Don Tonino Bello ha pronunciato questa bellissima Omelia, di cui proponiamo il testo integrale, nella basilica della Madonna dei Martiri a Molfetta il 27 Novembre 1988 nella prima domenica d'Avvento, nonostante siano passati trent'anni è di un'estrema attualità in questi tempi dominati sempre più dalle tante paure...
Carissimi fedeli,
potrebbe sembrare a prima vista che il Vangelo faccia da cassa di risonanza per le nostre paure. Per cui ci vien quasi la voglia di dire: «Basta, Signore! Adesso ti ci metti anche tu. Perché mai aumenti la nostra angoscia parlandoci di stelle che precipitano, di soli che si spengono, di lune che non danno più luce? Perché mai amplifichi i nostri incubi collettivi, dal momento che oggi ci dici testualmente nel Vangelo che gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra?» (cfr. Lc 21,25-26).
Gli uomini moriranno per la paura!
Come se già non bastassero le nostre paure. Ma ne abbiamo già tante, per conto nostro! Oh, no! Non la paura del buio, del lampo, del tuono, dei terremoti, delle tempeste. Lo sappiamo, oggi le paure hanno traslocato. Si sono cioè trasferite dalla fascia cosmica, per così dire, alla fascia antropologica. Non si articolano più attorno al cuore della natura: si articolano attorno al cuore dell’uomo. Oggi, cioè, non si ha più paura della carestia provocata dall’avarizia della terra, ma si ha paura, angoscia della carestia provocata dall’avarizia e dell'egoismo dell’uomo.
È dal cuore umano che nasce e si sviluppa la nube tossica delle paure contemporanee.
Paura dell’AIDS. Paura della droga. Paura di Cernobil. Paura dell’Enichem. Paura del grano radioattivo. Paura delle scorie tossiche. Paura dello squilibrio dell’ecosistema. Paura delle manipolazioni genetiche.
Paura del proprio simile. Paura del vicino di casa. Paura di chi mette in crisi le nostre polizze di assicurazione. Di chi mette in discussione, cioè, i nostri consolidati sistemi di tranquillità, se non di egemonia. Paura dello zingaro. Paura dell’altro. Paura del diverso. Paura dei Marocchini. Paura dei Terzomondiali. Paura di questi protagonisti delle invasioni moderne, che se non chiamiamo barbariche è soltanto perché ci coglie il sospetto che questo aggettivo debba spettare a noi cosiddetti popoli civili, che, dopo duemila anni di cristianesimo, siamo ancora veramente incapaci di accoglienze evangeliche.
Paura di uscire di casa. Paura della violenza. Paura del terrorismo. Paura della guerra. Paura dell’olocausto nucleare. Paura di questa apocalisse a rate che ci viene somministrata dalla produzione crescente delle armi e dal loro squallido commercio, clandestino e palese.
Paura di non farcela. Paura di non essere accettati. Paura di non essere più capaci di uscire da certi pantani nei quali ci siamo infognati. Paura che sia inutile impegnarsi. Paura che, tanto, il mondo non possiamo cambiarlo noi. Paura che ormai i giochi siano fatti. Paura di non trovare lavoro.
Quante paure!
Ebbene, di fronte a questo quadro così allucinante di paure umane, che cosa ci dice oggi il Signore? Intinge anche Lui il pennello nel barattolo nero dello scoraggiamento per aiutarci a dipingere questa nuova, tragica tela di Guernica?
Certamente no. No, non è così.
Anzi il Vangelo di oggi è proprio il Vangelo dell’antipaura. Sì, perché il Signore rivolge a noi lo stesso invito che l’angelo rivolse alla Vergine dell’attesa e dell'Avvento: «Non temere, Maria».
«Non temere, non aver paura Chiesa!»
Paura ha la stessa radice di pavimento. Viene dal latino pavére; significa: battere il terreno per allivellarlo. Anche terrore ha la stessa radice di terra.
Paura, quindi, è la conseguenza dell’essere battuto, calpestato, allivellato, appiattito.
Ora, che cosa mi dice il Signore di fronte a queste paure? Rimani lì steso sul pavimento? Rimani atterrito, atterrato? No! Mi dice la stessa cosa che ha detto a Maria: «Non aver paura, non temere!».
E adopera due verbi bellissimi: Alzatevi e Levàte il capo.
