Eyal, Gilad e Naftali. Tre ragazzi di 16, 17, 19 anni. Rapiti e uccisi a sangue freddo, “colpevoli” solo d’essere ebrei. Il sedicenne palestinese Muhammad, anch’egli rapito e ucciso, una vendetta senza senso. Fino a quando? Fino a quando dovremo sopportare quest’odio, questa furia selvaggia?
Non ci sono parole, ma solo la voglia di piangere e di gridare “perché”? Nel suo ultimo viaggio in Terra Santa, papa Francesco, davanti alla fiamma perennemente accesa di Yad Vashem, s’è chiesto e ha chiesto a tutti: «Uomo chi sei? Non ti riconosco più, di che sei stato capace?».
Qui, in Terra Santa, c’è tanto. E c’è per tutti. Dobbiamo dare coraggio a chi, ebreo, cristiano, musulmano o druso, uomo, donna o bambino, ha capito che non si possono più accettare soprusi e imposizioni ma ha paura di dirlo. Non possiamo restare soli a combattere per questi semplici valori.
Io voglio vivere il mio ebraismo e la mia israelianità ricolma di speranza, aborrendo il terrorismo e la spietatezza, gli attacchi e le ritorsioni, ripudiando con tutta me stessa la violenza e rimboccandomi le maniche per un futuro migliore. In pace.
Ho bisogno di condividere ciò che sento con chi desidera andare avanti, lavorare, ridere, piangere insieme, ebrei, musulmani, cristiani e drusi! Per questo ho creato Beresheet LaShalom, il teatro di ragazzi ebrei e arabi, e lo porto avanti con tutte le mie forze...
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La madre di Naftali, uno dei tre studenti israeliani rapiti e uccisi nei pressi di Hebron, racconta il dolore della sua famiglia. E dice: «Non voglio che i miei figli crescano nel rancore»
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... Siamo un gruppo di amici ebrei e musulmani che si ritroveranno insieme a digiunare e pregare martedì 15 luglio. Siamo cresciuti insieme nello stesso college, dove ci siamo trovati in posizioni tremendamente simili, segnate dall'adozione di un codice d'abbigliamento distintivo, da restrizioni alimentari, e dai nostri occhi gonfi dopo la preghiera quotidiana del mattino. Siamo diventati amici in tempi tranquilli e ci siamo dispersi dopo il nostro diploma due mesi fa. Ma nelle ultime settimane, quando i nostri correligionari in Israele e in Palestina hanno cominciato a combattersi a vicenda, ci siamo ritrovati tutti nel tempo della paura e della disperazione.
Mentre i nostri fratelli e le nostre sorelle in Medio Oriente soffrono e infliggono sofferenze, noi vogliamo ritrovarci insieme nella solidarietà e nella pace. Siamo ebrei e musulmani che vivono negli Stati Uniti, e non abbiamo la presunzione di parlare a nome dei palestinesi o degli israeliani, la cui sofferenza non possiamo nemmeno immaginare. Ma questa non può diventare una scusa per non fare nulla. La nostra ferma convinzione è che dobbiamo modellare la pace dentro e tra le nostre comunità, mentre chiediamo agli israeliani e ai palestinesi di fare la pace...
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Due donne dell'associazione ''Parent's Circle'' |
... Sono tantissime le storie che si potrebbero raccontare di questo strano gruppo di persone che s’impegnano per vivere la pace fra israeliani e palestinesi. «Noi, che abbiamo perso i nostri figli nella guerra fra i due popoli, sosteniamo la pace. Noi, madri e padri, vogliamo arrivare a un accordo fra i due popoli, perché non accada più a nessuno quanto è successo ai nostri figli». Erano in dieci nei primi anni Novanta, quando è nata l’associazione. Oggi sono più di seicento. Tutti genitori che hanno perso i figli durante il conflitto israelo-palestinese, e che nonostante tutto hanno scelto di dedicarsi al dialogo. «Abbiamo cominciato ad incontrarci vincendo le reciproche diffidenze e i pregiudizi, e abbiamo scoperto con sorpresa che avevamo molte cose in comune: un lutto e un grande dolore, innanzitutto. Io ho perso un figlio, una mia amica la figlia, chi il padre, chi la madre o la sorella… Stiamo soffrendo per lo stesso dolore, pur non parlando la stessa lingua».
Il dolore non ha razza né lingua, è identico per ciascuno. «Così come sono uguali», racconta Osama, «il nostro sangue e il nostro futuro: vogliamo vivere in pace, senza più guerre. Desideriamo vivere in pace insieme. Palestinesi e israeliani». Non con teorie, ma attraverso azioni concrete...
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