SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA DEL SIGNORE
Basilica di San Pietro
Lunedì, 6 gennaio 2025
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Il Papa: scardinare le serrature della paura e accogliere l'altro, l’amore via della felicità
Il Papa presiede nella basilica vaticana la Messa della solennità dell’Epifania del Signore e sottolinea che Dio è venuto nel mondo per incontrare uomini e donne di qualsiasi etnia e lingua e ci chiama “a mettere al bando qualsiasi forma di selezione, di emarginazione e di scarto delle persone”. E durante la celebrazione il consueto annuncio della data della Pasqua, che sarà celebrata il 20 aprile, e dei giorni santi che ne scaturiscono
I tre Magi, nel presepe raffigurati “con caratteristiche che abbracciano tutte le età e tutte le razze”, “con i tratti somatici dei vari popoli della terra”, ci ricordano che “Dio cerca tutti, sempre”. Su questo occorre “meditare” nel mondo di oggi, “dove le persone e le nazioni, pur dotate di mezzi di comunicazione sempre più potenti, sembrano diventate meno disponibili a comprendersi, accettarsi e incontrarsi nella loro diversità”. Francesco allarga lo sguardo all’intera famiglia umana nell’omelia nella Messa dell’Epifania del Signore, presieduta nella Basilica di San Pietro alla presenza di 5mila fedeli e con 268 concelebranti e durante la quale è stata annunciata la data della Pasqua, il 20 aprile, e ancora quella dell’inizio della Quaresima, il 5 marzo, dell’Ascensione del Signore, il 29 maggio, della Pentecoste, l’8 giugno, e della prima domenica di Avvento, il 30 novembre.
Al bando qualsiasi forma di emarginazione
Nelle parole del Pontefice l’invito alla fratellanza universale, a riconoscersi tutti uguali, ad eliminare distinzioni, ad aprirsi agli altri senza timore, perché Dio è venuto per tutti.
Il Figlio di Dio è venuto nel mondo per incontrare ogni uomo e donna della terra, a qualsiasi etnia, lingua e popolo appartenga, e che a noi affida la stessa missione universale. Ci chiama, cioè, a mettere al bando qualsiasi forma di selezione, di emarginazione e di scarto delle persone, e a promuovere, in noi e negli ambienti in cui viviamo, una forte cultura dell’accoglienza, in cui alle serrature della paura e del rifiuto si preferiscano gli spazi aperti; spazi aperti dell’incontro, dell’integrazione e della condivisione; luoghi sicuri, dove tutti possano trovare calore e riparo.
Papa Francesco nella Messa a San Pietro
La luce dell’amore
La riflessione del Papa inizia dal viaggio intrapreso dai Magi seguendo “una luce nuova”, quella della stella descritta dall’evangelista Matteo, e si sofferma su tre caratteristiche di questa stella: “è luminosa”, “è visibile a tutti” e “indica un cammino”.
La stella, “che illumina e scalda bruciando e lasciandosi consumare”, ci fa comprendere che la “sola luce che può indicare a tutti la via della salvezza e della felicità” è “quella dell’amore”, chiarisce Francesco, “l’amore di Dio” che si è fatto uomo e “si è donato a noi sacrificando la sua vita” e l’amore con il quale “siamo chiamati a spenderci gli uni per gli altri”, per essere, con l’aiuto dell’Onnipotente “segno reciproco di speranza, anche nelle notti oscure della vita”. Proprio su questo il Pontefice esorta a riflettere: “siamo luminosi nella speranza” e “capaci di dare speranza agli altri con la luce della nostra fede”? Se “molti sovrani, al tempo di Gesù, si facevano chiamare ‘stelle’, perché si sentivano importanti, potenti e famosi”, racconta il Papa, in realtà il loro è uno “splendore, artificiale e freddo, frutto di calcoli e di giochi di potere”, che “non è stato in grado di rispondere al bisogno di novità e di speranza” delle persone in ricerca come i Magi.
Come la stella, col suo brillare, ha guidato i Magi a Betlemme, così anche noi, col nostro amore, possiamo portare a Gesù le persone che incontriamo, facendo loro conoscere, nel Figlio di Dio fatto uomo, la bellezza del volto del Padre e il suo modo di amare, fatto di vicinanza, compassione e tenerezza. Non dimentichiamo mai questo: Dio è vicino, compassionevole e tenero. Questo è l’amore: vicinanza, compassione e tenerezza. E possiamo farlo senza bisogno di strumenti straordinari e di mezzi sofisticati, ma rendendo i nostri cuori luminosi; luminosi nella fede, rendendo i nostri sguardi generosi nell’accoglienza, i nostri gesti e le nostre parole fraterni, pieni di gentilezza e di umanità.
