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giovedì 1 marzo 2012

Padre David Maria Turoldo nel ricordo di don Tonino Bello e di Francesco Comina

Il 6 febbraio del 1992 moriva padre David Maria Turoldo. 
Sono passati vent'anni e la profezia sembra aver abbandonato la storia. Oggi più che mai il canto di David è attuale. Lo vogliamo ricordare con il monito che lasciò ai giovani all'arena di Verona: “O l’uomo è uomo di pace o non è uomo”.
Sono passati vent'anni da quel canto strozzato. Morì David Maria Turoldo nei giorni più rigidi dell’inverno in quel 6 febbraio di brina sulle lapidi dei cimiteri. Il drago non faceva più paura come il giorno in cui si sedette come un re sul trono proprio nel centro esatto del suo ventre. Quando la bestia apparve sul monitor del dottor Waldthaler a Bressanone era piena estate, agosto 1988. Ci vollero alcuni giorni per avere il referto esatto di tanto dolore. Glielo portò l’amico Sandro Bonardi, che gli fu vicino in quei momenti difficili, durante il ritiro al santuario di Pietralba: “Entro in refettorio – racconta Bonardi – e trovo Davide, solo, seduto al posto vicino alla porta della cucina. Allora decido. Gli dico: ‘Davide hai un cancro al pancreas’. Risponde sereno, ma con la consueta voce baritonale, e dando un pugno sul tavolo, liberatorio dopo mesi di tensione: ‘Finalmente so cosa ho, non potevo sopportare che mi dicessero che non avevo niente, come una giovane innamorata. Quello che mi dispiace è che, vedrai, morirò sotto la costellazione di...’. E nominò un eminente politico allora al governo”.
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Don Tonino saluta per l’ultima volta, in quel febbraio 1992, il suo amico padre David Maria Turoldo. Tra ruggiti e poesia, traspariva la sua irrefrenabile voglia di cieli nuovi e terra nuova. 
Vogliamo dare spazio a don Tonino, alle sue parole. Rilanciare – come scrivevamo nel numero di gennaio – le sue provocazioni evangeliche rivolte alla Chiesa, alle istituzioni, alla politica e al popolo della pace. Lo facciamo riportando quanto scritto da don Tonino in occasione della morte di padre Turoldo (6 febbraio 1992), un suo grande amico e grande profeta dei nostri tempi. 
L’ultima volta che l’ho visto è stato l’anno scorso. Andai a trovarlo a Padova, in ospedale. Vibrava sotto le flebo, come un leone incatenato. E anche quella volta mi ruggì versi d’amore per la Chiesa. Sempre così, padre Turoldo. I suoi ruggiti bisognava decodificarli. Senza la ritrascrizione in chiave d’amore della colata lavica dei suoi sentimenti, si rischiava di provare sconcerto.