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giovedì 17 settembre 2020

Un pensiero e una preghiera per Padre Gigi Maccalli rapito in Niger due anni fa.

Un pensiero e una preghiera 
per Padre Gigi Maccalli 
rapito in Niger due anni fa. 


Due anni senza padre Maccalli:
mai spenta la speranza di riabbracciarlo

Il secondo anniversario senza il missionario del cremasco, rapito in Niger il 17 settembre del 2018, passa ancora una volta nella preghiera. La veglia organizzata in serata per le strade di Crema, la sua diocesi, sarà un'occasione per ricordare anche i tanti religiosi scomparsi nel silenzio della violenza in un'area, tra Niger, Burkina Faso e Mali in cui la Chiesa vive l''esperenza della "resistenza e della resilienza" come ci racconta il superiore di padre Gigi alle Missioni africane, padre Antonio Porcellato

"Un missionario piccolo di statura ma grande di cuore che aveva in sé l'istanza dei poveri e dei malati, soprattutto i bambini del suo Niger", dove era arrivato in missione dalla Costa d'Avorio prestando la sua opera nella parrocchia di Bomoanga, diocesi di Niamey. Così descrive padre Pierluigi Maccalli il suo superiore alla Società delle Missioni africane (SMA), padre Antonio Porcellato. Il sacerdote, originario della diocesi di Crema, è stato rapito due anni fa nella notte tra il 17 e il 18 settembre probabilmente da jihadisti del Mali o del Burkina Faso anche se finora non c'è stata nessuna rivendicazione.

L'ultima apparizione di padre Gigi risale ad un video del marzo scorso, poi il silenzio. "Dalla Farnesina ci dicono che questi rapimenti sono questioni lunghe e complesse" - ci racconta padre Antonio - "ma la comunità non ha mai smesso di pregare e sperare". Il sequestro avvenne
 una settimana dopo il rientro di padre Gigi da un periodo di vacanze in Italia ed è proprio in Italia che, nella sua diocesi, ogni 17 del mese da due anni, una Messa, o come nel caso di questa sera, una Veglia rimette nel cuore di Dio la sorte del missionario e di quanti come lui sono stati rapiti o sono scomparsi. E sono tanti.

La realtà dell'area del Niger e dei paesi confinanti, come Mali e Burkina Faso, è drammatica: la guerriglia - spiega padre Antonio - arruola i giovani con promesse di futuro e guadagni e minaccia le comunità cristiane . Dunque per i sacerdoti e le religiose si parla tra difficoltà e sofferenze, di "resilienza".

L'ultimo a vedere padre Gigi in vita è stato il missionario indiano John Arokiya Dass prima del rapimento, ma da alcune voci, padre Antonio racconta di aver saputo che il missionario in prigionia sia riuscito a costruire un piccolo rosario con cui segna le sue giornate, "una cosa, dice, che ci rincuora tutti. Dio può tutto":


R. - Speriamo vivamente di poterlo riabbracciare un giorno. Il 24 marzo di quest'anno un video l'ha mostrato vivo, lui stesso diceva "oggi è 24 Marzo 2020", ed era insieme ad un altro, Nicola Chiacchio, e anche da altri indizi sappiamo che dovrebbe essere vivo in una zona del Sahel, forse nel Mali. Sappiamo anche questi che questi rapimenti hanno tempi lunghi, quindi noi speriamo e continuiamo a pregare ogni giorno e oggi in modo particolare.

Avrete una veglia stasera per ricordare padre Gigi e tanti missionari che continuano ad operare in situazione di grande difficoltà...ce ne sono tanti..

R. - Oggi la Veglia è a Crema nella sua diocesi di origine vicino a Milano. Pensi che ogni 17 del mese, sono 24 volte finora, si fa una veglia. Anche nei tempi di lockdown l'hanno fatta in forma ridotta, ma si è sempre fatta ed è vero che pregando per padre Gigi preghiamo anche per tanti altri. Mi vengono in mente alcuni che sono forse anche con lui in Mali, tra cui una suora colombiana delle francescane dell'Immacolata, un sacerdote rapito sei mesi dopo padre Luigi e di cui non sappiamo niente. E poi anche altri missionari protestanti e volontari di vari Paesi: includiamo tutti. Senza contare poi le vittime locali di questo terrorismo che si abbatte sul Sahel. Attacchi ai villaggi e rapimenti sono frequenti.

