21 GENNAIO - GIORNATA MONDIALE DELL'ABBRACCIO
Linguaggio universale
di cui non possiamo fare a meno
di Umberto Folena
Abbracciamoci, teniamoci stretti. Abbracciamoci, ma non troppo forte. Perché vuoi abbracciarmi? Quanto vorrei abbracciarti… Quanti significati ha l’abbraccio? Chissà quanti ne aveva in mente il reverendo Kevin Zaborney quando nel 1986 istituì la Giornata mondiale dell’abbraccio, che si celebra ogni anno il 21 gennaio, martedì prossimo.
La verità è che abbiamo un disperato bisogno di abbracci, e di abbracci non ne diamo né riceviamo mai abbastanza. Basta vedere la recentissima immagine della giornalista Cecilia Sala che dopo l’infame galera in Iran atterra in Italia, libera, e appena scesa dalla scaletta dell’aereo corre ad abbracciare il fidanzato Daniele Ranieri in un abbraccio totale, gioioso, fragoroso; e bene hanno fatto a mandarle incontro lui, il fidanzato, e non lo schieramento di autorità per le foto di rito, per le quali ci sarà sempre tempo.
In certi abbracci esplode letteralmente la gioia. Altre immagini famose. Olimpiadi di Tokyo, 2021: in dieci minuti due atleti italiani vincono la medaglia d’oro nell’atletica e corrono ad abbracciarsi. Sono Tamberi e Jacobs e nulla è meno programmato e più spontaneo di quell’abbraccio in mondovisione. È una necessità. Altrettanto gioioso ma intriso di malinconia è l’abbraccio tra Vialli e Mancini a Londra, stesso anno 2021, con l’Italia del calcio vincitrice del Campionato europeo: Vialli morirà un anno e mezzo dopo di tumore.
Gli abbracci ricevuti e quelli mancati si leggono negli occhi. Troppi adulti a cui da bambini sono stati negati gli abbracci (e i baci, e ogni manifestazione di affetto) da parte dei genitori, ritenuti forse segni di debolezza, hanno lo sguardo indurito e triste, indossano una scorza impenetrabile e faticano tremendamente a manifestare affetto e gioia, verso i quali provano un malcelato fastidio: agli abbracci bisogna allenarsi fin da piccoli, senza paura di esagerare. Se avessimo dei dubbi, leggiamo Sonia Canterini e Francesco Bruno (La scienza degli abbracci, Franco Angeli): l’ossitocina, scatenata dall’abbraccio, riduce lo stress sociale, rende più empatici, rafforza i legami; a tal punto che si parla di cudding therapy, o abbraccio terapeutico, per combattere stress e ansia; come quello (esagerato?) dei 10.554 londinesi che nel 2010 si unirono in un colossale abbraccio collettivo, tuttora considerato da record.
L’abbraccio cura dolore e spavento e rafforza il legame. Accade soprattutto con i bambini. Dosi massicce di abbracci creano l’“attaccamento sicuro”. Se i bambini ricevono abbracci ogni volta che ne hanno bisogno – e ne hanno bisogno di continuo, perché le loro giornate sono un susseguirsi di piccoli e grande spaventi e dolori (e gioie), nei cui confronti sono indifesi – saranno un giorno capaci di essere autonomi, sicuri, meno timorosi. Adulti più capaci, a loro volta, di donare fiducia e affetto.
Quindi esageriamo pure, martedì prossimo. Senza dimenticare che, per una curiosa coincidenza (ma lo sarà davvero?), la Giornata dell’abbraccio arriva subito dopo il giorno più triste dell’anno, che lo psicologo Cliff Arnall ha individuato nel terzo lunedì di gennaio. Il lunedì, giorno del ritorno al lavoro e a scuola, è sempre poco allegro; ma il terzo di gennaio è collocato quando il tempo atmosferico è generalmente uggioso, le spese natalizie hanno lasciato il portafoglio vuoto, la pressione dei “buoni propositi” per l’anno nuovo si fa impellente… insomma, difficile saltare dalla gioia.
