Cattolici e politica al tempo di Francesco
Intervista a don Bruno Bignami
- direttore dell’Ufficio nazionale dei problemi sociali e del lavoro della Cei -
a cura di Carlo Cefaloni
«Bisogna avere il coraggio di trasformare le appartenenze che si vivono smontando logiche di potere, populismi camuffati di destra e di sinistra, e portare consenso intorno alle grandi questioni della storia». Perché è importante ripartire dalle storie di testimoni credibili per non lasciarsi ingannare dai lupi travestiti da agnelli. Dialogo con don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale dei problemi sociali e del lavoro della Cei
Società e politica Foto manifestazione contro la mafia ANSA/MAURIZIO DEGL INNOCENTI
La scena politica attuale, con particolare attenzione al livello internazionale, rende quanto mai comprensibile quanto affermava Primo Mazzolari nel 1943 rispondendo ad una lettera di un giovane di Lodi: «Non si può lasciare il campo della politica, che è poi l’ordinamento dell’uomo per il bene comune, all’arbitrio incontrastato degli avventurieri d’ogni risma».
Lo ripete oggi Bruno Bignami, anch’egli sacerdote, per lungo tempo presidente della Fondazione Mazzolari, e da qualche anno, direttore dell’Ufficio nazionale dei problemi sociali e del lavoro della Cei. Autore di diversi libri e saggi storici e di attualità, non usa mezzi termini nel suo recente testo “Dare un’anima alla politica”, edizioni San Paolo 2024, che è il contrario di ogni deriva spiritualista.
Questo dialogo intervista avviene mentre il dibattito su cattolici e politica in Italia sembra uscire dall’ombra in un contesto radicalmente diverso dal secondo dopoguerra o da quello del crollo traumatico della Dc.
Da cosa nasce il suo ultimo libro?
Un libro non nasce necessariamente per rispondere a qualche esigenza particolare. Così è successo per Dare un’anima alla politica, che non intende dare indicazioni al cattolicesimo per rimettere in ordine la politica italiana. Lungi da me tale pensiero. Lo si capisce subito dalle prime pagine. È piuttosto un testo di teologia morale, che vuole riconsegnare i fondamenti della politica. Per questo, non si occupa di schieramenti. La sintesi è questa: solo nell’apertura alla fraternità la politica può avere dignità e futuro. Oggi è importante comprendere le ragioni di un astensionismo sempre più diffuso e capillare.
Come si spiega questo fenomeno crescente di lontananza dalle urne elettorali?
Il problema, forse, non è tanto di alleanze strategiche o di collocazione o di assenza di rappresentanze significative al centro, ma di una politica che ha affidato al populismo e al leaderismo le proprie cartucce da sparare. Colpi a salve, in verità, anche se fanno male alla democrazia. Perciò, assistiamo al funerale della politica come partecipazione. Il vuoto a perdere. Le parole non hanno più valore. La spiritualità è vista con sospetto. Le strategie della politica così perdono di senso se non sono supportate da una visione.
E quindi cosa bisogna fare per uscire dalla palude?
Bisogna allenarsi sui fondamentali, come nello sport. Ecco perché le vere domande saranno: questa politica promuove l’umano? Quali modelli relazionali evidenzia? Come nasce nel concreto un impegno in politica? Quale sguardo il Vangelo privilegia sulla realtà sociale? Quali scelte meritano la priorità?
Gli esempi concreti di impegno politico esposti nella seconda parte del suo testo sono pressoché sconosciuti dal cosiddetto mondo cattolico, eccetto ovviamente David Sassoli. Come mai? È la formazione di base che è regredita o ha prevalso uno spiritualismo disincarnato? O cosa altro? E perché?
Ci sono due problemi. Il primo è un paradosso: nella società delle stories social abbiamo smesso di narrare biografie che danno respiro all’anima. Per quale ragione? Diverse ipotesi sono sul tappeto. Ignoranza? Disprezzo del passato? Rinnegamento di una storia? Egocentrismo imperante? Ciascuno faccia le sue considerazioni. Il secondo problema è una predicazione sui «valori non negoziabili» e sui princìpi in genere che ha portato allo spiritualismo disincarnato.
Che senso ha questo approccio biografico?
In realtà, ogni biografia è limitata, conosce mediazioni e visioni parziali. È sempre situata nella storia e nella geografia. Eppure, non c’è modo di vivere la santità se non come biografia offerta e accolta nella veste di vocazione. Per questo ho voluto narrare figure straordinarie di donne come Tina Anselmi e Maria Eletta Martini, uomini di profezia come Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira, interpreti di un cristianesimo sociale contemporaneo come David Sassoli. È il primo passo di un elenco che tutti possiamo contribuire ad allungare. Ci sono molte esistenze abitate dalla grazia e capaci di tenere insieme politica e spiritualità, servizio al povero e fede.
Ad esempio?
Qualcuno potrebbe opportunamente aggiungere nomi come Luigi Sturzo, Aldo Moro, Igino Giordani, Armida Barelli, Eugenio Melandri, Adelaide Coari, Maria Vingiani… Un esercizio che farebbe molto bene alla memoria e al cuore e che darebbe strumenti per attraversare il deserto odierno.
Il sistema bipolare impostosi con la seconda Repubblica conduce a dover scegliere schieramenti costruiti in base a programmi incompatibili, in alcuni punti, con la cultura personalista e a visione antropologica dei cattolici che, a lungo andare, nella società così divisa, perdono la propria identità perché troppo pochi per lievitare la pasta. Non si rischia di essere “utili idioti” di strategie altrui?
