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mercoledì 9 settembre 2020

Il ritorno a scuola ne parlano Marco Balzano e Alessandro D'Avenia (insegnanti e scrittori affermati)

Il ritorno a scuola ne parlano 
Marco Balzano e Alessandro D'Avenia
(insegnanti e scrittori affermati)


Marco Balzano: 
«Coi ragazzi rifletteremo su quanto è importante la cura dell'altro»


42 anni, insegnante di Lettere al Liceo, scrittore (nel 2015 vince il premio Campiello con L'ultimo arrivato) Marco Balzano lo scorso anno ha condotto su La EFFE Prof- La scuola siamo noi in cui intervistava otto insegnanti della scuola pubblica che hanno messo in atto nuove pedagogie e modi di fare scuola.

Come vede quest'anno che riparte?

«Mi pare oggettiva la confusione e la contraddittorietà delle indicazioni, ancora più disarmante delle lacune che ci sono state. Siamo partiti dal censire i luoghi possibili, allargare gli spazi, assumere i docenti e siamo finiti col “mettetevi la mascherina”. Siamo arrivati qui, ennesima prova di quanto la scuola non sia nelle priorità di questo Governo, ma anche dei precedenti. Una cosa bisognava fare: cambiare la legge Gelmini per cui ci vogliono 27 persone per aprire una prima superiore. Se non la cambi, di cosa parliamo? Ecco infatti che io avrò una classe di 28 persone. Grazie a linee ministeriali che hanno scaricato sulle Regioni che hanno scaricato a loro volta sui dirigenti scolastici...»

Con che classi tornerà a scuola?

«Con una prima e una seconda, entrambe classi nuove».

Come immagina il primo giorno?

«Innanzitutto mi metterò in ascolto. Il maggior danno che hanno avuto i ragazzi, di tutte le età, è stato di non poter discutere le loro emozioni, confrontarsi coi pari e con la guida di uno più adulto che li potesse aiutare a riflettere in maniera ordinata su quel che hanno vissuto. La seconda cosa fondamentale sarà rovesciare la comunicazione basata tutta sul “State attenti che prendete il Covid”. Se invece di infantilizzare gli studenti avessero detto ai giovani “attenti che lo potete portare in giro, prendetevi cura degli altri” forse sarebbe stato più efficace. Va rivista l'etica della comunicazione per avere effetti diversi e migliori»

Ci saranno anche strappi da ricucire. Qualche ragazzo potrà aver perso i propri cari...

«A Milano di certo, ma non è detto che vogliano condividere col gruppo classe. Mi piace l'idea dell'insegnante come “porta aperta”. Poi devono essere i ragazzi a entrare come vogliono coi loro tempi e il loro modi»

Lei il test sierologico l'ha fatto?

«Certo. Trovo sciocco averli lasciati facoltativi. All'ospedale di Cinisello Balsamo eravamo in dieci. Penso che i prof avrebbero potuto partecipare in maniera più massiccia e che andavano obbligati a farlo, a costo di non farli rientrare in servizio. L'Altra cosa senza senso è che io faccio il test sierologico, ma non i ragazzi. In un rapporto di uno a venticinque...».

Viste le nuvole che si addensano sul cielo della scuola italiana cosa augura ai suoi studenti?

«È un'occasione per riflettere su quanto ci è mancata la scuola, su quanto ne abbiamo bisogno, su quanto è la maggior portatrice sociale di dialogo, incontro, bellezza, idee e divertimento. Sul concetto di responsabilità individuale e collettiva, su cos'è l'educazione civica; i ragazzi, con il loro comportamento, potranno osservare una volta di più che si sono comportati bene o molto bene e che tutte le volte che si è cercato di scaricare su di loro comportamenti sbagliati è stato dettato da cattiva coscienza. Li hanno messi in gabbia e poi liberati, lamentandosi che erano usciti dalle gabbie. Hanno riaperto le discoteche e si sono lamentati che andavano a ballare. Sono sicuro, invece, che con loro sarà stimolante lavorare e trovare un modo per riflettere di più su quanto sia bella la scuola e importante e generoso, come modo di stare al mondo, avere in mente la responsabilità dell'altro».
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Chiara Pelizzoni 01/09/2020)

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Alesssandro D'Avenia:
Sono i progetti a dar senso agli oggetti e non viceversa: 
la scuola non verrà rinnovata dal banco singolo o dal tablet, 
ma dalla vita che sapremo dargli, grazie a relazioni buone e un lavoro ben fatto.


... È da qui che vorrei partire in un periodo che ha confermato ciò che ripeto da anni: la salute della scuola è la salute del Paese
L’emergenza sanitaria non ha debilitato il sistema scolastico, ma ne ha reso evidente lo stato comatoso. La ripartenza sta rendendo tristemente evidenti le ferite (tagli continui e operazioni sbagliate) aggravate negli ultimi anni da governi di tutti i colori. 
Ritornerei a quel bambino la cui risorsa contro la paura e il dolore, ieri come oggi, resta la cultura che serve a dare senso alla realtà, per poterla affrontare con strumenti di precisione e senza scappare. 

Non vedo l’ora di tornare in classe perché rivedrò i miei ragazzi che non incontro da marzo. E so che, insieme, facendo bene proprio quello che dobbiamo fare, affronteremo tutte le difficoltà e inventeremo il futuro, perché solo le relazioni generative fanno crescere e solo una cultura profonda illumina le cose, soprattutto quelle oscure. 
A scuola il tema non è l’emergenza sanitaria, ma che cosa ci faremo, educativamente, culturalmente e politicamente con l’emergenza. Sono i progetti a dar senso agli oggetti e non viceversa: la scuola non verrà rinnovata dal banco singolo o dal tablet, ma dalla vita che sapremo dargli, grazie a relazioni buone e un lavoro ben fatto. Ma se non saremo capaci di dare al presente un senso che vada al di là della prigione della cronaca, lasceremo bambini e ragazzi dietro le sbarre, perché l’assenza di senso riempie lo spazio interiore di paura, paralizza l’azione o la rende manipolabile. 

Il compito di maestri e genitori, da sempre, è rendere «i nuovi» interiormente liberi, come fa Guido (Roberto Benigni) in La vita è bella: per salvare il figlio trasforma persino il lager in un gioco a premi, dando un senso al male più assurdo. Ma questo richiede l’inventiva che solo l’amore e la cultura sanno suscitare: banchi, mascherine e connessioni, da sole, non basteranno mai. A noi educatori è chiesto di rendere l’emergenza una terra fertile, prima per noi e poi per loro, perché nulla cresce nei piccoli, se non trova cura, luce e libertà, nei grandi. 

Buon inizio a tutti.