Quella di padre Gigi è una zona difficile e priva di sicurezza per religiosi e civili. Quale è la realtà ad oggi?

R. - Parliamo soprattutto di tre Paesi, Mali, Burkina Faso e Niger. C'è una situazione di disagio già preesistente perché questi governi non riescono in realtà a soddisfare i desideri delle popolazioni, di un po' di progresso e di servizi, specie nelle campagne. E i giovani hanno molto malcontento e anche i gruppi jihadisti propongono loro di seguirli e gli offrono un lavoro, soldi e le comodità della vita moderna. E con loro hanno presa, per cui è più facile per i gruppi terroristi trovare adepti. Quindi c'è insicurezza, c'è malcontento e la reazione militare spesso è violenta. Dunque una situazione difficile.

Come si vive quando si crea questo vuoto in una famiglia religiosa?

R. - Devo dire che nella zona di padre Maccalli tutto è ridotto al minimo, l'insicurezza impedisce visite regolari da parte dei sacerdoti alle comunità, per cui, di 5 parrocchie, ce n'è solo una che in qualche maniera funziona, la domenica con visite dalla capitale. Per il resto tutto è affidato alle comunità locali, alle piccole comunità con i catechisti. E molto spesso siamo testimoni di intimidazioni di gruppi che ci dicono: " Non dovete pregare in Chiesa, state a casa". Per cui si soffre: qui c'è una Chiesa che sta soffrendo e vive il tempo della resistenza e della resilienza. Parlavo ieri con un confratello che era con padre Gigi quando lo hanno rapito e lui è rimasto più vicino alla città ma è rimasto in quella zona e io rendo omaggio alla sua testimonianza coraggiosa di restare unito alla missione. 

Che missionario è padre Gigi?

R. - Padre Gigi è un missionario piccolo di statura, ma direi grande di generosità, molto appassionato ai malati e ai giovani fino al punto di volerli portare qui a Roma per curarli. Ho saputo qualche giorno fa che si sarebbe riuscito a costruire con dei mezzi di fortuna un rosario, una piccola corona del rosario e con questa va avanti tutti i giorni. Penso che sia la cosa che mi e ci fa più coraggio, perché sappiamo che il nostro aiuto viene solo dal Signore.
(fonte: Vatican News, articolo di  Gabriella Ceraso 17/09/2020)

L’ultima intervista di p. Gigi

Don Federico Tartaglia, sacerdote dal 1993, è stato missionario fidei donum per nove anni in Malawi. 
Nel settembre del 2018 è stato a Niamey, in Niger, ospite di p. Mauro Armanino.
Ha avuto l’occasione di incontrare anche p. Gigi Maccalli, che rientrava in Niger dalle vacanze in Italia. Passava qualche giorno a Niamey prima di rientrare nella sua missione di Bomoanga, 150 km a est di Niamey, in direzione del Burkina Faso.
Don Federico aveva voluto fargli una video-intervista con il suo telefonino: mai avrebbe pensato che solo pochi giorni dopo p. Gigi sarebbe stato rapito.

Guarda il video


A due anni dal rapimento di p. Gigi Maccalli: 
“C’è sempre, da qualche parte, qualcuno che tradisce gli amici”


“Era notte quando ti hanno portato via e da allora sono passati due anni di tenebre solo interrotte da un breve messaggio video il 24 marzo scorso, primo e per ora unico segno di vita. Ci sono state testimonianze, racconti, ipotesi, ricerche e forse trattative, sappiamo poco di tutto questo”. Scrive così al'Agenzia FIdes padre Mauro Armanino, sacerdote della Società per le Missioni Africane, confratello di p. Gigi Maccalli, rapito da Bomoanga il 17 settembre 2018.
Il missionario rivolge al confratello/amico un pensiero particolare ricordando uno dei tanti eventi condivisi. 

