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martedì 2 aprile 2019

San Francesco di Paola - Attualità di un carisma

San Francesco di Paola - Attualità di un carisma
San Francesco di Paola nel quinto centenario della canonizzazione
di Nicola Gori

La «passione per l’uomo» testimoniata da san Francesco di Paola con le sue «coraggiose prese di posizione a favore della giustizia» e «contro ogni forma di sopruso» può essere oggi di esempio in un tempo in cui «si fa fatica a leggere il segno dell’umanità in ciò che sta accadendo, ad esempio, con le costruzioni di muri fisici e mentali e con i respingimenti di migranti». Lo afferma padre Leonardo Messinese, vicario generale dell’ordine dei Minimi, in questa intervista a «L’Osservatore Romano», riproponendo il carisma e l’attualità del santo eremita, di cui ricorre quest’anno il quinto centenario della canonizzazione

S. Francesco di Paola incontra re Ferrante d’Aragona Affresco, Raffaele Severino, 1914
Milazzo (ME) - Santuario S. Francesco di Paola 

Qual è l’eredità di san Francesco di Paola?
L’eredità spirituale di san Francesco di Paola può essere raccolta attorno a un triplice fuoco: la dedizione totale a Dio, la fedeltà alla Chiesa, la passione per l’uomo. La dedizione totale a Dio è manifestata da Francesco con una vita la cui “forma” era costituita dalla preghiera, intesa quale comunione con Dio. Si può dire che egli, stando su questa terra, trascorreva il suo tempo con Dio e che le estasi erano la dimensione manifesta di un rapimento estatico che coincideva totalmente con la sua esistenza. La sua stessa forte ascesi aveva il segno della partecipazione esistenziale a Gesù crocifisso, per rivestire i suoi stessi “sentimenti”. Quanto alla fedeltà alla Chiesa, essa si espresse in lui attraverso modalità diverse. Mi piace, qui, ricordare particolarmente il suo spirito di obbedienza e la sua opera di riforma “della” Chiesa e “nella” Chiesa. Fu in virtù della sua obbedienza che egli accolse il mandato di Papa Sisto iv a recarsi in Francia presso la corte di Luigi xi, che aveva richiesto la presenza dell’eremita paolano per ottenere la guarigione fisica e ricevette un dono più grande, la guarigione dello spirito. Riguardo alla sua opera di riforma della Chiesa, soprattutto in terra francese venne coinvolto da alcuni dei movimenti che la auspicavano nel secolo XV, ed egli rispose secondo il suo stile, improntato alla discrezione, partecipandovi in modo indiretto. In tale linea, egli ha sottolineato che ogni riforma parte della “conversione del cuore” e, cioè, implica un impegno personale e interiore, in assenza del quale ogni cambiamento rimane sterile ed è di breve durata. Infine, la passione per l’uomo. Il suo coinvolgimento nella vita del prossimo era effettivo, come risulta anche dalle testimonianze raccolte nei processi svoltisi in Calabria e in Francia in vista della sua canonizzazione, di cui proprio quest’anno celebriamo il quinto centenario. Sono note le sue coraggiose prese di posizione a favore della giustizia, contro ogni forma di sopruso. Esse furono rivolte sia ad alcuni signori locali che tartassavano la povera gente, sia nei confronti di alcuni sovrani, come il re di Napoli Ferrante d’Aragona e lo stesso Luigi xi. Ma lo faceva senza nutrire alcun rancore verso gli ingiusti, che anzi invitava a conversione. Peraltro, il rapporto di Francesco con questi regnanti, e per quanto riguarda la corte francese con i successori di Luigi xi, implicava pure altri aspetti, anche di natura diplomatica. In ogni caso, ciò che lo muoveva era un’autentica “compassione” per i più deboli, qualunque fosse la forma di povertà che li opprimesse. Nel contesto della passione per l’uomo e dello stile sobrio e “contemplativo” della sua vita, possiamo inserire per ciò che riguarda la sua eredità anche una dimensione “ecologica” di tutela del creato, di salvaguardia della casa comune dei figli di Dio.