Teniamo ben presente che ogni collocazione politica ha la caratteristica della provvisorietà. Non si può essere nostalgici di mondi che non esistono più, né ingenui che si affidano a imbonitori da quattro soldi o pifferai coi rosari in mano. La politica ha a che fare con la storia, non con il vuoto di pensiero di mestieranti attaccati alla loro carriera progettata a tavolino, fuori dai confronti con le piazze e la vita della gente.
Ma è in questo quadro che si vive da tempo una spaccatura nelle scelte politiche dei cattolici. Che fare?
C’è un cattolicesimo che abbraccia la destra con ingenuità estrema in nome della vita, della famiglia e della libertà economica ma fa lo struzzo sui migranti e si mostra complice di una società sempre più armata. Dall’altra parte, c’è un cattolicesimo che si schiera con la sinistra appiattita sui diritti individuali, che rischia di dimenticare questioni fondamentali come la glaciazione demografica, la chiusura nel privato, la perdita di senso comunitario. Come diceva don Primo Mazzolari, «destra, sinistra e centro possono divenire tre maniere di “fregare” allo stesso modo il Paese, la Giustizia, la Libertà, la Pace» se non coltivano uno sguardo alto e altro. Le appartenenze politiche sono strumenti, strade, vie e non punti di arrivo o di possesso. Bisogna avere il coraggio di trasformare le appartenenze che si vivono smontando logiche di potere, populismi camuffati di destra e di sinistra, e portare consenso intorno alle grandi questioni della storia.
Può fare un esempio concreto?
Certo e più di uno. Cattolici di destra e sinistra riescono a elaborare progetti di pace che non siano il solo ricorso alle armi? Possono convergere su una visione sociale dei diritti umani, comprendenti il lavoro, la sanità e la giustizia per tutti? Riescono a spendersi per ogni vita intesa come dono? Come declinare in concreto la destinazione universale dei beni? Come custodire un sano equilibrio tra solidarietà e sussidiarietà? A ciascuno il suo esame di coscienza…
In questo senso il magistero sociale di papa Francesco sembra poco ascoltato se osserviamo quanto accade politicamente negli Usa o nella sua Argentina, per non parlare del vento che soffia nell’Europa segnata dalla cultura della guerra. Come si leggono questi segni dei tempi?
Papa Francesco è uno dei pochi leader credibili di questo tempo. Ha scritto l’enciclica Laudato si’ quando i temi ambientali erano assenti dall’agenda di molti politici mondiali. Ha pubblicato la Fratelli tutti quando il mondo era alle prese con una pandemia che ha mandato in tilt il processo dell’inevitabile globalizzazione. Ha dimostrato una libertà evangelica di pensiero e di azione. Abbiamo assistito a un pontificato ricco di gesti simbolici e di richiami a un cristianesimo incarnato. Pensando a Francesco viene in mente una riflessione di Giorgio La Pira. Egli distingueva nel mare della storia le correnti superficiali, spesso tempestose e divisive, da quelle che stanno in profondità e che tendono all’unità. La politica vincente normalmente preferisce cavalcare le onde superficiali. Consente un incasso immediato in termini di consenso.
Una “direzione ostinata e contraria” per citare un poeta..
Possiamo dire che papa Francesco si è «vestito da sub» intercettando le spinte profonde della storia, quelle che incoraggiano percorsi di pacificazione e di cura del creato. Il tempo sarà galantuomo e farà emergere le ragioni vere di un pontifice che ha indicato la rotta pur rischiando incomprensioni da parte di chi è surfista incallito in nome del proprio consenso. I veri profeti dell’umanità si sporcano le mani con gli ultimi. Non possiedono strategie per il controllo dei dati, non mettono al primo posto i propri interessi economici, non costruiscono navicelle spaziali per fuggire verso lidi elitari su pianeti lontani. I lupi travestiti da agnelli hanno la data di scadenza come lo yogurt. Le profezie, invece, hanno le spalle robuste di chi lavora in profondità. Saranno àncore di salvezza al momento opportuno.
Si cita molto la “dottrina sociale cattolica” ma questa sembra indicare alcuni concetti generali che poi possono variare nell’interpretazione, non solo pratica. Ne è un esempio la lacerazione della comunità ecclesiale davanti alle guerre in Ucraina e Terra Santa. Così, ad esempio Giorgio La Pira, preso come esempio negli ultimi tempi dalla Cei, è considerato tuttora un tipo bizzarro, permeato del pensiero statalista antiliberale secondo alcuni studiosi, per non ripetere l’accusa di «comunistello di sagrestia» affibbiatagli da Ottaviani.
Arriverà il giorno in cui riconosceremo la santità di Giorgio La Pira. Un vero visionario perché capace di riconoscere che i luoghi hanno una vocazione, non solo le persone. Un mistico prestato alla politica, tanto contemplativo quanto capace di spendersi per i poveri, i senza tetto, i disoccupati, gli ultimi. Don Tonino Bello parlerebbe di «contemplattivo». La Pira ha intuito che la pace ha bisogno di sindaci coraggiosi, esperti di dialogo, di cultura, di ascolto, di bellezza, di preghiera e di investimenti per i poveri.
Esistono dei punti fermi ineludibili di questo insegnamento sociale della Chiesa offerto oltre ogni barriera?
Teniamo presente che per quanto riguarda la dottrina sociale della Chiesa, ci sono tre modi di accostarsi ad essa: quello di chi la usa come sonnifero intellettuale per addormentare le coscienze con principi astratti, quello di chi se ne serve come clava di risentimento per condannare il mondo e quello di chi la fa crescere grazie a esperienze di liberazione, all’impegno per la giustizia e un artigianato di pace.
Più che di punti fermi, parlerei di punti in movimento al servizio di chi non ha voce, di chi è vittima di soprusi e ingiustizie, del grido del povero e della terra. Ai consolatori di professione è preferibile il pronto soccorso della fraternità.
(fonte: Città Nuova 24/01/2025)