“Caro Gigi, quando abbiamo avuto l’incidente d’auto in quel di Padova, siamo stati per qualche giorno nello stesso ospedale. Mi avevi fatto pervenire un biglietto scritto a mano, nella fonetica del ‘nostro’ kulango della Costa d’Avorio, chiedendo scusa per l’accaduto. Eri stato salvato per un gioco del destino perché guidavi tu e mi stavi accompagnando alla stazione ferroviaria, con la consueta disponibilità. Chissà perché mi è tornato in mente questo particolare, a pochi passi dal secondo anniversario del tuo sequestro ad opera di sconosciuti, nella notte del 17 settembre. Sarà forse a causa di quel miracolo chirurgico che ha ricostruito le parti lese del tuo corpo, i ferri nelle ossa e la forzata immobilità che ti aveva stranamente preparato all’attuale prigionia". “Ora i ferri sono altri e somigliano a chiodi inflitti nei polsi e nei piedi, il costato già era ferito dagli anni passati assieme nella stessa missione a Bondoukou” aggiunge p. Armanino.

Il missionario ripercorre con il pensiero un altro episodio, e dice: “Tornavano in contemporanea centinaia di pellegrini dalla Mecca ed è a loro che si dava la priorità al momento di uscire dall’aeroporto Diori Hamani di Niamey. Nell’attesa del tuo aereo ripensavo che al mio primo arrivo nel paese, nel mese di aprile del 2011, eri tu ad accogliermi ed accompagnarmi nella casa dove abito da allora. La tua camera, i confratelli sorridendo ti prendevano a volte in giro, era la numero due. Lì lasciavi le tue cose, nell’armadio metallico per le visite quindicinali, destinate all’acquisto di quanto necessario per vivere con dignità a Bomoanga, a oltre 130 chilometri da Niamey, in zona semidesertica. Portavi sempre notizie dal profondo, dai poveri contadini e delle piccole e fragili speranze che cercavi di condividere attraverso progetti di attento umanesimo integrale. Avevi dormito in quella camera per l’ultima sera prima di partire per la tua zona e, assieme ad alcuni amici, avevamo cenato nel ristorante italiano di Niamey, il noto ‘Pilier’. L’ambasciatore ci aveva offerto quella che, commentando con lui ed altri, sarebbe stata l’ultima nostra cena prima del dramma. In quella cena c’erano tutti. I poveri, i bambini dei quali ti occupavi, la piccola deceduta al ‘Bambin Gesù’ di Roma in un disperato tentativo di salvarla, gli animatori, le famiglie, i giovani che aiutavi, assieme ad altri, per continuare gli studi o la formazione professionale. Forse c’era tra loro anche un Giuda. C’è sempre da qualche parte qualcuno che tradisce gli amici, che avrebbe informato, coscientemente o meno, i rapitori sul tuo ritorno e delle tue abitudini serali. Era notte e coloro che ti avrebbero poi rapito conoscevano che non chiudevi subito la porta della camera. Veniva gente per cercare medicine per le urgenze che, in un villaggio sperduto e senza servizi sociali, non mancano mai. Sapevano che c’era una luce e una porta che si apriva con il sorriso di una speranza ormai a portata di mano.”

Padre Armanino continua a pregare per il suo confratello ricordando “l’ultima notte a Bomoanga, che neppure si trova nelle mappe più sofisticate di Google, ultimo o quasi di piccoli borghi senza futuro, se non quello che lui e la comunità cristiana cercavano di offrire. Una scuola media, un possibile convitto e soprattutto la necessità di offrire ragioni di rimanere sul posto con dignità.”
(fonte: Agenzia Fides 15/09/2020)


Veglia per padre Gigi Maccalli


A due anni dal rapimento di Padre Luigi Maccalli la Diocesi di Crema organizza una marcia che coinvolgerà alcuni luoghi della città, ogni tappa è stata affidata a un Ufficio Pastorale e vuole essere un’occasione di meditazione sulla Missione negli ambiti di vita quotidiana a partire da quei valori evangelici che hanno mosso anche Padre Gigi nella sua scelta vocazionale di prete e, soprattutto, di prete missionario con i più poveri.