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lunedì 11 marzo 2019

Il sindaco e il poeta Giorgio La Pira e Mario Luzi al centro degli esercizi spirituali della Curia romana ad Ariccia.

Il sindaco e il poeta
Giorgio La Pira e Mario Luzi al centro degli esercizi spirituali della Curia romana ad Ariccia.


È il programma politico di Giorgio La Pira, più volte sindaco di Firenze e padre costituente italiano, a far da traccia agli esercizi spirituali che Papa Francesco sta condividendo con la Curia romana. Ed è come se la forza evocativa della poesia di un altro grande fiorentino, Mario Luzi, avesse trasformato, spiritualmente, la cappella della Casa Divin Maestro ad Ariccia nella basilica di San Miniato al Monte da cui si contempla Firenze e, attraverso la sua «bellezza teologale», tutte le città del mondo. Ecco l’appassionata e concreta proposta che, con le sue meditazioni, sta suggerendo l’abate Bernardo Francesco Maria Gianni, monaco benedettino olivetano proprio nell’abbazia di San Miniato. «La città dagli ardenti desideri. Per sguardi e gesti pasquali nella vita del mondo» è il tema che ha scelto per le sue mediazioni.
Nella casa Divin Maestro — dove anche quest’anno si svolgono gli esercizi che si concluderanno nella mattina di venerdì 15 — il Papa è arrivato alle 16.45 di domenica 10 marzo, su uno dei due pullman partiti dal Vaticano con i partecipanti al ritiro. Con il predicatore, ad accoglierlo, tra gli altri, c’erano l’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato, e don Valdir José De Castro, superiore generale della Società San Paolo.
Per comprendere il «sogno di La Pira», ha fatto subito presente dom Gianni nella prima meditazione tenuta lunedì mattina 11 marzo, bisogna prendere in mano le pagine di Isaia e Geremia, e contemplare «il sogno di una città con una vocazione di accoglienza e fraternità universale che restituisce, come è stato per Gerusalemme, a ogni città del mondo la sua vera vocazione: essere esperienza misteriosa e autenticamente di grazia di un amore grande che rende coesa la cittadinanza, finalmente animata da ardenti desideri e da grandi speranze». Ricordando che Papa Francesco, nel recente messaggio alla Pontificia Accademia per la vita, ha definito la comunità umana come «il sogno di Dio», il predicatore ha indicato in La Pira il sindaco che per il suo popolo «ha sognato il sogno di Dio». E «in questo suo sogno, in questa sua passione sovente incompresa anche da uomini di Chiesa del suo tempo, oltre che da ampi settori di Firenze — ha aggiunto dom Gianni — stava un’altissima percezione del mistero che abita ogni città, così come il mistero che abita il cuore di ogni persona». Con la sua poesia, Mario Luzi ha riproposto «il sogno di La Pira» suggerendo che «Firenze, e attraverso di lei tutte le città del mondo, possano riscoprirsi quella “città posta sul monte” per essere di nuovo, con la sua luce, fuoco di carità, attrazione per l’umanità intera, spazio di riconciliazione, di pace, d’incontro pieno di stupore e di contemplazione, con quel mistero — ha affermato il predicatore — che pare adesso nascosto sotto quella cenere che, come Chiesa appassionata di Cristo, vogliamo disperdere perché guizzi la fiamma pasquale che annuncia vita e speranza a un mondo che si condanna troppe volte per rassegnazione disperata a tenebre che si credono ormai invincibili».
Significativamente, ha spiegato l’abate, forte della sua esperienza monastica, La Pira condivide, da sindaco, il suo sogno per la città anzitutto con le claustrali, «donne che apparentemente sembrano inutili e improduttive ma che, in questa sua visione organica della città, hanno un ruolo fondamentale, perché sono un cuore nascosto ma palpitante per tenere desto lo scorrere indecifrabile della grazia di Dio». Si tratta, afferma La Pira, di fare appunto di Firenze «la nuova Gerusalemme e cioè il centro di attrazione di tutti i popoli». Ecco il suo programma da sindaco: presunzione? «No, atto di fede» replicava La Pira. Di più: «semplice applicazione storica a una città che Dio ha collocata sulla cima più alta della civiltà cristiana per diffondere sulla terra la grazia, la bellezza, la luce di cui Dio l’ha arricchita». E «questi sono fatti», insisteva La Pira.
