Lo si può considerare un termometro della crisi. In tempi di ristrettezze economiche, la propensione al consumo degli italiani diminuisce (il calo è dello 0,1% nel terzo trimestre 2011, stando agli ultimi dati Istat) e aumenta invece il fatturato delle aziende attive nel settore del gaming. Vale a dire, delle lotterie e dei giochi d’azzardo tradizionali e online.
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L’Organizzazione mondiale della sanità da decenni li definisce «ludopatici», ovvero affetti da gioco-dipendenza. Ma in Italia si parla ancora di vizio. Eppure i maniaci della slot machine, dei videopoker, dei gratta e vinci a raffica raccontano di una patologia ossessiva che di "giocoso" ha ben poco. Ora il loro grido dal fondo del tunnel, raccolto finora solo dal volontariato, trova un’eco nelle istituzioni.
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La dipendenza dal gioco d’azzardo non va più presa sottogamba. E’ ora di considerare finalmente la ludopatia per quello che è: una malattia. A sostenerlo è il ministro della Salute Balduzzi, che ha intenzione di inserire la cura di questa patologia nei Lea, i livelli essenziali di assistenza. “Cambierà tutto”, assicura il Ministro, “ci saranno prevenzione e assistenza, verranno rafforzati i servizi nelle Asl; insomma una svolta concreta”. A dover cambiare saranno anche le pubblicità: “Non vogliamo più vedere uno spot dove si dice che chi non gioca è un bacchettone. Proibire non è la soluzione, ma nemmeno spingere al gioco in questo modo”.
Bisogna cominciare a chiamare il problema con il suo nome: l’azzardo è una malattia, non un gioco. «E come tutte le malattie è democratica. Non fa differenze di sesso, condizione, credo e posizione sociale. Ai nostri incontri – spiega Gabriele, portavoce dell’associazione “Giocatori Anonimi” – si presentano idraulici e chirurghi, benzinai e calciatori, uomini e donne, cattolici e musulmani».
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La proposta del ministro per la Cooperazione internazionale Andrea Riccardi: chi gioca per rifarsi dalle perdite entra in un circuito da cui non è facile uscire.
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