OREUNDICI
IL QUADERNO DI GENNAIO 2015
LA TERRA CASA COMUNE
L'EDITORIALE
di Mario De Maio
Ero in Brasile a Madre terra quando ho ascoltato le parole che papa Francesco rivolgeva all’incontro mondiale dei movimenti popolari il 28 ottobre. «Per favore, continuate a lottare per la dignità della famiglia rurale, per l’acqua, per la vita e affinché tutti possano beneficiare dei frutti della terra. […]Terra, casa, lavoro. Un anelito che dovrebbe essere alla portata di tutti ma che oggi vediamo con tristezza sempre più lontano dalla gente». Questo discorso sembrava rivolto proprio a noi di Ore undici che insieme ai convegni e alle attività culturali, abbiamo voluto associare un sogno da condividere con i giovani emarginati che vivono a Foz do Iguaçu. Il sogno, lasciatoci in eredità da fratel Arturo Paoli, è quello di creare una comunità di agricoltori, con l’obiettivo di vivere con la natura, nella relazione, nell’amicizia e nella solidarietà con gli ultimi. Abbiamo chiamato questo progetto “Madre terra” perché la terra, come una madre, è fonte di vita materiale e spirituale per tutti, sia per i giovani brasiliani che per noi cittadini del “primo mondo”.
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Accogliamo gli appelli che ci vengono sempre più numerosi a salvare la nostra specie e l’ecosistema nel quale viviamo. È l’augurio che ci facciamo reciprocamente.
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ACCETTARE IL PROPRIO POSTO
non siamo noi i piccoli del Regno
di Arturo Paoli
La parola petitesse mi pare intraducibile: è nata in Francia e là bisogna ricercarne il senso. Tocca il culmine della sua fortuna nella storia della piccola Teresa che fa della petitesse il tema della sua vita. Di lì, da questa vita austera e semplice forse troppo volgarizzata, ha origine anche la decadenza di questa parola. La sua fortuna si deve alla grandeur francese che si inquadra nella Terza Repubblica dalla metà dell’Ottocento fino alla guerra mondiale del ’14. In controluce rispetto a questa ubriacatura venata di propositi civilizzatori e missionari, i convertiti, tra cui il Padre de Foucauld, lessero nel Vangelo il messaggio rivelato ai piccoli e agli umili della terra, a quelli che occupano l’ultimo posto nella scala sociale. A questi cristiani violenti dobbiamo una lettura del Vangelo che sottolinea particolarmente la povertà, la piccolezza, l’abiezione. La sola contestazione possibile alla grandezza politica era quella di ridursi a delle proporzioni di povertà, alla scelta del deserto. Membri di una comunità che trova la ragione di vivere nel costruire una patria grande e dalla voce forte, vivono il paradosso del Vangelo che illumina la fecondità del servizio, dell’occupare l’ultimo posto, del porgere l’altra guancia a chi ti attacca. Tutti questi, canonizzati o no, sono i santi della petitesse. Farsi piccoli, scomparire, morire nella terra come il chicco di grano è il tema che fa da controluce alla ricerca della grandezza, della nobiltà della spada, dell’abilità del gioco politico, per garantire alla figlia primogenita della Chiesa il diritto di “civilizzare i barbari”.
Santa Teresa entra senza apparenti rotture da un mondo piccolo-borghese in questo mondo di "abbassati e umiliati". La sua apparente facilità, il suo modo di vivere il Vangelo quasi di istinto,, la sua abilità nel servirsi dei limiti, dei vuoti, della povertà di carattere, ha fatto scuola e ha certamente scrostato il Vangelo dalle sovrapposizioni storiche e moralistiche di cui lo aveva ricoperto la letteratura religiosa. Forse il colpo più forte al manicheismo non è quello del Vaticano II, ma quello di Santa Teresa in cui la petitesse ha preso il senso di normalità. Lei ha detto che in fondo non occorre essere dei giganti, né nel senso dell’altezza né in quello della profondità. È più evangelico accettare il proprio posto che cercare affannosamente l’ultimo. Non voglio contrapporre i grandi convertiti a Santa Teresa, perché anche quelli che hanno cercato l’ultimo posto a poco a poco hanno dovuto coincidere con l’accettazione del proprio posto. Santa Teresa non è opposta, rappresenta piuttosto il punto di arrivo. Le decisioni violente, se non approdano alla scoperta e all’accettazione di “come siamo nella verità”, sono false. La conversione matura non nel superuomo ma nell’uomo riportato alle sue proporzioni vere. E Santa Teresa marca questo punto d’arrivo.
L'uggia invincibile per la petitesse mi è venuta al sentirne parlare in certi ambienti.
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A questo mondo disumano,
fatto di direttive e di risultati tangibili,
distribuiamo sorrisi, fiori, baci, gatti, musica, sogni, preghiere, gratuità.
Questo è il maggiore affronto, la controcultura più profonda.
Adriana Zarri