In tale visione, ha affermato ancora dom Gianni, ha senso parlare di «ministerialità universale di una città oggettivamente speciale come Firenze». Da parte del sindaco, dunque, non c’è una «prospettiva angusta, municipale o, peggio ancora, campanilistica». C’è invece la missione di «condividere quella bellezza teologale di Firenze e di ogni città, farla diventare davvero un messaggio universale ed essere così riflesso in terra della Gerusalemme celeste». Nella consapevolezza che «la storia ha un orizzonte e una meta che non è “la fine” ma “un fine”».
Con la parola sogno, come del resto si tocca con mano nella Scrittura, in La Pira non c’è nessuna divagazione o astrattezza. Anzi, il contrario: il sindaco parla di tecnica, economia, politica. «Il suo non è mai un sogno surreale che porta lontano dalla concretezza della vita e della storia» ha fatto presente dom Gianni, sottolineando: «Il fondamento di questo sogno è il permanente disegno che lo Spirito Santo cerca, nelle generazioni e nei secoli, di attuare nella storia degli uomini. Dio tenta di attuare questo sogno, nonostante tutte le resistenze, anche nostre». Ma, «come Chiesa, dobbiamo fare in modo che questo “tentativo di Dio” si attuai senza riserve».
In sostanza, ha concluso l’abate, si tratta di «far dissolvere, con la nostra testimonianza, la cenere che copre le città, e far ardere di nuovo il fuoco che anima ogni persona». In questa missione è di aiuto la poesia di Mario Luzi, con la sua «portata caritativa» e la sua carica di speranza. Ogni città, diceva La Pira, ha il suo angelo custode; e allora occorre mettersi al lavoro «perché non ci siano più distruzioni o guerre ma solo orazione, progresso, bellezza, lavoro e pace», convinti che i tempi di crisi nella storia sono «laboratorio di speranza» per «la bellezza che verrà».
E proprio ai versi di Luzi «Siamo qui per questo» aveva attinto il predicatore nell’introduzione delle meditazioni, nel pomeriggio di domenica 10. «Mi sono permesso — ha esordito — di invitare tutti voi sulla collina a oriente di Firenze, consacrata da secoli e secoli alla venerazione del protomartire armeno Miniato; perché da lassù è possibile uno sguardo veramente di grazia, di gratitudine, di mistero sulla città»: sguardo che ha ispirato il poeta Luzi, cui Giovanni Paolo II chiese nel 1999 di scrivere le meditazioni per la Via crucis al Colosseo. Negli anni in cui ebbe La Pira come sindaco, Firenze si caratterizzò per essere «aperta, accogliente, fraterna», assimilabile «niente di meno che alla Gerusalemme amata e prediletta del Signore, la Gerusalemme amata dai profeti, la Gerusalemme celeste attesa, desiderata e contemplata dal visionario dell’Apocalisse». Una città che, ha auspicato dom Gianni, «con l’amore della Chiesa — come tutte le città di questo mondo — e con la santità della Chiesa può tornare, deve tornare ad accendersi del fuoco dell’amore» per essere «un giardino di bellezza, di pace, di giustizia, di misura, di armonia».
In proposito l’abate di San Miniato ha citato san Bernardo e il mistico del Medio evo Riccardo di San Vittore, ma anche il magistero di Papa Francesco e dell’allora cardinale Bergoglio quando era arcivescovo di Buenos Aires. Occorre, ha detto, riconoscere «le tracce e gli indizi che il Signore non si stanca di lasciare nel suo passaggio in questa nostra storia, in questa nostra vita». Ed è nel suo amore che vanno letti gli sguardi di La Pira su Firenze, di Gesù su Gerusalemme e su tutti quelli che incontrava, nella consapevolezza che «il momento storico è grave» perché «il respiro universale della fraternità appare molto indebolito». Del resto «la forza della fraternità è la nuova frontiera del cristianesimo».
Sottolineando poi che l’umanesimo è tale solo a partire da Cristo, dom Gianni ha invitato a contemplare «il volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita o segnata dal peccato». Da qui l’esortazione a lasciarsi guardare da Gesù. Lui, ha chiarito il predicatore, «è il nostro umanesimo: facciamoci inquietare sempre dalla sua domanda: “Voi, chi dite che io sia?”. Lasciamoci guardare da Lui per imparare a guardare come Lui guardava». Del resto, «il giovane ricco, fissatolo, lo amò», ha proseguito l’abate di San Miniato rievocando anche l’incontro con Zaccheo che sale su un albero pur di guardare quel Signore Gesù che alza lo sguardo per andargli incontro.
In particolare il monaco benedettino ha concluso la sua introduzione con un riferimento alla missione dei consacrati, che sono chiamati a una vita «semplice e profetica nella sua semplicità, dove si tiene il Signore davanti agli occhi e fra le mani e non serve altro». Perché, ha concluso, «la vita è Lui, la speranza è Lui, il futuro è Lui».
(fonte: L'Osservatore Romano, 11-12 marzo 2019)