Una cosa pare comunque certa: l’abbraccio fa bene, tanto che si parla di hug therapy, cura dell’abbraccio. C’è chi, non accontentandosi, abbraccia perfino gli alberi della three therapy. La pressione arteriosa si abbassa, l’ossitocina aumenta, insomma stiamo bene. Si abbracciano anche alcuni animali, come cani, gatti e scimpanzé, che in questo caso andrebbero imitati.
Ci si abbraccia quando ci mancano le parole perché l’abbraccio è un linguaggio universale per dire: non temere, ti sono amico. Non è solo l’abbraccio degli amanti, carico di desiderio. Quando all’Arena di Verona, il 18 maggio scorso, davanti al Papa si vuole dare un segnale di pace forte, il più forte possibile, prima e perfino al posto delle parole ecco l’abbraccio tra Maoz e Aziz, un israeliano e un palestinese: «Loro – commenta Francesco – hanno avuto il coraggio di abbracciarsi», ed ecco un’altra verità: a volte per abbracciarsi occorre avere coraggio e rischiare, perché annullare ogni distanza, ogni confine, significa fidarsi e ciò comporta un rischio: l’altro sarà sincero? Sarà l’abbraccio pacifico o il bacio di Giuda, che per tradire sceglie il suo opposto, il gesto dell’amore? Come ogni linguaggio, specialmente se non verbale, l’abbraccio ha infatti un margine di ambiguità, che aumenta con la sua potenza.
L’abbraccio più universale mai visto? Sorridiamo pure, ma è quello cinematografico tra E.T. ed Elliot nel film E.T. (1982): chi è più distante e diverso di un terrestre e un alieno? Curiosamente, è lì che acquistano maggiore significato i versi di Pablo Neruda: «Un abbraccio è staccare un pezzetto di sé per donarlo a un altro, affinché possa continuare il proprio cammino meno solo»; e di strada da percorrere verso casa E.T. ne ha davvero tanta.
L’abbraccio è la fusione massima possibile, dove i “pezzetti di sé” si mescolano. Lo fanno al massimo grado nella Madonna col Bambino di Matisse (1951): i corpi sono fusi e ne emergono soltanto i due volti, mamma e figliolo, straordinariamente simili. Non molto diverso è un altro abbraccio famoso, carnale e spirituale assieme, quello dell’Abbraccio di Klimt (1905). Si fondono i colori ma può fondersi anche la pietra nell’abbraccio di Amore e Psiche di Canova (1787). L’abbraccio può essere un ignaro ultimo saluto come quello, di spalle, famosissimo e iconico di Leo Di Caprio e Kate Winslet sulla prua del Titanic.
Ambiguità… Tragico è l’abbraccio cinematografico (in Blade Runner, 1982) tra il replicante Roy Batty e il Dr. Tyrell, il suo creatore, a cui chiede invano “più vita”: nell’abbracciarlo lo uccide, ossia sopprime dio, il figlio si disfa del padre come ritorsione di un amore ritenuto non corrisposto. Chi abbraccia una fede può trovare la liberazione ma anche una prigione, in cui rischiudersi. Chi abbraccia un’ideologia, ossia un sistema organizzato di idee, scommette tutto su quanto di più fragile e aleatorio ci sia, che può spingerlo tanto a eroismi quanto a indicibili orrori; tanto quanto chi abbraccia una causa, che potrebbe essere persa in partenza. Chi abbraccia, poi, dovrebbe sempre essere sicuro che il suo abbraccio sia gradito e, nel dubbio, chiedere il permesso: un abbraccio troppo invadente potrebbe perfino essere considerato alla stregua della violenza sessuale.
Ma, con tutte le cautele del caso, l’abbraccio rimane consigliato. Ne fa ricorso perfino Gesù Cristo (vangelo di Marco: 9, 36-37) quando, convinto che le parole non siano abbastanza eloquenti, abbraccia un bambino per dimostrare che come lui è necessario essere, per meritarsi il Cielo. E nessuno ama abbracciarsi forte, senza cautele né ritegno, quanto i bambini.
(Fonte:" Toscana Oggi" - 19.01.2024)