Non si sa più nulla di te, caro padre Paolo. Non si sa nemmeno, con esattezza, il giorno in cui dobbiamo celebrare l'anniversario della tua scomparsa: c'è chi dice il 27 luglio, chi il 28, ma probabilmente il giorno del rapimento è il 29. Poco importa, naturalmente. Ci importa, adesso, dirti che il pensiero e la preghiera non sono mai mancati in questi dodici mesi pieni di tristezza e di ansia.
Noi crediamo, vogliamo credere, che tu sia vivo, a combattere - per quello che ti è possibile - per la pace, a gridare per il dialogo (combattere per la pace, gridare per il dialogo sono frasi che sembrano un controsenso, ma nel tuo caso ci paiono proprio azzeccate) e vorremmo mandarti, seppure a distanza, un grazie e un abbraccio.
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Ti abbracciamo, dovunque tu sia. Sono tempi duri per i costruttori di ponti: in Siria, in Ucraina, in Israele e in mille altri luoghi... Ma sappiamo che non basta questa consapevolezza a scoraggiarti. “Io ovviamente annuncerò, fino al martirio se necessario, la Buona Novella dell’amore di Gesù!”, scrivevi in un libro di qualche anno fa (Mar Musa. Un monastero, un uomo, un deserto, Paoline 2008); parole che forse dovrebbe andarsi a rileggere soprattutto chi - prima e persino dopo il rapimento - ti ha dipinto come un cristiano all'acqua di rose, un doppiogiochista al servizio dell'Islam. E poi proseguivi: “L’unico mezzo per donare la propria vita per Gesù consiste nell’aiutare ognuno a essere un pellegrino di verità”.
È quello che hai sempre cercato di fare e certamente farai ancora, tu per primo pellegrino in cammino sulle orme di Abramo. Ti aspettiamo, abuna, per continuare a pellegrinare insieme.
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