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mercoledì 23 luglio 2014

Maru e Mekdes... una storia nella storia

Maru non si è fermato neppure davanti al Mediterraneo che voleva inghiottirlo con il barcone con 104 profughi partito venerdì notte da Tripoli. Li ha salvati la Guardia Costiera sabato sera, perché l’uomo, 48 anni, un profugo etiope riparato da tanti anni in Sudan e con in tasca i documenti dell’Acnur, aveva lasciato il numero del satellitare a un’amica italiana, Cornelia Toelgyes, coraggiosa attivista per i diritti umani che da anni segue e documenta le vicende dei profughi sul blog Africa Express, che l’ha prontamente girato alla Guardia costiera. 
 Mekdes con la sua mamma
A Maru non interessa l’Italia. Lui ha uno scopo, è partito per ritrovare sua figlia che oggi ha cinque anni. E, quanto prima, si metterà sulla sua pista, che porta verso l’ignoto. Non la vede da un anno e mezzo, da quando lei e la madre, la sposa di Maru, dovettero lasciare Khartoum. L’etiope nella capitale sudanese aveva un lavoro in un ufficio delle Nazioni Unite. Ma agli integralisti islamici quella coppia mista, lui cristiano e lei musulmana, non andavano giù, e alla fine del 2012 la donna e la piccola furono minacciate di morte...


Erano le undici ed un quarto quando è arrivata la telefonata da un numero satellitare. In un certo senso ero preparata, ma si spera ugualmente che certe chiamate non arrivino mai. Maru mi aveva scritto ieri sera che stava per imbarcarsi da un porto della Libia: “Cornelia, sono Maru, la nostra imbarcazione è in difficoltà. Abbiamo bisogno di aiuto. Stiamo imbarcando acqua. Siamo in centoquattro”. La comunicazione è difficile. La linea cade spesso. Mi richiamano. Immediatamente avverto la nostra Marina Militare, prendono nota del mio SOS.
Durante la giornata di oggi mi hanno ritelefonato spesso. Ho parlato con tante persone diverse, in lingue diverse. Ogni volta erano più disperati. Il carburante era terminato. Non avevano né cibo né acqua con sé. Maledetti trafficanti. Acqua, cibo e carburante pesano. Meglio imbarcare qualche persona in più, piuttosto che le cose di prima necessità. Il guadagno prima di tutto. Se poi muoiono, chi se ne frega. Intanto il pagamento va fatto in anticipo, come un qualsiasi biglietto di trasporto.
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Maru è una storia nella storia. Le persone che sbarcano nella nostra terra portano nell’anima dolori indelebili. Sofferenze atroci, spesso anni di galera per immigrazione clandestina nei vari Paesi che sono costrette ad attraversare per raggiungere la meta. Quasi sempre sono obbligate ad affidarsi a contrabbandieri, che non di rado le vendono a trafficanti di esseri umani. Ricatti e riscatti sono all’ordine del giorno. La morte è sempre in agguato, l’unico conforto sono i sogni, gelosamente custoditi, insieme ai ricordi del passato.
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Il mondo occidentale ha costruito muri per proteggere le proprie frontiere, ma chi è disperato è disposto a sacrifici inimmaginabili, pur di conquistare un briciolo di liberta, il cui prezzo è altissimo. Spesso lo si paga con la vita. Il rifugiato lo sa. Ma è determinato nel ripetersi ogni giorno: “Forse ce la farò”.

Diceva Giacomo Leopardi: “Il forse è la parola più bella del vocabolario italiano, perché apre delle possibilità, non certezze. Perché non cerca la fine, ma va verso l’infinito…”


Vedi anche il nostro post precedente: