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giovedì 23 aprile 2020

Dopo la puntata di "Report Dio, Patria Famiglia spa" - FRANCESCO E IL PROCESSO DI RIFORMA IRREVERSIBILE Rosario Giuè - Quelle folli accuse a Papa Francesco di Maurizio Patriciello

La puntata di  "Report"  del 20 aprile 2020,
 ha svelato al grande pubblico
 le trame dei nemici di Papa Francesco e
 i collegamenti, innanzitutto finanziari,
 tra la destra religiosa americana e i sovranisti italiani. 


Con l'esplosione della pandemia il fronte sovranista che si professa ultracattolico è tornato all'attacco di Papa Francesco. Sui siti della destra religiosa americana non hanno dubbi: il coronavirus è la punizione divina per il tradimento di Bergoglio. Report racconta chi sono i nemici di Bergoglio e svela con documenti inediti e intercettazioni, quali sono i collegamenti, innanzitutto finanziari, tra la destra religiosa americana e i sovranisti italiani. Torniamo all'Abbazia di Trisulti: c'è ancora Benjamin Harnwell, il custode che per conto dell'ex capo stratega di Trump, Steve Bannon, l'ha presa in gestione per trasformarla in una scuola politica di sovranismo.




FRANCESCO E 
IL PROCESSO DI RIFORMA
 IRREVERSIBILE
Rosario Giuè* 


“Visto che in questi giorni alcuni teologi cattolici che stimo stanno intervenendo per decifrare il momento che sta vivendo papa Francesco nel suo tentativo di riformare la Chiesa cattolica, vorrei dare un mio contributo alla discussione. Queste autorevoli personalità sostengono che papa Francesco sia stato sconfitto. Sono opinioni che provengono da teologi che vogliono bene a Francesco. Ma devo dire di non condividere le loro conclusioni.
Il processo di riforma nella linea del Concilio richiede molta fatica. Il processo è un intreccio di slanci e di ponderazione: un insieme. La sinodalità (camminare insieme) per esempio, tratto decisivo nel pontificato di Bergoglio, ha bisogno di tempo per essere messa in atto, come osserva Giovanni Cereti. Siamo di fronte a “strutture di peccato ecclesiastiche” che resistono al cambiamento con tutti i mezzi a disposizione. Usando tutte le armi lecite e illecite. La lebbra del clericalismo individuale e strutturale ha bisogno di un vaccino. Ma non di una sola dose di medicina. Non basta un solo tratto di penna. Occorrono molte dose di vaccino, perché la malattia è molto grave. Ma non è incancrenita, da portare alla morte: alla non riformabilità della Chiesa.
Chi appoggia papa Francesco, nel suo impegno per la riforma della Chiesa in senso conciliare, deve ben comprendere tutto ciò, senza delusioni facili. Senza rassegnazione. Non dobbiamo sentirci scontenti come fanno i reazionari, i fascisti, i tradizionalisti, le lobbies politiche: tutti soggetti che non amano le pur minime aperture di Francesco.
Perché non dobbiamo sentirci scontenti? Perché il cammino verso una Chiesa riformata, ne sono convinto, è ormai irreversibile. La riforma è in corso. Il Papa sta favorendo il processo sinodale piuttosto che i risultati immediati, pur attesi da molti di noi. Anche perché, come sostiene il teologo brasiliano Agenor Brighenti, «instaurare la sinodalità tramite mezzi non sinodali significherebbe lasciare quest’ultima alla mercé della buona volontà di quelli che verranno».
Sono convinto, ma non ne ho le prove, che il processo per una chiesa accidentata, ferita e sporca “in uscita” per le strade della storia contemporanea, che vada oltre la propria chiusura autoreferenziale, difficilmente potrà ormai essere bloccato in futuro. Non credo che sarebbe facile per i cardinali eleggere un Benedetto XVII o un Giovanni Paolo III. La società laica, per prima, non lo perdonerebbe. I cardinali perderebbero la faccia. La credibilità ecclesiale sarebbe compromessa ancor di più.
Nel momento attuale papa Francesco, dunque, pur di fronte a molte e pesanti pressioni, comprese quelle dell’ex vescovo di Roma, Joseph Ratzinger, non ha perso la prospettiva della riforma, del cammino verso una Chiesa “in uscita”. Tanto è vero che ha scelto come tema del prossimo sinodo dei vescovi (da tenersi nel 2022) la “sinodalità”. Il Papa non ha rinunciato ad attuare strutturalmente la riforma. Sta cercando, certo, di superare il conflitto, che è pure in corso. Con tale conflitto bisogna fare i conti.
So bene che molte delusioni sono emerse dopo la sua esortazione post-sinodale Querida Amazzonia. Francesco deluderebbe perché non ha accolto “esplicitamente” le attese sull’orinazione dei preti sposati e sui ministeri ordinati alle donne. In realtà, in QA Francesco ha invitato a fare proprio il Documento finale del Sinodo sull’Amazzonia con tutte le sue proposte votate a maggioranza qualificata. Non ha smentito il Documento sinodale. Non ha chiuso per sempre quelle questioni, rimandate da troppo tempo nella Chiesa. Papa Francesco non ha voluto «relativizzare i problemi, fuggire da essi o lasciare le cose come stanno». Piuttosto sta cercando di spingere la Chiesa, anche su quelle questioni, verso la via d’uscita che «si trova per “traboccamento”» (QA 105). Come avverrà questo “traboccamento” è una sfida che abbiamo ancora davanti. La sfida non è finita: è tutta da vivere e ci coinvolge tutti e tutte. Il cammino della riforma, dunque, non è stato sconfitto. Francesco non è stato bloccato. Questo io penso. Papa Francesco è un uomo profetico, ma non può bastare. Da solo. Salvare la Chiesa è, piuttosto, un compito di tutti e di tutte, non solo di Francesco. Per chi ha maturato la convinzione che papa Francesco sia il papa giusto al tempo giusto, non può lasciarlo solo, ora. Verrà il tempo nel quale potremo fare tutti i bilanci necessari. Non ora. Ora c’è da camminare e di impegnarsi, apertamente alacremente, nella riforma in corso”


