Sulla scia della marcia della pace a Pesaro
Non farsi risucchiare da una mentalità di guerra
L’anno che è appena entrato sia un anno di impegno per tutti, affinché con scelte concrete si mettano a tacere le armi e si percorrano le strade della pace, della nonviolenza, del disarmo, dell’incontro tra popoli. È l’auspicio di don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi, all’indomani della Giornata Mondiale della Pace, il primo gennaio 2025, dal titolo scelto da Francesco, «Rimetti a noi i nostri debiti: concedi la tua pace». Un tema sul quale hanno riflettuto i partecipanti alla 57ª marcia della pace, svoltasi il 31 dicembre a Pesaro, organizzata come di consueto da Cei, Pax Christi, Agesci, Caritas Italiana, Movimento dei Focolari, Azione Cattolica, quest’anno anche da Acli Nazionali e associazione Libera. Tutti in cammino accompagnati dalle parole del Papa che «ci spinge nella direzione della pace», indica don Renato, «lui che non cessa mai di chiedere che tacciano le armi, e di indicare che la guerra è una tragedia e un suicidio». Per questo ai partecipanti alla marcia è stato anche distribuito il numero speciale della rivista «Mosaico di pace», dedicato proprio al messaggio di Francesco.
Mai come in questo anno giubilare, è necessario che la parola pace sia un impegno da declinare anche gli altri 364 giorni, così come chiesto da Paolo VI nel 1968, istituendo per il primo gennaio di ogni anno la Giornata. Per tutto il 2025 si porterà avanti una riflessione sui tre temi posti dal Papa nel suo messaggio per la Giornata: la riduzione, se non proprio il totale condono, del debito internazionale, il disarmo, l’eliminazione della pena di morte.
«Noi, come Pax Christi, siamo più impegnati sul disarmo, ma anche sulla pena di morte, e la motivazione del Giubileo è sempre quella: chi è il padrone della vita? Chi è il Signore della vita? Non siamo noi. Non abbiamo diritto di uccidere, né di condannare nessuno a morte, perché la vita ha un valore assoluto dal concepimento fino al termine dei suoi giorni e la vita non va distrutta con l’investimento in armi». Sacco quindi ribadisce la «sconfortante sproporzione» dichiarata dal presidente italiano Mattarella, nel suo messaggio di fine anno, a proposito dell’aumento della spesa degli armamenti, arrivata alla «cifra record di 2.442 miliardi di dollari», il che significa «otto volte di più di quanto stanziato alla recente Cop29, a Baku, per contrastare il cambiamento climatico, esigenza, questa, vitale per l’umanità». Inoltre, «a livello globale», erano state le parole di Mattarella, «aumenta in modo esponenziale la ricchezza di pochissimi, mentre si espande la povertà di tanti». Le parole del presidente rappresentano «un segno di speranza», aggiunge Sacco, poiché «di solito sono gli attivisti per la pace a dirlo».
Di qui l’augurio che ne conseguano scelte concrete anche da parte dell’Italia che nel 2025 investirà circa 32 miliardi di euro in armamenti. «L’impegno vero — conclude Sacco — deve essere quello di non farci risucchiare da una mentalità di guerra, come indicato da molti che dicono che dobbiamo prepararci alla guerra che, tra l’altro, potrebbe rilanciare l’economia. Invece, la marcia della pace di due giorni fa, e i giorni che seguiranno, devono segnare il no agli investimenti in armamenti, il no agli F35, ai nuovi carri armati, e il no alla morte per le armi nucleari». L’impegno di tutti, e in particolare per i cristiani, deve essere quello di seguire l’annuncio del Vangelo, e, come «fecero i Magi al loro ritorno dall’incontro con il Bambino», di cambiare la strada, per «costruire la pace rimettendo i debiti e creando giustizia».
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Francesca Sabatinelli 02/01/2025)
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Perché marciare per la pace?
Nata come segno di contraddizione, la marcia della notte del 31 dicembre promossa dalla Chiesa italiana avviene oggi in uno scenario oscuro. Nel Giubileo della Speranza si può ripartire dalle testimonianze credibili, come quella dei lavoratori che hanno reso possibile le legge 185/90. In onore di Marco Tamborini
Attesa aiuti alimentari a Gaza 2024 EPA/HAITHAM IMAD
«Un appello inutile come tanti altri lanciati da papa Francesco». Non ha usato rituali toni enfatici la teologa Marinella Perroni interpellata a caldo, da Radio 1, dopo l’Angelus di domenica 29 dicembre 2024 che ha invitato a fermare la strage in corso nelle guerre in atto, dall’Ucraina al Medio Oriente, dal nord Kivu fino al Sudan e così via.
È ragionevole chiedersi a cosa servano le marce e le manifestazioni per la pace collegate con la fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo. Quella promossa dalla Chiesa italiana grazie all’azione del movimento Pax Christi aveva un senso preciso quando è nata nel clima sociale del 1968, con il corteo che si fermava sotto le finestre del carcere dove erano reclusi gli obiettori al servizio militare.
Pochi anni prima don Lorenzo Milani fu condannato in appello per aver incitato alla diserzione con le sue lettere ai cappellani militari e ai giudici. Non scontò la pena perché nel frattempo era deceduto per un male inguaribile, ma era consapevole di aver accesso un fuoco destinato ad ardere nel cuore di tante generazioni. Prima di lui era stato condannato penalmente, per gli stessi motivi di incitamento alla disobbedienza, anche padre Ernesto Balducci e lo stesso sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, era stato oggetto di indagine penale per apologia di reato per aver fatto proiettare pubblicamente il film francese di Autant Lara “Non uccidere”, dedicato all’obiezione di coscienza, scatenando polemiche con esponenti del suo stesso partito.
