13 febbraio 2016
Nel pomeriggio, lasciata la Nunziatura Apostolica, il Santo Padre Francesco si è trasferito in papamobile alla Basilica di “Nuestra Señora de Guadalupe”, il principale santuario del Messico e il più grande santuario mariano del mondo ove viene venerata la Vergine di Guadalupe, Patrona del Messico, dei Paesi Americani e delle Filippine.
Il Papa è arrivato alla Basilica minore e da lì alle ore 17 si è recato in processione alla nuova Basilica dove ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nel corso della quale, dopo la proclamazione del Vangelo, ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito
Abbiamo ascoltato come Maria andò a visitare la cugina Elisabetta. Senza indugi, senza dubbi, né lentezze, va ad accompagnare la sua parente che era agli ultimi mesi di gravidanza.
L’incontro con l’angelo non ha fermato Maria, perché non si è sentita privilegiata, o in dovere di staccarsi dalla vita dei suoi. Al contrario, ha ravvivato e messo in moto un atteggiamento per il quale Maria è e sarà sempre riconosciuta: la donna del sì, un sì di dedizione a Dio e, al tempo stesso, un sì di dedizione ai suoi fratelli. E’ il sì che la mise in movimento per dare il meglio di sé, ponendosi in cammino incontro agli altri.
Ascoltare questo brano del Vangelo in questa Casa ha un sapore speciale. Maria, la donna del sì, ha voluto anche visitare gli abitanti di questa terra d’America nella persona dell’indio san Juan Diego. Così come si mosse per le strade della Giudea e della Galilea, nello stesso modo raggiunse il Tepeyac, con i suoi abiti, utilizzando la sua lingua, per servire questa grande Nazione. E così come accompagnò la gravidanza di Elisabetta, ha accompagnato e accompagna la “gravidanza” di questa benedetta terra messicana. Così come si fece presente al piccolo Juanito, allo stesso modo continua a farsi presente a tutti noi, soprattutto a quelli che come lui sentono “di non valere nulla” (cfr Nican Mopohua, 55). Questa scelta particolare, diciamo preferenziale, non è stata contro nessuno, ma a favore di tutti. Il piccolo indio Juan che si chiamava anche “mecapal, cacaxtle, coda, ala, bisognoso lui stesso di esser portato” (cfr ibid.) è diventato “il messaggero, molto degno di fiducia”.
In quell’alba di dicembre del 1531, si compiva il primo miracolo che poi sarà la memoria vivente di tutto ciò che questo Santuario custodisce. In quell’alba, in quell’incontro, Dio risvegliò la speranza di suo figlio Juan, la speranza di un popolo. In quell’alba Dio ha risvegliato e risveglia la speranza dei più piccoli, dei sofferenti, degli sfollati e degli emarginati, di tutti coloro che sentono di non avere un posto degno in queste terre. In quell’alba Dio si è avvicinato e si avvicina al cuore sofferente ma resistente di tante madri, padri, nonni che hanno visto i loro figli partire, li hanno visti persi o addirittura strappati dalla criminalità.
In quell’alba, Juanito sperimenta nella sua vita che cos’è la speranza, che cos’è la misericordia di Dio. Lui è scelto per sorvegliare, curare, custodire e favorire la costruzione di questo Santuario. A più riprese disse alla Vergine che lui non era la persona adatta, anzi, se voleva portare avanti quel lavoro doveva scegliere altri perché lui non era istruito, letterato o appartenente al novero di coloro che avrebbero potuto farlo. Maria, risoluta – con la risolutezza che nasce dal cuore misericordioso del Padre – gli disse no, che lui sarebbe stato il suo messaggero.
Così egli riesce a far emergere qualcosa che non sapeva esprimere, una vera e propria immagine trasparente di amore e di giustizia: nella costruzione dell’altro santuario, quello della vita, quello delle nostre comunità, società e culture, nessuno può essere lasciato fuori. Tutti siamo necessari, soprattutto quelli che normalmente non contano perché non sono “all’altezza delle circostanze” o perché non “apportano il capitale necessario” per la costruzione delle stesse. Il santuario di Dio è la vita dei suoi figli, di tutti e in tutte le condizioni, in particolare dei giovani senza futuro esposti a una infinità di situazioni dolorose, a rischio, e quella degli anziani senza riconoscimento, dimenticati in tanti angoli. Il santuario di Dio sono le nostre famiglie che hanno bisogno del minimo necessario per potersi formare e sostenere. Il santuario di Dio è il volto di tanti che incontriamo nel nostro cammino…
Venendo in questo santuario ci può accadere la stessa cosa che accadde a Juan Diego. Guardare la Madre a partire dai nostri dolori, dalle nostre paure, disperazioni, tristezze, e dirle: “Che cosa posso dare io se non sono una persona istruita?”. Guardiamo la Madre con occhi che dicono: “Sono tante le situazioni che ci tolgono la forza, che ci fanno sentire che non c’è spazio per la speranza, per il cambiamento, per la trasformazione”.
