesso per creare paura) prevalgano i volti! L’epifania del volto continua a dirci, come ricordava il filosofo Levinas, «Non mi uccidere!»: non mi uccidere con la tua indifferenza, non mi uccidere con una politica che non parte dai beni essenziali, non mi uccidere con una religiosità che separa rito e vita.

Come ci ricorda papa Francesco nella “Fratelli tutti” commentando la parabola dell’uomo lasciato mezzo morto per strada, «in quelli che passano a distanza c’è un particolare che non possiamo ignorare: erano persone religiose […] il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace» (FT74). E poi un messaggio per tutti, per risvegliare la comune responsabilità: «I “briganti della strada” hanno di solito come segreti alleati quelli che “passano per la strada guardando dall’altra parte”» (FT75). E quindi la prospettiva della responsabilità comune, per ricostruire il “noi” che ci farà uscire diversi dalla crisi di umanità che stiamo attraversando.

«Con i suoi gesti – sottolinea papa Francesco - il buon samaritano ha mostrato che “l’esistenza di ciascuno di noi è legata a quella degli altri: la vita non è tempo che passa, ma tempo di incontri» (FT 66). Dovrà essere tenuto presente anche nel cammino sinodale delle nostre Chiese, che dovrà avere il respiro della compagnia delle donne e degli uomini del nostro tempo, tutti amati dal Signore, e la “misura alta” del Vangelo che ritroviamo facendo nostra la predilezione di Gesù per i piccoli e poveri. E questo ci permetterà di offrire con coraggio e libertà alla politica, alla cultura, all’economia la spinta al “di più” del Vangelo e la prospettiva di una storia che si compie in Dio. Con quella speranza incarnata a cui fanno pensare i versi di Tesfalidet Tesfom, giovane migrante morto all’ospedale di Modica per le torture subite in Libia: «Nulla è irraggiungibile / sia che si ha poco o niente/ tutto si può risolvere/ con la fede in Dio //. Ciao, ciao. Vittoria agli oppressi».


Monsignor Antonio Staglianò, 62 anni il 14 giugno. Foto Ansa. In alto: foto Open Arms distribuite dall'agenzia Ansa: sono state scattate sulla spiaggia di Abu Kammash, vicino a Zuwara, sulla coste libiche. Ritraggono i corpi di due bambini annegati, restituiti dal mare.