La politica del disprezzo e l’effetto presepe
di Andrea Grillo
Ci sono, nelle tradizioni, logiche profonde e complesse, che vanno rispettate proprio nella loro complessità. Anche la tradizione cristiana, e in particolare quella cattolico-romana, non sfugge a queste logiche. Quasi 70 anni fa un parroco diede fuoco a Babbo Natale, sul sagrato della Chiesa, per “difendere” Gesù bambino dai “culti pagani”. Questo episodio diede lo spunto, a C. Lévi-Strauss per scrivere un bell’opuscolo, dal titolo “Babbo Natale giustiziato” nel quale metteva in luce la profonda continuità tra culto pagano e culto cristiano, sulla base della antica festa del Sol invictus, dove i temi della luce, delle piante sempreverdi e dei “vecchi/morti” e dei “bambini/neonati” si intrecciano strutturalmente.
Ora, in questo contesto, quando la polemica diventa vuota e formale, possiamo trovare il paradosso per cui politici senza vero retroterra di fede, la cui sensibilità verso lo straniero è proverbiale, diventino i “difensori del presepe” (e del Crocifisso), pretendendo di far passare pastori e cristiani come “nemici del popolo”.
La questione decisiva, in tutto questo, è ciò che da tempo chiamo “effetto presepe”. Vorrei provare a spiegarlo brevemente. In tutte le grandi tradizioni, infatti, i passaggi decisivi – nel nostro caso cattolico, il Natale e la Pasqua – diventano “luoghi di riconoscimento”, non solo religioso, ma culturale e sociale. “Fare il presepe” a Natale, e “visitare i sepolcri” a Pasqua diventano luoghi di identità. Ma, proprio in questo passaggio, le tradizioni si mettono a rischio, perché concentrano in un punto tutti i “messaggi” e proprio per questo “sovraccarico” rischiano di perderne il senso. Il presepe e il Crocifisso diventano, così, meri simboli di identità, in cui la comunità si identifica “contro qualcuno”, contraddicendo in modo vergognoso il significato del simbolo stesso.
Il presepe, in modo esemplare, costituisce un caso tipico di questa “tentazione”. Presepe dice, in latino, “mangiatoia” e costituisce la “versione di Luca” del mostrarsi del Salvatore. Che si rivela ai pastori irregolari e non ai buoni credenti regolari del tempo. La tensione, in quel testo di Luca, è tra la grandezza del Signore e la piccolezza umana che può riconoscerlo solo nella irregolarità dei pastori. Nella versione di Matteo, invece, la dose è ancora rincarata: la tensione è tra la stella e i magi che la seguono, nella loro condizione di stranieri, e la ostilità viscerale dei residenti. Il “presepe”, mescolando tutti questi messaggi, rischia di non aumentare, ma di diminuire la forza della tradizione, riducendola a un “soprammobile” borghese. Il presepe significa che ultimi, stranieri e irregolari riconoscono Gesù, mentre Governatori, Ministri e residenti regolari cercano di ucciderlo. Esattamente come, a Pasqua, sanno riconoscere Gesù una donna dai molti mariti, un disabile grave come il cieco nato e un cadavere come Lazzaro, mentre i potenti lo uccidono senza pietà. Queste sono le categorie privilegiate dalla Chiesa!
Ciò che il mondo cattolico deve chiedere, con parole pacate, è un passo avanti nell’assumere il significato autentico del Presepe e del Crocifisso, chiedendo ai politici di fare un “passo indietro” su temi che non si possono fare entrare nella bieca speculazione politica. Ecco come lo aveva detto, alcuni anni fa, il Vescovo di Padova: «Fare un passo indietro non significa creare il vuoto o assecondare intransigenze laiciste, ma trovare nelle tradizioni, che ci appartengono e alimentano la nostra fede, germi di dialogo. Il Natale, in questo senso, è un esempio straordinario, un’occasione di incontro con i musulmani, che riconoscono in Gesù un profeta e venerano Maria». Solo con un piccolo passo indietro si fa un grande passo avanti. Nella pura tradizione cristiana. E non è un caso che i politici dell’odio e della indifferenza oppongano a questo una resistenza viscerale.
