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lunedì 21 luglio 2014

"Nella casa del Padre non si tiene la contabilità" di Rubem Alves


Nella casa del Padre
non si tiene la contabilità
di Rubem Alves

Per tornare a Dio, è necessario dimenticare, dimenticare molto, cancellare quello che abbiamo imparato, grattare i colori… Coloro che non hanno perduto la memoria del mistero proveranno orrore davanti a questa nuova sfida umana. Sporgeranno denunce. C’è stato, infatti, chi ha gridato che Dio è morto […]. Ha gridato che noi siamo gli assassini di Dio. Fu accusato di ateismo. Ma ciò che voleva, in realtà, era rompere quelle maschere per contemplare di nuovo il mistero infinito. Anche Gesù si è comportato così: «Avete udito che è stato detto, ma io vi dico…». Il dio dipinto sulle pareti del tempio non era lo stesso che Gesù vedeva. Il dio del quale parlava era orrendo per le persone per bene, difensori dei buoni costumi. Egli diceva che le prostitute sarebbero entrate nel regno dei cieli prima degli uomini pii. Che i beati erano sepolcri vuoti: bianchi fuori, puzzolenti dentro. Che l’amore vale più della legge. Che i bambini sono più vicini a Dio degli adulti. Che Dio non ha bisogno di luoghi sacri, dal momento che ogni essere umano è un altare, non importa dove egli si trovi.

Egli raccontava storie in maniera pacifica. Ad una di queste, i pittori delle pareti hanno dato il nome di «parabola del figliol prodigo». Narra la storia di un padre e di due figli. Uno di loro, il maggiore, era pieno di certezze, ligio al dovere, lavoratore. L’altro, il minore, era un mascalzone e uno spendaccione. 
...
Gesù dipinge un volto di Dio che la saggezza umana non può capire. Egli non tiene la contabilità. Non fa la somma delle virtù e dei peccati. Così è l’amore. Non ha un perché. Esiste senza ragioni. Ama perché ama. Non tiene la contabilità né del male né del bene. Con un Dio così, l’universo diventa più pacifico. E le paure se ne vanno. Ecco un titolo adatto alla parabola: «un padre che non sa sommare». Oppure: «un padre che non ha memoria…».