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venerdì 17 aprile 2020

"Se non risorgiamo oggi non risorgeremo mai" - La riflessione di p. Felice Scalia

"Se non risorgiamo oggi 
non risorgeremo mai" 
La riflessione di 
p. Felice Scalia*



Frastornati come siamo e dopo questa insolita quaresima, parlare di Pasqua di Risurrezione a se stessi e ad amici nella fede, non è semplice. Ci aiuta il Vangelo di Giovanni proposto quest’anno dove non appaiono angeli festanti, né esplosioni di gioia. Sembra che il peso della crocifissione abbia portato la primitiva comunità cristiana ad entrare nelle viscere della terra e dire: “È finita. Lui è morto e con Lui ogni speranza. Non ci resta che onorare un cadavere.”

Dal questo brano prendo alcune parole chiave.

Maria di Magdala, visto che il sepolcro era vuoto andò dai Discepoli e disse: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!» E ancora: Quando Pietro giunse al sepolcro, Giovanni che era rimasto fuori, “entrò anche lui, osservò i teli posati là, e il sudario avvolto in un luogo a parte, vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.”

Nel sepolcro con Maria di Magdala

Noi che abbiamo seguito con partecipazione e pena la passione del mondo (4 miliardi di uomini in allerta, migliaia di morti per coronavirus in poche settimane), noi siamo entrati in questo sepolcro che è per tanti è una fossa comune, un forno crematorio, avvertendo qualcosa di irreparabile e sacro. Non è azzardato pensare che alcune domande ce le siamo fatte tutti. Domande come queste, ad esempio.

Ma noi, dove l’abbiamo messo il Signore nostra vita e speranza, se sembra scomparso da questo mondo? 

Dove l’uomo moderno ha messo l’umanità, in quale sepolcro l’ha cacciata, se ha tolto il futuro ai giovani, la dignità di esistere ai vecchi, ed a tutti la gioia di vivere nella pace? 

Dove abbiamo seppellito Dio se gli abbiamo voltato le spalle e ci siamo fatti un idolo assassino: il potere dei forti sugli inermi? 

E se a parole diciamo che il Cristo oggi è l’uomo che ha fame, che ha sete, che non ha casa, che è nudo, nella pratica, da decenni e decenni, dove abbiamo seppellito questo Cristo? Forse non lo sappiamo più, ci siamo dimenticati di mettere un segno di riconoscimento, e sulla fossa abbiamo fatto crescere anche l’erbetta elegante.

Dov’è dunque questo Gesù morto per noi 2000 anni fa ed oggi martoriato nei suoi fratelli? E allora, dove abbiamo posto la nostra fede? Seppellita anche essa come una bella utopia?

Sono domande dolorose. Ma è il nostro contributo di sopravvissuti partire da questa passione se vogliamo che ci sia una vera Pasqua del Signore, una vera Risurrezione Sua e nostra. Altrimenti non sarà servito a nulla questo dolore.

Guardavo le panche vuote in questi giorni di celebrazione solitaria in chiesa. Con tutto il rispetto per tutti, vi confido che a volte, quando le pagine del Vangelo richiedevano un presa di posizione tale da sorpassare abitudini nostre, di un cristianesimo annacquato, mi chiedevo se c’eravamo lì, in chiesa, con tutto noi stessi o col cuore altrove, o con un solo orecchio, con la mente occupata per dire a Gesù, per piacere, di non esagerare. Insomma eravamo davvero 100 in chiesa come diceva la matematica o una percentuale di 100? 

La Quaresima ci ha costretti ad una consapevolezza maggiore, e quindi ci ha forse preparati ad una presenza intera alla chiamata domenicale di Gesù, senza sconti. 

Il nostro credere e non credere

“Giovanni entrò, vide e credette” – dice il Vangelo.

Entriamo in quella parte di noi un po’ oscura, entriamo nel nostro “sepolcro” come Giovanni, e riscopriamo la nostra fede, perché forse anche noi “Non abbiamo ancora compreso la Scrittura”. Non abbiamo compreso che l’uomo Gesù non poteva finire come un malfattore la sua esistenza di assoluto benefattore. Non abbiamo ancora compreso che cosa significhi “risuscitare dai morti”.