Questo dimostra che il suo messaggio è ancora attuale.
Spesso, quando si parla di “attualità” del messaggio di un uomo del passato, si corre il rischio di attribuire alla sua parola e alla sua azione alcuni elementi anacronistici, trasferendo i problemi che sono del nostro tempo a un’epoca storica che non li conosceva o in cui erano presenti in forma molto diversa. Questo rischio però, a mio parere, non si corre con Francesco di Paola.

Perché?
Perché il suo messaggio ha un carattere “universale” e proprio per questo può essere, volta per volta, attualizzato nelle diverse epoche storiche. L’attualizzazione del suo messaggio può ricalcare le tre dimensioni della sua eredità spirituale che ho prima indicato. La dedizione totale a Dio può essere declinata come affermazione del primato dell’essere nella vita di ogni persona, dal quale dipende la qualità del suo operare. Per Francesco di Paola l’“essere” è costituito della comunione con Dio. Essa è la sua dimensione permanente, la sua vera “grotta”, dalla quale egli non ha bisogno di allontanarsi per esercitare la fedeltà alla Chiesa e impegnarsi per l’uomo. La fedeltà alla Chiesa, nello spirito della Ecclesia semper reformanda, può essere declinata come l’attenzione a dare un “volto” che sia adeguato per il nostro tempo — guardando ai suoi bisogni e alle sue aspirazioni più nascoste — al Verbo eterno che si è manifestato nella carne in Gesù di Nazareth. E, quindi, a far sì che nelle parole, nei gesti e nelle opere della Chiesa del nostro tempo, possa essere percepita l’eco della Parola di vita. La passione per l’uomo si traduce in un’appassionata testimonianza della propria fede da parte del credente di oggi, quando si fa fatica a leggere il segno dell’“umanità” in ciò che sta accadendo, ad esempio, con le costruzioni di muri fisici e mentali e con i respingimenti di migranti, ma non solo, perché sono anch’essi di duplice tipo. Il santo paolano trovava nelle pagine dei Vangeli la risposta riguardo a quale debba essere la misura di tale passione: una misura senza misura, anche se perseguire questo ideale non è affatto semplice. Papa Francesco, nell’esortazione Gaudete et exsultate, ci ha detto la stessa cosa, invitando il credente a leggere le beatitudini evangeliche ed esortandolo a sforzarsi di praticarle. Non mi soffermo ulteriormente sull’impegno a un’“ecologia integrale”, cui avevo accennato in precedenza.

Quali sono gli aspetti più caratteristici del suo carisma?
Il carisma di Francesco di Paola, che egli ha trasmesso alla famiglia dei minimi da lui fondata, nella triplice espressione di frati, monache e fedeli laici o terziari, può essere racchiuso in tre semplici e, tuttavia, grandi parole: umiltà, conversione e carità. L’umiltà è intesa come una modalità dell’essere dell’uomo, quella di riconoscersi “creatura” e, per questo, capace di comprendere che tutto è dono per lui, tutto è grazia, pure se i suoi pensieri e le sue azioni hanno il segno distintivo della sua particolare persona. L’umiltà è la risposta esistenziale da parte dell’uomo che sa riconoscere la “misura” del proprio essere e, perciò, sa mantenere la giusta misura nelle sue relazioni e nei suoi gesti. Una chiave significativa per cogliere il significato autentico dell’umiltà come espressione del carisma possiamo trovarla in una esortazione rivolta ai professori dell’ordine — chiamati lettori — che è contenuta nel Correttoriodell’ordine: «I lettori ordinari dell’Ordine, memori della loro qualifica di Minimi, non si insuperbiscano ma occupino umilmente il posto della loro umile professione». Una traccia altrettanto significativa di questo aspetto portante del carisma è contenuta nello spirito su cui si fonda la Ratio studiorum scritta da padre Nicolas Lesguiller nel 1639. La conversione esprime innanzitutto anch’essa un atteggiamento che coinvolge la persona nel suo essere più profondo. Prima dicevamo la stessa cosa, quando parlavamo della conversione del “cuore”. Per dare una forma concreta alla conversione, al cambiamento di mentalità e di vita, essa deve riguardare ogni dimensione dell’essere umano, stante che ognuna è unita alle altre. Da qui l’importanza anche dell’ascesi fisica, la quale però è totalmente subordinata all’ascesi spirituale. L’ascesi fisica è, quindi, un elemento del cammino di conversione che è comportato dal carisma, ma non è fine a se stessa. La penitenza del carisma minimo è la penitenza “evangelica”, quella proclamata da Gesù per chi vuol farsi suo discepolo. Perciò, essa non prevede la tristezza, tanto meno il digiunare «tra litigi e alterchi» che è rimproverato da Jahvè per bocca del profeta Isaia. L’ascesi, considerata nella sua integralità, è una disciplina del vivere, quindi comporta anch’essa una “misura” non solo del cibo, ma di ogni altra cosa, al fine di conformarsi ai “sentimenti di Cristo”. Essa, così, invita a non tenere tutto per se stessi, ma orienta alla condivisione di quanto eccede la giusta misura di ciò che è necessario per la vita fisica e a partecipare i beni della vita spirituale.

