Un gruppo di profughi sudanesi. |
Fare un articolo natalizio non è mai facile. Si deve ricercare l’originalità, l’aspetto più profondo, la notizia meno gettonata. Eppure, alla fine, la questione è sempre la medesima, quella che riguarda la giustizia. Da un lato essa richiama scenari globali, coinvolgendo interi popoli e regioni, e si concretizza nello stridente contrasto tra la povertà e il consumo che, a livello globale, è fonte e conseguenza di gran parte degli squilibri economici, politici e sociali del pianeta.
Il significato dirompente del Natale, che travalica qualsiasi confine confessionale e religioso, sta tutto in un nuovo modo di cogliere la realtà: la povertà, l’insignificanza e la debolezza possono essere rovesciate in un modello di vita capace di cambiare il mondo. Non si tratta di una esaltazione della miseria, paravento utile per il capitalismo “compassionevole” e sfruttatore, ma di una sete di giustizia che obbliga lo sguardo ad immergersi nelle situazioni più tragiche e degradate sapendo che là si può celare la scintilla del riscatto.
Asia Bibi |
Da un altro lato l’immagine delle ingiustizie si può trovare in vicende individuali in cui si ritrovano condensati i drammi che affliggono l’umanità: l’intolleranza, la mancanza di libertà, l’odio nei confronti del diverso, l’incapacità di pensare a un futuro migliore. Centinaia di migliaia sono i detenuti “politici” nelle prigioni dei vari regimi autoritari del mondo, centinaia di migliaia sono però le persone condannate all'indigenza da un sistema economico che chiama in causa la responsabilità del nostro Occidente ricco.
Ecco allora due storie, una di popolo, l’altra di una donna qualunque.