Domenica della Parola di Dio:
un richiamo alla profezia
e alla speranza
di Rosanna Virgili
La Domenica della Parola di Dio, istituita da Papa Francesco, è un richiamo profetico a gridare sui tetti le parole di pace, giustizia e fraternità ascoltate nel “segreto” delle chiese. Spesso, queste parole restano silenti, incapaci di risuonare nelle città, nei media e tra gli oppressi. La Parola, afferma il testo, non è proprietà della Chiesa, ma un dono da condividere, una responsabilità verso le vittime delle sopraffazioni e un balsamo sulle ferite del mondo. Nell’Anno Santo, questo giorno assume un significato ancor più profondo, richiamando il giubileo biblico come occasione di liberazione e riconciliazione. Il testo invita i cristiani alla parresìa, a proclamare con coraggio una speranza concreta, che abbracci anche chi soffre le ingiustizie. Le donne cristiane, prime messaggere della Resurrezione, sono chiamate a rispondere con la pace del Magnificat alle grida di guerra e arroganza. La Parola diventa così la forza per superare il silenzio e testimoniare la giustizia e la misericordia di Dio.
“Nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto (…) quello che ascoltate all’orecchio voi gridatelo sui tetti” dice Gesù (Mt 10,26-27). Per questo è inquietante il silenzio di molti cristiani praticanti dinanzi alle attuali atrocità. Quando Papa Francesco istituì la “Domenica della Parola di Dio” molti si domandavano che bisogno ci fosse di celebrare in una domenica particolare quella “Parola” che sempre risuona nella Messa. Ci rendiamo conto, invece, di quanto fosse profetica e fors’anche tardiva quella decisione, quell’attenzione, quella sottolineatura. Quanto i cristiani odono infatti nel “segreto” delle chiese, delle parrocchie o delle aule di Teologia sono parole di pace, di giustizia, di fraternità, oserei dire di vera civiltà che però non vengono gridate sui tetti e nemmeno sulle strade. Che non si sentono risuonare distintamente nelle città, e neppure più nelle spopolate campagne. Non appaiono nelle agenzie della stampa internazionale ed in rari casi riescono a raggiungere la desolazione degli oppressi e a consolare le lacrime dei poveri con le mani di eroici missionari.
Parole che restano incorporee, che patiscono la paura della resistenza, del disprezzo, della derisione.
L’abbiamo visto quando Papa Francesco implorava la pace con le parole di Gesù: “amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli (…) Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete?” (Mt 5,44.46). Allora i maitre a penser del giornalismo occidentale opponevano sorrisetti di scherno. Anche tra i cristiani qualcuno prendeva per buonismo, ingenuità, le parole del Papa ignorando che fossero, invece, la Parola del Vangelo. Dimostrazione che nell’involucro della liturgia domenicale quella Parola, sentita mille volte, fosse passata vuota, come una strana cantilena di cui gli orecchi adusi non ne hanno recepito la sostanza, la potenza, la provocazione. Il segno di contraddizione! Prigioniera di una fruizione intimistica, individualistica, moralistica, spiritualistica, astratta, la Parola proclamata sull’altare fa uscire muti i cristiani dalle chiese invece di rendergli impossibile di restare in silenzio! Invece di colmargli il cuore dell’empito profetico che dice: “Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada” (Is 62,1). Per amore di tutte le città del mondo, da Gerusalemme a Gaza, da Roma a Mosca, non tacerò! La Parola è un debito che la Chiesa ha con l’umanità. Un debito di speranza perché il mondo possa davvero crederci quando diciamo: “spero nella tua Parola” (Sal 119,74).
La Parola non è proprietà della Chiesa ma un dono condiviso che essa è chiamata a condividere, una risposta di Dio alle ferite umane, un balsamo vitale sulle spaccature mortali, una responsabilità verso le vittime di tutte le sopraffazioni. E in quest’anno Santo la domenica della Parola è ancora più importante per svegliare i cattolici con lo jobel della liberazione, della riconciliazione, della restituzione della terra. “Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti.
Sarà per voi un giubileo”; dinanzi agli indebiti espropri coloniali: “In quest’anno del giubileo ciascuno tornerà nella sua proprietà”; dinanzi alle rapine finanziarie: “Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria ed è inadempiente verso di te (…) temi il tuo Dio e fa’ vivere il tuo fratello presso di te. Non gli presterai il denaro a interesse, né gli darai il vitto a usura”; e tutto ciò “perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti” dice il Signore! (Lv 25,10.13. 35-37.23). Un giubileo, un “anno di grazia” che Gesù non si limita più ad annunciare ma che inizia a realizzare: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura” (Lc 4,19.21). Dall’ascolto della Parola verrà la parresìa dei cristiani che – all’inizio – non temevano di pagare un prezzo sociale, economico, umano a causa dell’autenticità della loro fede. Paolo non temette di liberare “una schiava che aveva uno spirito di divinazione (…) facendo l’indovina, procurava molto guadagno ai suoi padroni” (At 16,16) e di finire, pertanto, in prigione. E le donne credenti, in special modo, non potranno tacere perché proprio esse son state le messaggere della Resurrezione. E oggi dinanzi a donne diverse che urlano dai luoghi alti dei nostri Paesi all’arroganza e alla guerra, le donne cristiane oppongano la pace del Magnificat grido di giubilo, tripudio dei poveri, canto di comune riscatto, di dignità, di bellezza e di misericordia.
(Fonte: AgenziaSIR - 26 gennaio 2025)