Accettiamo con fede che Gesù non è stato soggetto alla decomposizione del corpo, che è vivo. Che Lui è risorto. Accettiamo anche che siamo chiamati alla “Risurrezione nell’ultimo giorno”. Ma forse non è tutto qui il mistero che celebriamo per Pasqua.

Noi parliamo di due cose sole nella vita davvero essenziali ed universali: la morte e l’amore. L’amore che ci unisce e ci fa essere ciò che siamo, creature nate per l’”unità”; e la morte che ci separa, che ci butta nel nulla. Parliamo e parliamo, ma tutto gira attorno a questa domanda: Di chi è l’ultima parola, della morte o dell’amore? 

La nostra più grande paura è che a vincere sia la morte. E in questi giorni i telegiornali sembravano bollettini di vittoria della nera signora. Anche oggi continuano a scomparire nel nulla persone tanto amate da rendere assurda una vita vissuta senza di loro.

Ma la vita non è neppure vivibile quando la sopraffazione e il cinismo prendono il sopravvento. Allora ci sentiamo scissi dentro, lacerati. E qui la natura non c’entra più. C’è il peggio di noi.

Al sepolcro Maria di Magdala ci va con la morte nel cuore: la logica dell’annientamento reciproco, dell’emarginazione dei deboli, quella logica che i potenti impongono, se Gesù è morto non ha ormai nessun ostacolo per invadere il mondo. E lei che aveva sognato possibile una vita diversa! Lui scompare per sempre, è cadavere e con Lui sotterra viene spazzato fuori ogni desiderio di rispetto, di bontà, di comprensione, di umanità, di perdono.

Come si fa a credere che l’amore possa avere, nonostante tutto, una rivincita? 

Ed è proprio questo che Gesù aveva voluto dire: non potete rassegnarvi a vivere da morti. E se una vita in un amore sconfitto, nella unità impossibile, in un trionfo della bestialità, non è degna di essere vissuta, non capite che Dio non può avervi creato “per la morte”? Non vi rendete conto che l’ultima parola deve essere della VITA? “Chi crede in me non morirà mai”.

Risurrezione è la vittoria della vita, dell’amore sulla disgregazione della morte. 

Giovanni, “entra, vede il segno dell’ordine nel disordine, e crede”.

A noi, oggi il Risorto dice che, al di là di tutte le evidenze che si impongono, la morte non ha l’ultima parola nel destino di noi uomini. Non siamo destinati al fallimento ed alla corruzione, ma alla vita ed alla felicità.

Se non risorgiamo oggi non risorgeremo mai. 

Per chi “crede” né il destino ineluttabile della morte fisica, né l’inclinazione al male, cioè al chiuderci in un “io” che si impone sulla debolezza altrui, niente di tutto questo, rappresenta un motivo per rinunziare ad una vita degna dei figli di Dio. Ma, purtroppo, ogni cosa bella portata da Gesù rischia di essere immiserita da noi e resa innocua.


Quando “risorgeremo”? Nell’”ultimo giorno”?

No” – risponde Gesù con tutta la sua esistenza tra noi. No! Bisogna risorgere oggi dando fiducia agli sfiduciati, amando gli invisibili di cui nessuno si cura, dando un futuro ai disgraziati, smettendo di credere nella ricchezza e nella vendetta, aprendo tutte le carceri che ci fanno imputridire, perdonando, credendo nella bellezza dell’uomo anche in quella di assassini e ladri alla grande, amando i nostri nemici, donandoci gli uni gli altri in un amore reciproco, esattamente come Lui ha fatto.

Se tutto questo è vero, credere nella Risurrezione, è credere che un cammino controcorrente ha senso. Buona Pasqua allora è “Buon passaggio” dalla sottomissione alla logica di ogni morte, ad una vita nell’amore.

(Fonte: stampalibera) 

padre Felice Scalia è gesuita dal 1947. Laureato in filosofia, teologia e scienze dell’educazione, ha insegnato alla facoltà teologica dell’Italia Meridionale e poi all’Istituto Superiore di Scienze Umane e Religiose di Messina. Collabora con Presbyteri, Horeb, Rivista del clero, Vita consacrata, Spirito e Vita e Vita Pastorale