Il primo gennaio 1968 il cardinale di Bologna, Giacomo Lercaro, condannò apertamente i bombardamenti Usa in Vietnam, pagandone poi le conseguenze disciplinari ma quella presa di posizione esplicita, dei cristiani che non potevano restare indifferenti davanti al male, è stata citata da Francesco come esempio da seguire quando, nel 2017, si è recato in visita nella città delle due torri.
Non mancano oggi motivi per dare al gesto collettivo della marcia della pace un valore che oltrepassa i confini di una manifestazione di tipo religioso e quindi sostanzialmente innocua.
Il servizio militare obbligatorio è sospeso da anni anche se ormai si fanno insistenti le pressioni per costituire una più cospicua forza in grigioverde, pronta ad operare nella peggiore delle ipotesi di un allargamento del conflitto in Europa. A non essere impreparato è, ad ogni modo, il sistema produttivo italiano che vede il comparto della difesa in costante crescita verso l’esportazione di armi come attesta l’autorevole fonte del Sipri di Stoccolma.
L’indicazione univoca da parte dei vertici dell’Unione Europea è quella, come affermato testualmente, di “trasformare l’economia in assetto di guerra”, mentre il neo segretario della Nato, l’ex premier liberale olandese Mark Rutte, invita ad «assumere una mentalità di guerra».
L’obiettivo del 2% del Pil da destinare alle spese militari è un impegno ormai preso da tempo dai Paesi della Nato, alcuni dei quali lo hanno superato da tempo, come la Polonia. Per non tagliare su altre spese pubbliche necessarie, il ministro della Difesa Crosetto propone di non far entrare le spese militari tra quelle tenute a rispettare i vincoli del patto di stabilità, mentre l’ex presidente del consiglio Enrico Letta, già segretario dem, ha avanzato l’ipotesi di destinare i fondi del Meccanismo europeo di stabilità.
Tutte le cancellerie europee sanno di dover affrontare i sussulti di un gigantesco ottovolante con l’entrata effettiva, tra pochi giorni, nella Casa Bianca di Donald Trump che, da consumato imprenditore dell’azzardo quale è, ha già lanciato proclami sulla necessità di raggiungere addirittura il 5% del Pil in armi.
Aperto ad ogni prospettiva appare il conflitto tra Ucraina e Russia, mentre non si fermerà l’orrore a Gaza. La notte di Natale, come ha raccontato Lucia Capuzzi su Avvenire, sono morti di freddo 4 neonati sotto le tende mentre anche l’ospedale Kamal Adwan ha dovuto interrompere ogni attività con i sanitari palestinesi catturati con l’accusa di terrorismo.
Una lenta assuefazione all’orrore che proprio le marce della pace degli anni 60 hanno cercato di impedire e scuotere con un gesto silenzioso nella notte popolata di festeggiamenti rituali e schiamazzi.
Nel 2024, come rilevano tanti sondaggi e indagini sociologiche, sembra prevalere un senso di impotenza che rischia di far apparire inutile ogni più nobile intenzione, come quella espressa nella marcia della pace del 31 dicembre 2024 a Pesaro nelle Marche. In una regione operosa dove, ad esempio, centinaia di lavoratori vivono giorni di angoscia per la perdita del lavoro prevista nel 2025 con la delocalizzazione della produzione di elettrodomestici annunciata dalla multinazionale turca Beko. Un complesso industriale che fino a pochi anni addietro era un punto di forza italiano con il gruppo Merloni.
È quindi forse vero che ormai solo l’economia di guerra è garanzia di occupazione? O non è forse un intero sistema che va messo in discussione?
Ci hanno provato nella storia di questo nostro Paese, lavoratori come Marco Tamborini, scomparso da pochi giorni, che negli anni 80 si esposero apertamente per obiettare alla produzione bellica destinata a Stati repressivi dei diritti umani. Si deve al loro impegno di persone credibili, disposte a mettere in pericolo la loro stessa vita, se poi l’Italia ha adottato la legge 185/90 che ha cercato di porre dei limiti all’esportazione di armi nel mondo. Senza quella legge sarebbe stato impossibile impedire, dal 2019 al 2023, l’invio di migliaia di missili e bombe destinate ad alimentare il disastroso conflitto in Yemen.
Tamborini era uno dei lavoratori dell’Aermacchi, azienda ora confluita nella società Leonardo. Come ricorda il suo amico e sodale Elio Pagani, operai e impiegati elessero direttamente un “Consiglio di Fabbrica” al posto della “Commissione interna” nominata dall’alto dalle organizzazioni sindacali. Tamborini era convinto che non bastasse parlare solo del salario ma di molti altri diritti e del “cosa, come e per chi” produrre in nome dell’internazionalismo e solidarietà tra i popoli. Per questo quei lavoratori diedero vita al “Comitato contro i mercanti di morte” che fu uno dei protagonisti nel raggiungere l’obiettivo della legge 185/90.
Una campagna che proseguì anche dopo l’espulsione dalla fabbrica promuovendo il «Comitato “Cassaintegrati Aermacchi per la Pace e il Diritto al lavoro”.
Una radicalità di vita incomprensibile senza una forte spinta a quella conversione non solo delle persone ma delle strutture ingiuste, che è al cuore del Giubileo iniziato in contemporanea con la fine dei giorni terreni di Marco Tamborini.
Si annuncia ormai a gennaio 2025 lo smantellamento della legge 185/90 approvata grazie a persone come Marco, che almeno le centinaia di persone in marcia a Pesaro non possono dimenticare.
Ad essere inutile tragicamente è solo la guerra.
(fonte: Città Nuova, articolo di Carlo Cefaloni 31/12/2024)