Per questo credo che oggi ci farà bene un po’ di silenzio, e guardarla, guardarla molto e con calma, e dirle come fece quell’altro figlio che la amava molto:
“Guardarti semplicemente - Madre -,
tenendo aperto solo lo sguardo;
guardarti tutta senza dirti nulla,
e dirti tutto, muto e riverente.
Non turbare il vento della tua fronte;
solo cullare la mia solitudine violata
nei tuoi occhi di Madre innamorata
e nel tuo nido di terra trasparente.
Le ore precipitano; percossi,
mordono gli uomini stolti l’immondizia
della vita e della morte, con i loro rumori.
Guardarti, Madre; contemplarti appena,
il cuore tacito nella tua tenerezza,
nel tuo casto silenzio di gigli” (Inno liturgico).
E nel silenzio, in questo rimanere a contemplarla, sentire ancora una volta che ci ripete: “Che c’è, figlio mio, il piccolo di tutti? Che cosa rattrista il tuo cuore?” (cfr Nican Mopohua, 107.118) «Non ci sono forse qui io, io che ho l’onore di essere tua madre?» (ibid., 119).
Lei ci dice che ha “l’onore” di essere nostra madre. Questo ci dà la certezza che le lacrime di coloro che soffrono non sono sterili. Sono una preghiera silenziosa che sale fino al cielo e che in Maria trova sempre posto sotto il suo manto. In lei e con lei, Dio si fa fratello e compagno di strada, porta con noi le croci per non lasciarci schiacciare da nostri dolori.
“Non sono forse tua madre? Non sono qui? Non lasciarti vincere dai tuoi dolori, dalle tue tristezze” – ci dice. Oggi di nuovo torna ad inviarci, come Juanito; oggi di nuovo torna a ripeterci: sii mio messaggero, sii mio inviato per costruire tanti nuovi santuari, accompagnare tante vite, asciugare tante lacrime. Basta che cammini per le strade del tuo quartiere, della tua comunità, della tua parrocchia come mio messaggero, mia messaggera; innalza santuari condividendo la gioia di sapere che non siamo soli, che lei è con noi. Sii mio messaggero – ci dice – dando da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, da’ un posto ai bisognosi, vesti chi è nudo e visita i malati. Soccorri il prigioniero, non lasciarlo solo, perdona chi ti ha fatto del male, consola chi è triste, abbi pazienza con gli altri e, soprattutto, implora e prega il nostro Dio. E in silenzio le diciamo quello che ci sale dal cuore.
“Non sono forse tua madre? Non sono forse qui?” – ci dice ancora Maria. Vai a costruire il mio santuario, aiutami a risollevare la vita dei miei figli, tuoi fratelli.
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Papa Francesco, ieri, al termine dell'Eucaristia nel Santuario Basilica de Nuestra Señora de Guadalupe, dove è rimasto a lungo seduto, in preghiera, ha chiesto di poter visitare il caveau dove si conserva la tilma originale di Juan Diego.
Qui dopo un lungo momento di preghiera si è alzato e ha toccato lievemente l'immagine protetta da un vetro che si conserva presso il cosiddetto "Camarín".
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Ha impressionato la lunga preghiera silenziosa del Papa, solo davanti all’immagine singolare e veneratissima della Madonna di Guadalupe, protettrice di tutta l’America. Un momento fortemente voluto, richiesto, annunciato e poi sottolineato da Bergoglio nei discorsi e nelle omelie a Città del Messico. Sin dal discorso alle autorità nel Palacio Nacional, la sede simbolica del potere politico le cui porte si sono per la prima volta aperte a un Pontefice.
Francesco è il terzo Papa a visitare il grande paese nordamericano e all’inizio dell’incontro in cattedrale con l’episcopato si è chiesto come “avrebbe potuto il successore di Pietro, chiamato dal lontano sud latinoamericano” non “posare il proprio sguardo sulla Vergine Morenita”. Con il desiderio, subito dopo dichiarato, di essere raggiunto da quello materno di Maria.
Leggi tutto: In silenzio davanti alla Morenita
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Vedi anche i nostri post precedenti:
- Papa Francesco: Viaggio in Messico (12-18 FEBBRAIO 2016) / 1 - Partenza, incontri con i giornalisti durante il volo per Cuba e verso il Messico, arrivo a Cuba e storico incontro con il Patriarca Kirill di Mosca (cronaca, foto testi e video)
- Papa Francesco: Viaggio in Messico (12-18 FEBBRAIO 2016) / 2 - Arrivo a Città del Messico, Incontri con Autorità e con i Vescovi del Messico (cronaca, foto testi e video)