Bisogna essere “gli uni per gli altri, luci che portano all’incontro” con Cristo, incalza Francesco osservando che “è brutto che una persona non sia luce per gli altri”.
Gesù Bambino collocato presso l'altare della Basilica Vaticana
Dio non si nega a nessuno
Quell’astro che i Magi “vedono splendere nel firmamento” è “visibile a tutti”, ma Erode e gli scribi non se ne accorgono, sottolinea, poi, il Papa, specificando che “la stella però resta sempre là, accessibile a chiunque alzi lo sguardo” in cerca di speranza. E sta in cielo perché “raggiunga ogni casa e superi ogni barriera, portando speranza fino agli angoli più remoti e dimenticati del pianeta”, e “per dire a chiunque, con la sua luce generosa, che Dio non si nega a nessuno, non dimentica nessuno”.
Dio non si rivela a circoli esclusivi o a pochi privilegiati, Dio offre la sua compagnia e la sua guida a chiunque lo cerchi con cuore sincero. Anzi, spesso previene le nostre stesse domande, venendo a cercarci prima ancora che glielo chiediamo.
Francesco rimarca che Dio “è un Padre la cui gioia più grande è vedere i suoi figli che tornano a casa, uniti, da ogni parte del mondo”, e “vederli gettare ponti, spianare sentieri, cercare chi si è perso e caricarsi sulle spalle chi fatica a camminare”. Perché il “sogno di Dio” è “che tutta l’umanità, nella ricchezza delle sue differenze” possa essere “una sola famiglia”, “concorde nella prosperità e nella pace”.
Liberare il cuore da tutto ciò che non è carità
Infine, indicando un cammino, la stella invita a compiere un viaggio interiore che “liberi il nostro cuore da tutto ciò che non è carità”, come ha incoraggiato Giovanni Paolo II, per “incontrare pienamente Cristo, confessando la nostra fede in Lui e ricevendo l’abbondanza della sua misericordia”.
E nel cammino che ciascuno percorre, la preghiera di Francesco è che Dio ci renda “luci che indicano Lui”, “generosi nel donarci, aperti nell’accoglienza e umili nel camminare insieme, perché possiamo incontrarlo, riconoscerlo e adorarlo, e ripartire da Lui rinnovati portando nel mondo la luce del suo amore”.
(fonte: Vatican News, articolo di Tiziana Campisi 06/01/2025)
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OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
«Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2): questa è la testimonianza che i Magi rendono agli abitanti di Gerusalemme, annunciando loro che è nato il re dei Giudei.
I Magi testimoniano di essersi messi in cammino, dando una svolta alla loro vita, perché nel cielo hanno visto una luce nuova. Possiamo allora fermarci a riflettere su questa immagine, mentre celebriamo l’Epifania del Signore nel Giubileo della speranza; e vorrei sottolineare tre caratteristiche della stella di cui ci parla l’evangelista Matteo: è luminosa, è visibile a tutti e indica un cammino.
Anzitutto la stella è luminosa. Molti sovrani, al tempo di Gesù, si facevano chiamare “stelle”, perché si sentivano importanti, potenti e famosi. Non è stata però la loro luce – quella di nessuno di loro – a svelare ai Magi il miracolo del Natale. Il loro splendore, artificiale e freddo, frutto di calcoli e di giochi di potere, non è stato in grado di rispondere al bisogno di novità e di speranza di queste persone in ricerca. Lo ha fatto invece un altro tipo di luce, simboleggiata dalla stella, che illumina e scalda bruciando e lasciandosi consumare. La stella ci parla della sola luce che può indicare a tutti la via della salvezza e della felicità: quella dell’amore. Quella è l’unica luce che ci farà felici.
Prima di tutto l’amore di Dio, che facendosi uomo si è donato a noi sacrificando la sua vita. Poi, di riflesso, quello con cui anche noi siamo chiamati a spenderci gli uni per gli altri, divenendo, col suo aiuto, un segno reciproco di speranza, anche nelle notti oscure della vita.
Possiamo pensare a questo: noi siamo luminosi nella speranza? Siamo capaci di dare speranza agli altri con la luce della nostra fede?
Come la stella, col suo brillare, ha guidato i Magi a Betlemme, così anche noi, col nostro amore, possiamo portare a Gesù le persone che incontriamo, facendo loro conoscere, nel Figlio di Dio fatto uomo, la bellezza del volto del Padre (cfr Is 60,2) e il suo modo di amare, fatto di vicinanza, compassione e tenerezza. Non dimentichiamo mai questo: Dio è vicino, compassionevole e tenero. Questo è l’amore: vicinanza, compassione e tenerezza. E possiamo farlo senza bisogno di strumenti straordinari e di mezzi sofisticati, ma rendendo i nostri cuori luminosi nella fede, i nostri sguardi generosi nell’accoglienza, i nostri gesti e le nostre parole pieni di gentilezza e di umanità.
