La nostra ignavia è peccato
Come missionari sentiamo l’obbligo di esternare la nostra ‘santa collera’ per la “strage di Pasquetta”, un’agghiacciante storia di naufragio di profughi in fuga dalla Libia.
Solo ora, grazie ad Alarm Phone, il numero di emergenza per i migranti in difficoltà nel Mediterraneo, ne conosciamo i dettagli.
Un gommone con 63 rifugiati è partito nella notte tra il 9 e il 10 aprile (Venerdì Santo!) da Garabulli, a 50 km da Tripoli, ed è andato poi in avaria in acque SAR maltesi. Alarm Phone ha subito dato l’allarme avvisando Malta, Libia, Portogallo, Italia, Germania e Frontex.
Tutti hanno scelto di non intervenire, utilizzando la scusa del Covid-19, ma di fatto stavano pianificando il rientro forzato del gommone in Libia. Così i 65 profughi sono rimasti per 72 ore nel gommone senza ricevere soccorsi.
Il 14 aprile li ha raggiunti un mercantile che però non ha potuto soccorrerli. Così tre profughi disperati si sono tuffati in mare per raggiungere la nave e sono affogati. Altri quattro per disperazione si sono buttati in acqua e sono stati risucchiati dal mare. Poi finalmente è apparso un peschereccio che ha trovato sul gommone 5 morti per disidratazione e fame e 53 superstiti terrorizzati che hanno richiesto come condizione di salvataggio di non essere riportati in Libia. Ma il peschereccio invece li ha riportati proprio in Libia!
E’ criminale riportare i rifugiati in Libia perché quel paese – lo dice l’ONU – non è un “porto sicuro”. Il rappresentante dell’OIM (Organizzazione internazionale per le Migrazioni) in Libia ha pure confermato che i 53 superstiti sono stati portati a Tripoli dove sono stati smistati nei vari lager.
Tutte le nazioni, tra cui l’Italia, avvisate di quanto avveniva in mare, hanno commesso un crimine contro l’umanità e devono essere portate in un tribunale internazionale per mancato soccorso, per cui sono morte 12 persone, e per aver consegnato i rifugiati alla Libia, in piena guerra civile.
Infatti il generale Haftar, a capo dell’Esercito di Liberazione Nazionale, sta bombardando Tripoli per impossessarsi della capitale e sbarazzarsi del presidente al Serraj, riconosciuto dalla comunità internazionale. Ci sono stati feroci scontri a sud di Tripoli in questi giorni. A farne le spese sono sempre i più deboli, specie i 700.000 immigrati sul suolo libico di cui 20.000 internati in paurosi lager spesso senz’acqua e senza cibo, torturati in maniera orrenda per spillare da loro soldi, usati spesso come scudi umani nella paurosa guerra civile in atto.
Questi, per le leggi internazionali non sono più migranti, ma rifugiati che hanno il diritto di essere accolti. Per questo è stato criminale il mancato soccorso! Oggi, in quel Mediterraneo, dove hanno trovato sepoltura oltre 20.000 migranti dal 2014 (1.300 solo lo scorso anno) che non abbiamo accolto, naufraga l’Europa “patria dei diritti umani”.
Temiamo che la politica della Ue verso chi bussa alle nostre porte, sarà sempre più impietosa. Di fatto la presidente, Ursula Von der Leyen, a nome della Commissione, sta mettendo a punto un nuovo piano sui migranti e asilo che includerebbe i seguenti punti: nessun obbligo per gli Stati di accogliere i richiedenti asilo, agenti di Frontex armati alle frontiere, stretta sui rimpatri che saranno a carico del bilancio europeo.
Ma la Ue sta cedendo alla pressione dei paesi razzisti di Visegrad? E’ inaccettabile nonché disumano questo piano davanti a una tragedia immensa che si sta consumando nel Mediterraneo.
Mai come in questo momento storico abbiamo il dovere morale, e per legge internazionale, di accogliere questi che non sono migranti ma rifugiati.
Pertanto appoggiamo la richiesta fatta da un gruppo di parlamentari di costituire una Commissione Internazionale di inchiesta su quanto è accaduto quel 13 aprile.
E ci appelliamo:
al Presidente del Parlamento Ue, David Sassoli, perché prema sulla Commissione Europea per una politica più umana verso i rifugiati.
al Parlamento italiano perché abbia il coraggio di abrogare i Decreti Sicurezza di Salvini e perché chieda al governo di riferire davanti ai parlamentari sulla “strage di Pasquetta” e sulla riconsegna dei profughi in Libia.
al Governo italiano perché ritiri subito il decreto interministeriale del 7 aprile scorso che di fatto chiude i porti italiani fino al 31 luglio e assegni subito alle navi salva-migranti un porto sicuro.
alla Conferenza Episcopale Italiana, perché alzi la voce in protesta davanti alla “strage di Pasquetta” e a questo stillicidio di migranti che ha riempito i fondali del Mediterraneo. Un intervento forte dei vescovi aiuterebbe tanto in questo momento storico.
Papa Francesco è sempre stato così chiaro e forte su questo argomento. Ricevendo i profughi giunti in Vaticano da Lesbo ha detto: «Come possiamo non ascoltare il grido disperato di tanti fratelli e sorelle che preferiscono affrontare un mare in tempesta, piuttosto che morire lentamente nei campi di detenzione libici, luoghi di tortura e schiavitù ignobile?». E ha aggiunto: «Come possiamo passare oltre, facendoci così responsabili della loro morte? La nostra ignavia è peccato!». Quel giorno ha lasciato a tutti un segno: la Croce con il salvagente.
È la sfida che Papa Francesco ha lanciato alla chiesa, soprattutto ai suoi pastori.
«Il nostro compito oggi – diceva ai suoi colleghi pastori luterani della Danimarca Kaj Munk, ucciso nel 1944, come un cane, dai nazisti – è la temerarietà. Perché ciò di cui come chiese manchiamo, non è certamente la psicologia e la letteratura. Quello che a noi manca è una santa collera».
Commissione Giustizia & Pace dei Missionari Comboniani
20/04/2020
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Erano dodici. Morti come muoiono i dimenticati. Trascinati nell’abisso di un continente che volta le spalle. Sette sono affogati in mare. Cinque mentre venivano riportati in Libia. Erano dodici, ma non sono più un numero. Anche i morti hanno diritto a un nome. Ora possiamo darglielo, per sei di loro anche un volto: Omar, Mogos, Hzqiel, Hdru, Huruy, Teklay, Nohom, Kidus, Debesay e i tre Filmon. Erano tutti cristiani. Tranne uno, «il nostro fratello Omar», diranno i superstiti.
Hanno esalato l’ultimo respiro nella notte dopo la Pasquetta.