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mercoledì 16 luglio 2014

Semi di pace... anche nella martoriata Terra Santa


Eyal, Gilad e Naftali. Tre ragazzi di 16, 17, 19 anni. Rapiti e uccisi a sangue freddo, “colpevoli” solo d’essere ebrei. Il sedicenne palestinese Muhammad, anch’egli rapito e ucciso, una vendetta senza senso. Fino a quando? Fino a quando dovremo sopportare quest’odio, questa furia selvaggia? 
Non ci sono parole, ma solo la voglia di piangere e di gridare “perché”? Nel suo ultimo viaggio in Terra Santa, papa Francesco, davanti alla fiamma perennemente accesa di Yad Vashem, s’è chiesto e ha chiesto a tutti: «Uomo chi sei? Non ti riconosco più, di che sei stato capace?». 
Qui, in Terra Santa, c’è tanto. E c’è per tutti. Dobbiamo dare coraggio a chi, ebreo, cristiano, musulmano o druso, uomo, donna o bambino, ha capito che non si possono più accettare soprusi e imposizioni ma ha paura di dirlo. Non possiamo restare soli a combattere per questi semplici valori.
Io voglio vivere il mio ebraismo e la mia israelianità ricolma di speranza, aborrendo il terrorismo e la spietatezza, gli attacchi e le ritorsioni, ripudiando con tutta me stessa la violenza e rimboccandomi le maniche per un futuro migliore. In pace. 
Ho bisogno di condividere ciò che sento con chi desidera andare avanti, lavorare, ridere, piangere insieme, ebrei, musulmani, cristiani e drusi! Per questo ho creato Beresheet LaShalom, il teatro di ragazzi ebrei e arabi, e lo porto avanti con tutte le mie forze...

La madre di Naftali, uno dei tre studenti israeliani rapiti e uccisi nei pressi di Hebron, racconta il dolore della sua famiglia. E dice: «Non voglio che i miei figli crescano nel rancore»

... Siamo un gruppo di amici ebrei e musulmani che si ritroveranno insieme a digiunare e pregare martedì 15 luglio. Siamo cresciuti insieme nello stesso college, dove ci siamo trovati in posizioni tremendamente simili, segnate dall'adozione di un codice d'abbigliamento distintivo, da restrizioni alimentari, e dai nostri occhi gonfi dopo la preghiera quotidiana del mattino. Siamo diventati amici in tempi tranquilli e ci siamo dispersi dopo il nostro diploma due mesi fa. Ma nelle ultime settimane, quando i nostri correligionari in Israele e in Palestina hanno cominciato a combattersi a vicenda, ci siamo ritrovati tutti nel tempo della paura e della disperazione.
Mentre i nostri fratelli e le nostre sorelle in Medio Oriente soffrono e infliggono sofferenze, noi vogliamo ritrovarci insieme nella solidarietà e nella pace. Siamo ebrei e musulmani che vivono negli Stati Uniti, e non abbiamo la presunzione di parlare a nome dei palestinesi o degli israeliani, la cui sofferenza non possiamo nemmeno immaginare. Ma questa non può diventare una scusa per non fare nulla. La nostra ferma convinzione è che dobbiamo modellare la pace dentro e tra le nostre comunità, mentre chiediamo agli israeliani e ai palestinesi di fare la pace...

Due donne dell'associazione ''Parent's Circle''
... Sono tantissime le storie che si potrebbero raccontare di questo strano gruppo di persone che s’impegnano per vivere la pace fra israeliani e palestinesi. «Noi, che abbiamo perso i nostri figli nella guerra fra i due popoli, sosteniamo la pace. Noi, madri e padri, vogliamo arrivare a un accordo fra i due popoli, perché non accada più a nessuno quanto è successo ai nostri figli». Erano in dieci nei primi anni Novanta, quando è nata l’associazione. Oggi sono più di seicento. Tutti genitori che hanno perso i figli durante il conflitto israelo-palestinese, e che nonostante tutto hanno scelto di dedicarsi al dialogo. «Abbiamo cominciato ad incontrarci vincendo le reciproche diffidenze e i pregiudizi, e abbiamo scoperto con sorpresa che avevamo molte cose in comune: un lutto e un grande dolore, innanzitutto. Io ho perso un figlio, una mia amica la figlia, chi il padre, chi la madre o la sorella… Stiamo soffrendo per lo stesso dolore, pur non parlando la stessa lingua».
Il dolore non ha razza né lingua, è identico per ciascuno. «Così come sono uguali», racconta Osama, «il nostro sangue e il nostro futuro: vogliamo vivere in pace, senza più guerre. Desideriamo vivere in pace insieme. Palestinesi e israeliani». Non con teorie, ma attraverso azioni concrete...
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