Mentre perciò guardiamo i Magi che, con gli occhi rivolti al cielo, cercano la stella, chiediamo al Signore di essere, gli uni per gli altri, luci che portano all’incontro con Lui (cfr Mt 5,14-16). È brutto che una persona non sia luce per gli altri.
E veniamo così alla seconda caratteristica della stella: essa è visibile a tutti. I Magi non seguono le indicazioni di un codice segreto, ma un astro che vedono splendere nel firmamento. Loro lo notano; altri, come Erode e gli scribi, non si accorgono nemmeno della sua presenza. La stella però resta sempre là, accessibile a chiunque alzi lo sguardo al cielo, in cerca di un segno di speranza.
Io sono un segno di speranza per gli altri?
E questo è un messaggio importante: Dio non si rivela a circoli esclusivi o a pochi privilegiati, Dio offre la sua compagnia e la sua guida a chiunque lo cerchi con cuore sincero (cfr Sal 145,18). Anzi, spesso previene le nostre stesse domande, venendo a cercarci prima ancora che glielo chiediamo (cfr Rm 10,20; Is 65,1). Proprio per questo, nel presepe, raffiguriamo i Magi con caratteristiche che abbracciano tutte le età e tutte le razze – un giovane, un adulto, un anziano, con i tratti somatici dei vari popoli della terra –, per ricordarci che Dio cerca tutti, sempre. Dio cerca tutti, tutti.
E quanto ci fa bene meditare su questo oggi, in un tempo dove le persone e le nazioni, pur dotate di mezzi di comunicazione sempre più potenti, sembrano diventate meno disponibili a comprendersi, accettarsi e incontrarsi nella loro diversità!
La stella, che in cielo offre a tutti la sua luce, ci ricorda che il Figlio di Dio, è venuto nel mondo per incontrare ogni uomo e donna della terra, a qualsiasi etnia, lingua e popolo appartenga (cfr At 10,34-35; Ap 5,9), e che a noi affida la stessa missione universale (cfr Is 60,3). Ci chiama, cioè, a mettere al bando qualsiasi forma di selezione, di emarginazione e di scarto delle persone, e a promuovere, in noi e negli ambienti in cui viviamo, una forte cultura dell’accoglienza, in cui alle serrature della paura e del rifiuto si preferiscano gli spazi aperti dell’incontro, dell’integrazione e della condivisione; luoghi sicuri, dove tutti possano trovare calore e riparo.
Per questo la stella sta in cielo: non per rimanere lontana e irraggiungibile, ma al contrario perché la sua luce sia visibile a tutti, perché raggiunga ogni casa e superi ogni barriera, portando speranza fino agli angoli più remoti e dimenticati del pianeta. Sta in cielo per dire a chiunque, con la sua luce generosa, che Dio non si nega a nessuno, non dimentica nessuno (cfr Is 49,15). Perché? Perché è un Padre la cui gioia più grande è vedere i suoi figli che tornano a casa, uniti, da ogni parte del mondo (cfr Is 60,4), vederli gettare ponti, spianare sentieri, cercare chi si è perso e caricarsi sulle spalle chi fatica a camminare, perché nessuno rimanga fuori e tutti partecipino alla gioia della sua casa.
La stella ci parla del sogno di Dio: che tutta l’umanità, nella ricchezza delle sue differenze, giunga a formare una sola famiglia viva concorde nella prosperità e nella pace (cfr Is 2,2-5).
E questo ci porta all’ultima caratteristica della stella: quella di indicare il cammino. Anche questo è uno spunto di riflessione, specialmente nel contesto dell’Anno santo che stiamo celebrando, in cui uno dei gesti caratteristici è il pellegrinaggio.
La luce della stella ci invita a compiere un viaggio interiore che, come scriveva Giovanni Paolo II, liberi il nostro cuore da tutto ciò che non è carità, per «incontrare pienamente il Cristo, confessando la nostra fede in Lui e ricevendo l’abbondanza della sua misericordia» (Lettera a quanti si dispongono a celebrare nella fede il grande Giubileo, 29 giugno 1999, 12).
Camminare insieme «è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita» (cfr Bolla Spes non confundit, 5). E noi, guardando la stella, possiamo rinnovare anche il nostro impegno ad essere donne e uomini “della Via”, come venivano definiti i cristiani alle origini della Chiesa (cfr At 9,2).
Ci renda così il Signore luci che indicano Lui, come Maria, generosi nel donarci, aperti nell’accoglienza e umili nel camminare insieme, perché possiamo incontrarlo, riconoscerlo e adorarlo, e ripartire da Lui rinnovati portando nel mondo la luce del suo amore.
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