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giovedì 9 aprile 2020

Pasqua 2020 -Il Risorto non si trova solo nei templi, nei riti, nelle liturgie, ma ovunque gli uomini vivono, praticano e proclamano la sua buona notizia. La riflessione del biblista Maggi, su una Settimana Santa diversa dalle altre

Pasqua 2020  
Il Risorto non si trova solo nei templi, 
nei riti, nelle liturgie, 
ma ovunque gli uomini vivono, 
praticano e proclamano
 la sua buona notizia.
Alberto Maggi



La tradizione popolare ha coniato il detto “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”. La festività di dicembre si trascorreva con i famigliari, mentre la Pasqua, già nella buona stagione, con amici e conoscenti, magari fuori di casa. Tutto questo prima della pandemia che obbliga a vivere e celebrare la Pasqua 2020 rigorosamente in famiglia, chiusi in casa, lasciando fuori della porta, a distanza di sicurezza, gli amici e i conoscenti, e anche le tradizionali importanti celebrazioni liturgiche che hanno scandito nei secoli il triduo pasquale, dalla celebrazione della Cena del Signore, il giovedì santo, alla celebrazione della Passione il venerdì, e infine la luminosa veglia pasquale del sabato santo, con l’esplosione di luce e di gioia che ha il culmine nella Pasqua del Signore.

Di fronte a questa inaspettata emergenza, sono molti, laici e religiosi, che si sono sentiti completamente disorientati spiazzati, e le reazioni sono le più disparate e fantasiose. Ma, afferma la saggezza popolare, non sempre il male viene per nuocere, e si può provare a vivere in modo alternativo anche la Pasqua del Signore, e non per questo sarà meno ricca e fruttuosa. Forse sono proprio le situazioni di emergenza quelle che fanno risaltare quel che c’era già, ma non gli si faceva caso, e si può provare a leggere la buona notizia di Gesù sperimentandola veramente come tale. Può essere interessante vedere come nel Vangelo di Marco, considerato il più antico, sia stata vissuta la Risurrezione del Cristo, e come questa possa aiutare a vivere situazioni difficili senza lasciarsi sopraffare da ansia e mestizia.

Gesù, tanto osannato dalle folle al suo ingresso a Gerusalemme, è ormai solo nel Getsemani. Sì, gli sono accanto alcuni discepoli, ma dormono, indifferenti al suo dramma. E Gesù chiede al Padre di allontanare da lui la prova che l’aspetta: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice!” (Mc 14,36). Ma il Padre non risponde a questo grido accorato del figlio. Quel che doveva dirgli, l’aveva già detto al momento del battesimo e confermato sul monte della trasfigurazione: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1,11; 9,7). Gesù è il figlio amato, la realizzazione del progetto del Padre sull’umanità, un uomo con la condizione divina. Gesù è il capolavoro del Creatore, “immagine del Dio invisibile. Primogenito di tutta la creazione” (Col 1,15). Non deve temere, perché è “prezioso ai suoi occhi” (Is 43,4) e il Padre sempre si prenderà cura di lui in ogni situazione, qualunque essa sia.

E Gesù comprende. Non si sottrae, non fugge, non si mette in salvo, ma va incontro al suo destino: “Alzatevi, andiamo!” (Mc 14,42). Dall’esperienza di Gesù, l’evangelista comprende che Dio non muta il corso degli eventi, ma comunica agli uomini la sua stessa forza per viverli, affrontarli e superarli. Il Padre di Gesù non è il Dio che ferma il sole (Gs 10,13), ma Colui che comunica la sua stessa energia d’amore ai suoi e ne fa la “luce del mondo” (Mt 5,14).

Ma questa luce che è Gesù, ed è in lui (Gv 8,12), sembra ormai spenta e spazzata via dagli eventi. Catturato, insultato, sputacchiato, schiaffeggiato, percosso, flagellato, incoronato di spine, Gesù è stato crocifisso nel patibolo degli infami (“maledetto chi è appeso al legno”, Gal 3,13; Dt 21,23). Non c’è nessuna luce sul Golgota, ma solo fitte tenebre che si estendono “su tutta la terra” (Mc 14,33). La sconfitta del preteso Messia è anche il fallimento di quel Dio che Gesù chiamava suo Padre, che ora mostra di essere incapace di salvare il suo figliolo amato (“Ha salvato altri, non può salvare se stesso!”, Mc 15,31).

È la parola fine. Il Golgota è deserto, i cadaveri dei giustiziati sono stati seppelliti, non c’è più nessuno. Scomparsi i passanti che insultavano Gesù, i sommi sacerdoti che con gli scribi lo deridevano soddisfatti. I discepoli, non ne parliamo. Si erano dichiarati spavaldamente disposti a morire per Gesù… per poi darsela a gambe all’arrivo dei soldati (“Tutti, abbandonatolo, fuggirono!”, Mc 14,50).

Ma non tutti hanno lasciato Gesù. Il coraggio che i discepoli hanno dimostrato non avere, è visibile nella scelta di tre donne, Maria di Magdala, Maria madre di Joses, e Salome. Le sole testimoni degli eventi (Mc 14,40.47). Sono queste le discepole che, passato il sabato, vanno al sepolcro “al levare del sole” (Mc 16,2). È spuntato il giorno del Signore annunciato dai profeti, quello in cui la luce dissiperà definitivamente le tenebre (Zc 14,6-7), e la morte non interromperà più la vita dell’individuo ma la proietterà verso orizzonti sconfinati.

Una grave preoccupazione accomuna e angoscia però le donne: chi rotolerà via la pesantissima pietra posta all’ingresso del sepolcro? (Mc 15,3). Ma la luce di questo nuovo giorno illumina finalmente anche le donne, e quando queste cominciano ad alzare lo sguardo, cioè a non guardare più se stesse, ma a ampliare il loro orizzonte, si accorgono che il motivo della loro preoccupazione era inesistente: la pietra, che pur era “molto grande”, non chiudeva più il sepolcro. E le sorprese non sono finite: Gesù non è nella tomba. Il luogo della morte non può trattenere colui che è il Vivente. Non aveva forse egli detto che Dio “non è Dio dei morti, ma dei viventi” ? (Mc 12,27), un Dio che non risuscita i morti, ma concede ai vivi la sua stessa vita, una vita che non viene interrotta dalla morte. La tomba di Gesù non è neanche il luogo per i suoi discepoli, e le donne sono cacciate dal misterioso giovane con la veste bianca, con un ordine imperativo: “Andate!” (Mc 16,7). Ora che le discepole hanno fatto l’esperienza che Gesù è vivo, non possono più restare nel sepolcro, ma andare dai vivi. Il giovane comanda infatti le donne di andare dai discepoli, ma non le incarica di annunciare quel che hanno visto, bensì di salire in Galilea “là lo vedrete” (Mc 16,7).
La fede nella risurrezione non ha come fondamento un annuncio, ma l’esperienza dell’incontro con il Risorto. La morte di Gesù non ha posto fine alla sua missione, al contrario. Gesù iniziò in Galilea la sua attività, e in Galilea ora i discepoli la devono continuare e prolungare. E il vangelo di Marco termina con l’assicurazione che “Il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano” (Mc 16,20). Può essere questo l’augurio per la Pasqua con la pandemia: Il Risorto non si trova solo nei templi, nei riti, nelle liturgie, ma ovunque gli uomini vivono, praticano e proclamano la sua buona notizia.

(Fonte: Il libraio)

*Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere.
Maggi ha pubblicato diversi libri, tra cui: Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita, Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi, L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita, Di questi tempi e Due in condotta.