E così siamo approdati al terzo grande elemento del carisma di san Francesco e del suo ordine: la carità.
Essa, in quanto virtù teologale, è ciò che dà forma a ogni elemento della vita spirituale e della missione ecclesiale del discepolo di Francesco di Paola: è la carità in quanto espressione del Deus charitas. Ma essa è anche il necessario approdo della conversione o “penitenza” considerata nella sua integralità: è l’“amore del prossimo”, il quale si esprime nella solidarietà e nella com-passione verso i poveri di beni e gli inariditi di spirito; verso gli emarginati a motivo di antiche e nuove durezze di cuore; verso chi è abbandonato o, comunque, è lasciato solo, come spesso succede agli anziani. Una tale carità si esprime pure nella cura spirituale e nel sostegno efficace a chi vive con impegno la fede cristiana e apre la mente, il cuore e le mani a orizzonti più vasti del piccolo recinto della propria casa.

Cosa è, in particolare, il voto di Quaresima perpetua?
Più esattamente si tratta del voto di «vita quaresimale» e la precisazione, per cui la «Quaresima» non funge da sostantivo ma da aggettivo per il sostantivo «vita», può essere utile per una migliore comprensione del voto medesimo. Sia pur brevemente, incomincio con alcuni dati storici. La pratica della «vita quaresimale», inizialmente nell’eremita paolano e poi nei suoi seguaci, precedette la sua codificazione canonica nella Prima regola dei Minimi del 1493, nella quale essa ancora non costituiva un “voto” che si aggiungesse ai classici voti di obbedienza, castità e povertà. Fu a partire dalla Seconda regola del 1501 che la “vita quaresimale” fu prescritta come quarto voto, riconfermato nella Terza regola del 1502 e nella Quarta regola del 1506.

Qual è il suo contenuto?
La vita quaresimale stabilisce la forma particolare che per Francesco e i suoi discepoli assume l’evangelico “fare penitenza”. Per comprenderne il significato, occorre rifarsi da una parte alla tradizione ascetica dei padri del deserto e della vita monastica e, dall’altra, alla pratica dell’astinenza quaresimale richiesta dalla Chiesa del tempo ai suoi fedeli, estesa però per i Minimi a tutto l’anno. Si deve, tuttavia, subito aggiungere che non si tratta semplicemente di un “vitto” quaresimale — astensione dalle carni, ecc. — quanto piuttosto di una “vita” e, cioè, dello stile di vita che caratterizzava Francesco di Paola e che deve trovare riscontro in ogni comportamento del religioso minimo. L’umiltà alla quale prima si faceva riferimento rientra perfettamente nello stile di «vita quaresimale». Nelle attuali Costituzioni dell’ordine, le quali costituiscono un aggiornamento della Regola attenendosi alle direttive del concilio Vaticano II, lo spirito del voto di vita quaresimale è presentato dicendo che esso «consiste nel vivere permanentemente la Quaresima nella totale conversione della mente, del cuore e della vita a Dio: nel dominio di sé con attenzione particolare alle necessità dei fratelli, in una più intima unione all’espiazione redentrice di Cristo»
(Fonte Osservatore Romano - 1° aprile 2019)