Vogliono cacciare gli stranieri e i crocifissi dall’Italia e avere in ogni ufficio crocifissi e presepi come soprammobili? Questo è semplicemente disgustoso. Delle due l’una: o riempiamo di simboli natalizi e pasquali una terra che sappia dimostrarsi accogliente e non indifferente. O scegliamo di cacciare chi è senza casa e tutti i crocifissi della terra, ma, almeno per un minimo di pudore, cerchiamo di arrossire davanti ai simboli di ciò che non accettiamo e vogliamo soltanto combattere. E’ ovvio che, per chi gioca solo su odio e disprezzo, anche il presepe e il crocifisso possono diventare non strumenti simbolici di comunione, ma strumenti diabolici di disprezzo. A questo uso distorto e perverso dei grandi simboli cristiani ci opporremo sempre con assoluta determinazione.
(fonte: Come se non - 3 dicembre 2018)
Padova, don Favarin: "Ipocrita fare il presepio,
Gesù era un migrante e noi li lasciamo per strada"
Il prete da anni si occupa di accoglienza. Ora attacca il decreto sicurezza di Salvini: "Applaudire le sue politiche e poi preparare le statuette è schizofrenia pura. Un Natale senza il simbolo della Natività è più coerente con questo clima volgare"
"Oggi fare il presepio è ipocrita. Il presepe è l'immagine di un profugo che cerca riparo e lo trova in una stalla. Esibire le statuette, facendosi magari il segno della croce davanti a Gesù bambino, quando poi nella vita di tutti i giorni si fa esattamente il contrario, ecco tutto questo lo trovo riprovevole". Don Luca Favarin, il prete che a Padova gestisce nove comunità e aiuta 140 ragazzi africani, sferza i predicatori di presepi e crocifissi. Lo fa toccando uno dei simboli del Natale, il presepe appunto, icona della Natività, con il cammino di Giuseppe e Maria. Ecco, quel cammino a don Luca evoca la traversata di migliaia di migranti alla ricerca di un orizzonte nuovo. "Il nuovo decreto sicurezza costringe le persone a dormire per strada, quindi l'Italia si è schierata per la non-accoglienza", ragiona il prete. "Poi però, a casa, tutti bravi a esibire le statuette accanto alla tavola imbandita, al caldo del termosifone acceso".
Luca Favarin ha scelto la domenica mattina, nel momento della messa settimanale, per scrivere su Facebook un post con il suo pensiero: "Quest'anno non fare il presepio credo sia il più evangelico dei segni. Non farlo per rispetto del Vangelo e dei suoi valori, non farlo per rispetto dei poveri"
Don Luca Favarin, al centro, con i ragazzi provenienti dall'Africa di cui si occupa |
Non ha paura don Luca delle critiche che gli stanno arrivando in queste ore, non teme di esternare un sentimento che gli viene da dentro, dopo anni di impegno con gli "ultimi", gli "invisibili". Nel 2012 ha tolto la tunica e chiuso il capitolo del prete di parrocchia per buttarsi anima e corpo come responsabile della Diocesi di Padova prima della tratta degli esseri umani e poi dell'accoglienza dei migranti con la cooperativa Percorso Vita. Ha modellato un sistema che sta dando lavoro e speranza a tanti profughi. Ha aperto un ristorante etnico e un bar-fast food, oggi interamente gestiti da loro. I piatti vengono preparati con la verdura prodotta in due appezzamenti di terreno, dove ragazzi provenienti dall'Africa subsahariana hanno imparato a cimentarsi con piantagioni di radicchio, cavoli e patate. Dove gli alberi da frutto vengono coltivati con cura e amore, perché poi da quei frutti nascono le marmellate biologiche.
"Ci vuole una coerenza umana e psicologica", continua il prete. "Applaudire il decreto sicurezza di Salvini e preparare il presepe è schizofrenia pura. Come dire: accolgo Dio solo quando non puzza, non parla, non disturba. Lo straniero che incrocio per strada, invece, non lo guardo e non lo voglio". Ancora: "Credo che un Natale senza presepio sia più coerente con questa pagina volgare e infame della storia del nostro Paese. Va in scena il teatrino del Natale e poi si lascia morire la gente per strada. Vorrei ricordare ai cristiani che ci sono migliaia di Gesù-bambino in giro per le strade, sotto i ponti".
(fonte: La Repubblica, articolo di Enrico Ferro 03/12/2018)
Intervenendo al Morning Show di Radio Padova don Luca Favarin ha chiarito il messaggio dicendo che “se il presepe deve essere pura esteriorità, allora tanto vale non farlo”.
Ne è seguito uno scontro verbale con il sindaco di Albettone Joe Formaggio, ospite fisso del programma di Radio Padova condotto da Barry Mason con in studio l’opinionista Alberto Gottardo
Leggi tutto e ascolta: Il presepe? Forse ha più senso non farlo. Bufera sul sacerdote don Luca Favarin che in diretta su Radio Padova spiega le sue ragioni