Sono i due verbi dell’antipaura. Sono i due verbi dell’Avvento. Sono le due luci che ci devono accompagnare nel nostro cammino che ci prepara al Natale. Alzatevi e Levàte il capo.
Àlzarsi significa credere che il Signore è venuto già duemila anni fa, proprio per aiutarci a vincere la rassegnazione.
Alzarsi significa riconoscere che se le nostre braccia si sono fatte troppo corte per abbracciare tutta intera la speranza del mondo, il Signore ci presta le sue.
Alzarsi significa abbandonare il pavimento della cattiveria, della violenza, dell’ambiguità, perché il peccato invecchia la terra, significa, insomma, allargare lo spessore della propria fede.
Ma alzarsi significa anche allargare lo spessore della speranza, puntando lo sguardo verso il futuro, da dove Egli un giorno verrà nella gloria per portare a compimento la sua opera di salvezza.
E allora non ci sarà più pianto, né lutto, e tutte le lacrime saranno asciugate dal volto degli uomini. Tanto Cristo un giorno tornerà, festa per tutti gli amici, che paura dobbiamo avere?
Questo significa "alzarsi", e che significa "levare il capo"?
Levare il capo significa fare un colpo di testa. Reagire, muoversi. Essere convinti che il Signore viene ogni giorno, ogni momento nel qui e nell’ora della storia, viene come ospite velato. Quindi saperlo riconoscere: nei poveri, negli umili, nei sofferenti.
Significa in definitiva: allargare lo spessore della carità.
Ecco il senso di questo Avvento che ci viene espresso dall’augurio fortissimo che san Paolo ci ha rivolto: «Il Signore vi faccia crescere nell’amore vicendevole e verso tutti» (1 Ts 3,12).
Verso tutti, senza esclusione di nessuno! Bellissimo quello che sta facendo la Caritas romana, che, sfidando tante paure e tante preoccupazioni, tanti luoghi comuni, ha aperto delle case di accoglienza per i malati di aids ....
Verso tutti. Magnifico il lavoro di tanti gruppi e associazioni che si mettono accanto ai malati cronici, agli handicappati, agli anziani, ai malati terminali, ai dimessi dagli ospedali psichiatrici, dalle carceri.
Verso tutti. Splendido ciò che fanno tante comunità cristiane a favore dei Terzomondiali, che offrono loro non soltanto un letto ma anche la buona notte, e soprattutto incalzano le autorità perché i provvedimenti di legge siano meno disumani ed ambigui delle norme vigenti.
Verso tutti. Incredibile quello che oggi stanno facendo tanti movimenti di volontariato per promuovere una maggiore giustizia sulla terra, per combattere quelle che il Papa ha chiamato coraggiosamente le strutture di peccato, per difendere i diritti umani dei popoli palestinesi che vivono in situazioni subumane nei campi di concentramento, per difendere i diritti umani di tanti popoli segregati dalle leggi di segregazione razziale nel Sudafrica, per aiutare i popoli che soffrono la fame nell'Eritrea, nel Sudan in questi giorni, che devastazioni, per diffondere una nuova coscienza di pace, per smilitarizzare non solo le coscienze, ma anche i territori.
Coraggio. Alzatevi e levate il capo. Muovetevi. Fate qualcosa, il mondo cambierà. Anzi, sta cambiando. Non li vedete i segni dei tempi? Gli alberi mettono già le prime foglie. E sul nostro cielo il rosso di sera non si è ancora scolorito.
Mi viene da pensare che anche il cielo oggi cominci l’Avvento, il periodo dell’attesa.
Qui sulla terra è l’uomo che attende il ritorno del Signore. Lassù nel cielo è il Signore che attende il ritorno dell’uomo. Ritorno che si potrà realizzare con la preghiera, con la vita di povertà, di giustizia, di limpidezza, di purezza, di amore, con la testimonianza evangelica e con una forte passione di solidarietà.
Mentre per questo cammino di ritorno ci affidiamo alla Madonna dei Martiri, alla Vergine dell’attesa, alla Madre della Speranza, cerchiamo di mettere in pratica quel che ci dice sant’Agostino: «Aiuta coloro con i quali cammini, per poter raggiungere Colui col quale desideri rimanere».
Se è così, già fin d’ora: Buon Natale!
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