Nel cuore dell’estate la liturgia ci fa celebrare la festa della Assunzione di Maria. È un segno dell’accompagnamento della Chiesa, che con la sua liturgia ritma i tempi della nostra vita, anche i tempi di vacanza. Tempi mai vuoti ma particolarmente propizi – perché liberi da incombenze e preoccupazioni lavorative – per elevare lo sguardo e prendersi cura di sé, della propria vita interiore, della propria anima. Elevare lo sguardo ai segni della grazia, che non mancano, ma hanno bisogno di occhi attenti per essere riconosciuti e accolti. Riconoscerli e accoglierli per arginare quel logorio etico-spirituale che gli affanni del quotidiano alimentano e dilatano. Logorio provato come senso di smarrimento, insignificanza, insoddisfazione, estraneità, apatia. Il segno dei segni – il segno primordiale e centrale della grazia – è Cristo, la sua umanità. Poi – ci dice san Paolo – «quelli che sono di Cristo». E «di Cristo» è prima di tutto sua madre. Di qui l’attenzione privilegiata della Chiesa a Maria, per imparare da lei, la nuova Eva: figura dell’umanità rinnovata. Icona di perfetta umanità, in rapporto a quei limiti esistenziali da cui non c’è auto-liberazione (redenzione a opera dell’uomo) ma soltanto liberazione dall’alto, a opera della grazia. E Maria – come la dice il vangelo – è la «piena di grazia», nella quale «grandi cose ha fatto l’Onnipotente». Così da essere additata dal Concilio Vaticano II come «eccellentissimo modello», cui guardare per sapere chi siamo e chi siamo destinati ad essere.
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L’assunzione di Maria al cielo ci ricorda il fatto che il cielo è la nostra patria, e che lì ci aspetta Cristo risorto, primizia di coloro che risorgono dalla morte. Ricordo quanto mai necessario, perché con facilità, anche noi cristiani, dimentichiamo il fondamento della nostra fede: siamo stati creati per l’immortalità, per il cielo.
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