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sabato 15 dicembre 2018

"Il Natale ha bisogno dell'attesa, della preparazione, della ricerca di tanti artigiani di speranza. E' il sogno grande e piccolo del Natale!" Mons. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna

"Il Natale ha bisogno dell'attesa, della preparazione, 
della ricerca di tanti artigiani di speranza. 
Noi non siamo spettatori della salvezza!
 Natale è la speranza di Dio sugli uomini e su ognuno di noi. 
Viene per tutti e viene per te. 
Mons. Matteo Maria Zuppi, 
Arcivescovo di Bologna

Omelia Santa Messa in preparazione al Natale
 per gli studenti, i docenti e il personale tecnico amministrativo 
dell'Università di Bologna - 3 dicembre 2018


Avvento e Natale. Non c'è l'uno senza l'altro. Non vediamo la presenza del Signore nella nostra vita senza fargli spazio, senza svegliarci dal sonno del vivere per se stessi che ci addormenta, magari pieni di agitazioni, ma alla fine senza aspettare per davvero qualcuno. Non c'è Natale a Gerusalemme, perché non si lascia spazio, perché cercavano cose grandi ma non le sapevano riconoscere in quelle tutte umane di un Dio che si fa bambino e che nasce per strada. Non c'è Natale restando dove si è, chiudendosi per conservare la propria sicurezza, senza cercare con l'inquietudine di mettersi in cammino, come i magi o i pastori. 
Siamo tutti in realtà in attesa. Noi sappiamo aspettare poco. Perché attesa è proprio il contrario del sonno. Noi vorremmo arrivare subito, passare dal sonno alle risposte evitando la preparazione, che significa sacrificio, sforzo per combattere le tante sirene che ci fanno perdere dietro i falsi sogni, per riconoscere la stella che ci porta a Betlemme e non seguire quelle che ci fanno perdere nel buio del vivere per se stessi. L'attesa significa guardare con speranza, quel diritto di cui ci ha parlato Papa Francesco nella sua visita all'Università. 
Natale è la speranza di Dio sugli uomini e su ognuno di noi. Viene per tutti e viene per te. 
Ma si può sperare in un mondo pieno di disillusione, di occasioni sprecate, segnato da quel veleno pericoloso che è l'amarezza per cui non ti entusiasmi più, cerchi una perfezione che non esiste e finisci per accontentarsi di quello che viene? C'è speranza per un mondo che sciupa tanto tempo e tante opportunità che la maggiore parte degli uomini non ha, dove vince il più forte e spesso il più furbo, dove le regole cambiano a seconda delle persone e il diritto diventa favore? E poi come rispondere a quella domanda che è dentro ognuno di noi, che non si misura con le cose e il successo, che cerca il senso che va oltre l'agenda, l'impegno che dona valore a tutti gli altri? 
I sogni sono importanti. Tengono il nostro sguardo largo, ci aiutano ad abbracciare l'orizzonte, ci chiedono di coltivare la speranza nella vita quotidiana. "Un giovane che non sa sognare è un giovane anestetizzato; non potrà capire la vita, la forza della vita. I sogni ti svegliano, di portano in là, sono le stelle più luminose, quelle che indicano un cammino diverso per l'umanità. Ecco, voi avete nel cuore queste stelle brillanti che sono i vostri sogni: sono la vostra responsabilità e il vostro tesoro", ha detto Papa Francesco. Prepararci al Natale è trasformare i sogni di oggi nella realtà del futuro. Tanti oggi sperimentano solitudine e irrequietezza, avvertono l'aria pesante dell'abbandono. Gesù viene perché ne abbiamo davvero tanto bisogno, il mondo e la creazione tutta aspetta con ansia la luce che illumina le tenebre. Non è pessimismo, come la speranza non è ottimismo. Quanta sofferenza c'è nel mondo! Quanta ingiustizia! Quante rovine che dobbiamo guardare non con l'indifferenza di chi non si rende conto fino a che non ne è coinvolto direttamente, di chi registra nel suo cuore e si interroga delle tante domande di amore che non trovano risposta. La speranza ci libera dalla retorica della paura e dell'odio, dalla paura del futuro, e ci aiuta a vedere che nella vita esistono realtà belle e durature, per cui vale la pena di mettersi in gioco. È il diritto a credere che l'amore vero non è quello "usa e getta" e che il lavoro non è un miraggio da raggiungere, ma una promessa per ciascuno, che va mantenuta. "Quanto sarebbe bello che le aule delle università fossero cantieri di speranza, officine dove si lavora a un futuro migliore, dove si impara a essere responsabili di sé e del mondo!", disse Papa Francesco a noi. 