*Rosario Giuè, prete palermitano, laurea in Scienze politiche all’Università di Palermo e dottorato in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana, è stato parroco a Brancaccio. Collabora con «la Repubblica» e con la rivista «Mosaico di Pace».  Autore della riflessione  "Chi ha paura della Chiesa voluta da Francesco"  e del libro  "Vescovi e potere mafioso" 



Quelle folli accuse
 a Papa Francesco
di Maurizio Patriciello *



Sono tante le telefonate e i messaggi che mi stanno arrivando, da parte di parenti, amici, parrocchiani, dopo la puntata di Report di lunedì scorso, sugli attacchi a Papa Francesco. Tanta gente è rimasta scandalizzata da alcune affermazioni, al limite della calunnia, se non della follia, da parte di alcuni ricchi e potenti “ultracattolici” d’ Oltroceano con agganci anche in Italia. Il Papa – il nostro Santo Padre – sarebbe, per costoro, addirittura la causa della pandemia per alcune sue scelte che essi ritengono non in linea con la tradizione cattolica. Se non fosse terribilmente tragica la cosa potrebbe apparire comica. “Se costoro fossero la Chiesa, da questa chiesa, prenderei immediatamente le distanze” ho risposto a Eugenio, un caro fedele, medico anestesista, che ogni giorno rischia la vita per strappare alla morte i suoi pazienti e che ha dovuto piangere il suo amico, primario, morto di covid 19.

Al di là di qualsiasi considerazione teologica e filosofica, riflettendo solo con quel briciolo di ragione che ci fu dato in dono, credere in un Dio buono e potente, che per punire un fantomatico Papa infedele, fa una strage a livello mondiale, non solo di cattolici, ma di atei, agnostici, credenti di altre religioni, bambini innocenti, anziani terrorizzati, sarebbe davvero un pessimo affare. Non sarebbe costui solo un dio crudele ma ridicolo. Se prima di parlare, tutti ci domandassimo quanto bene o quanto male possono produrre le parole che stiamo pronunciando, ai piccoli, ai credenti, a chi ha difficoltà a credere, pregheremmo col salmista: “Poni, Signore, una custodia alla mia bocca”. “Ogni testa è un tribunale” ci ricorda un sapiente proverbio. E di teste – tribunali nel mondo ce ne sono più di sette miliardi.