Il Natale ha bisogno dell'attesa, della preparazione, della ricerca di tanti artigiani di speranza. E' il sogno grande e piccolo del Natale! Gesù ci porta a fare nostra la domanda di quel centurione. Le fede non è avere tutte le risposte ma andare da quell'uomo che parlava come nessun altro. Egli non poteva sopportare la sofferenza del suo servo. Non si pensa da solo, ma fa sua la richiesta del servo. Non va a domandare qualcosa per sé, ma per un altro. E' il noi. Possiamo non vedere e fare nostra la sofferenza di tanti intorno a noi? Anche noi andiamo da Gesù cercando aiuto di fronte a questa sofferenza che ci è insopportabile come quella di una persona che amiamo e non sta bene. Il centurione non è egocentrico, e quindi disinteressato. Non fa finta; non dice peggio per lui; non cerca un altro servo in sostituzione di quello rovinato; non clicca sul computer alla ricerca di un 'altra emozione che eviti queste difficoltà. Va da Gesù e si incontra con lui e lui lo incontra. Tutto qui. Così inizia il Natale. Un incontro: Gesù, l'uomo che ci viene incontro senza pregiudizio e sospetto e ci dice: "Io verrò, a guarirlo"». E' il Natale, l'incontro tra la sua grandezza e la nostra debolezza, tra lo spirito e la carne. E' incontro di cuore, nel profondo di quella mangiatoia che è il nostro cuore. Lasciamoci incontrare da Gesù. Apriamogli il cuore senza timore, senza le diffidenze che spengono la speranza e ci fanno credere così di essere ni stessi. Noi siamo noi stessi nell'incontro, perché l'uomo non è un'isola! Lasciamo che ci dica quello che vuole, che non sempre è quello che vogliamo noi ma che ci apre confini che non immaginavamo. Perché con lui, solo con lui capiamo che quel mistero di amore che abbiamo dentro il cuore, la santità che è l'amore unico che Dio ci ha messo dentro e che spiega che cosa ci stiamo a fare a questo mondo. 
"Non si attende Dio con le mani in mano, ma attivi nell'amore. «La vera tristezza – ricordava don Tonino – è quando non attendi più nulla dalla vita» (Cirenei della gioia, 2004, 97). Essere morto in vita, non attendere niente dalla vita. Attendiamo Dio che ci ama infinitamente e al tempo stesso siamo attesi da Lui. Vista così, la vita diventa un grande fidanzamento". Mettiamoci allora in cammino come quel centurione, uomo dell'avvento perché fa sua l'attesa del servo e perché va da Gesù! Alzarci. Da dove? Dalla rassegnazione, dall'autocommiserazione che incupisce. L'Avvento ci invita a un impegno di vigilanza guardando fuori da noi stessi, allargando la mente e il cuore per aprirci alle necessità della gente, dei fratelli, al desiderio di un mondo nuovo. È il desiderio di tanti popoli martoriati dalla fame, dall'ingiustizia, dalla guerra; è il desiderio dei poveri, dei deboli, degli abbandonati. Questo tempo è opportuno per aprire il nostro cuore, per farci domande concrete su come e per chi spendiamo la nostra vita. Avvento è smettere l'infinita discussione intorno a noi per trovare una soluzione e un filo di senso che non sempre è ovvio, che quasi mai è evidente e facile. Avvento ci permette di sospendere i nostri dubbi, sospendere le nostre amarezze è incontrare la sua presenza. Il centurione ha un cuore sveglio e prega. Noi non siamo spettatori della salvezza: siamo artigiani, creatori, artefici, coprotagonisti della nascita di Dio che continua a venire tra gli uomini.