Gesù lo sapeva bene, per questo motivo, volle lasciarci un Maestro sicuro, sotto la guida dello Spirito Santo. È facile disquisire dei senzatetto che dormono sotto i ponti, stando in un letto caldo; è facile pregare in una chiesa bella, profumata, avvolta nel silenzio. È facile condannare omosessuali e divorziati come se fossero dannati, avendo avuto la grazia di un matrimionio felice. Le parole lasciano il tempo che trovano. Noi possiamo solo provare a immaginare lo strazio e il terrore di chi, su un barcone malandato, annega in una notte di tempesta. Possiamo solo immaginare le mortificazioni di certi anziani maltrattati e abbandonati in una casa di riposo. Possiamo solo immaginare l’angoscia di chi ha creduto nelle promesse fatte, e non mantenute, dalla persona amata. Possiamo solo immaginare il desiderio di nutrirsi dei sacramenti, e non poterli ricevere per mancanza di clero, in chi vive in una sperduta zona dell’ Africa o dell’Amazzonia.

Potremo continuare, ma a che serve? Chi ha il cuore grande, rende grazie per ciò che ha ricevuto e si cala poi nei panni altrui. Questa è la compassione, questa è la misericordia. Il Vangelo, che tutti leggiamo, ma la cui interpretazione certa ci viene dal Magistero della Chiesa, parla chiaro: Gesù lo incontriamo nella Sua Paola, nei Sacramenti e nei fratelli, soprattutto in coloro che la società ha trascurato. Piaccia o non piaccia, a Gesù stanno a cuore i poveri, i diseredati, gli ammalati, i profughi, i vecchi, i bambini, i senzatetto. Non ci credi? Chiudi gli occhi e immagina di essere affetto da covid, con la febbre altissima, affamato d’ aria, terribilmente solo, mentre attorno a te si aggirano medici e infermieri senza volto. Immagina che uno di loro ti viene accanto e riesce a farti una carezza e a donarti un briciolo di speranza.

La pandemia che ci ha colto di sorpresa, le motivazioni che hanno reso possibile la sua rapida diffusione, gli errori fatti all’inizio, le tante morti nella case di riposo, meritano, per quanto possibile, risposte serie, adeguate, scientifiche, vere. Anche la teologia dovrà fare i conti con questa sciagura. Le domande di sempre si ripresenteranno puntulamente, occorre, fin da adesso, armarsi di tanta umiltà per tentare di dare qualche risposta. Il flagello che stiamo subendo ha smascherato e messo in crisi la presunzione di tanta pseudoscienza. L’uomo è più grande di quanto si possa immaginare, ma anche e sempre terribilmente fragile. La ragione da sola non basta, ha bisogno di altro, di cuore, di affetto, di amicizia, di speranza, di fede. Ha bisogno di Dio, un Dio che è amico, padre, madre, che lascia morire in croce il suo amato Figlio per salvare, non per condannare le sue creature.
(Fonte: Interris)


Maurizio Patriciello*, prete nato a Frattaminore. Dopo aver lavorato in qualità di paramedico ha deciso di entrare in seminario grazie all’incontro con un frate francescano che lo ha ricondotto nell’alveo di quella Chiesa che aveva temporaneamente abbandonato anni prima. In qualità di parroco di Caivano, in poco tempo è diventato uno dei volti più noti della battaglia intrapresa per la rinascita di un territorio inquinato dai rifiuti industriali sversati e poi interrati senza alcuna precauzione nelle campagne. Sulla clamorosa vicenda ha peraltro scritto due libri, Vangelo dalla terra dei fuochi, pubblicato da Imprimatur nel 2013 e Non aspettiamo l Apocalisse, scritto a quattro mani insieme a Marco De Marco e pubblicato da Rizzoli nel 2014.





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